Il destino di ogni nazione è unico e irripetibile
di CARLO PISACANE
Dalla prefazione ai Saggi storici-politici-militari sull’Italia (postumo, 1858)
Convinto che ogni nazione ha il proprio essere, la propria coscienza, che risulta dall’indole del popolo, dalle tradizioni, dalle condizioni presenti, dalle aspirazioni ad un avvenire, e che la rivoluzione altro non è che la libera manifestazione di queste facoltà nazionali, non trasmissibili da nazione a nazione, come non lo sono fra gli uomini, intesi ripugnanza per quegli scrittori che vogliono concedere tale supremazia alla Francia, da distruggere affatto i principii della rivoluzione che essi stessi propugnano. Per non incorrere in errore cosi grossolano mi diedi a cercare l’essere dell’Italia, non in Francia, come quegli scrittori han fatto, ma nell’Italia medesima, nelle pagine della nostra storia, nelle dottrine dei nostri filosofì, nelle aspirazioni dei nostri martiri, nelle tendenze del popolo.
La storia mi presentò costituzioni varie, innumerevoli geste, grandezza e decadenza, virtù e vizii de’ popoli, eroi ed uomini volgari tutti in un fascio; come le statue, le colonne, i capitelli, trofei raccolti dai pisani nelle vittorie trasmarine, che in confuso si presentarono al Buschetto per edificare il duomo. Ma le mie forze non erano da tanto, bisognava che altri mi indicasse il legame degli avvenimenti, le conseguenze da trarne, il modo come connetterli, onde dare a questo lavoro ordine ed unità. E perciò mi feci a studiare le pagine immortali del Vico, del Pagano, del Romagnosi, nelle quali rischiarandosi il mio intelletto, mi parve un ordinato insieme, ciò che sembravami sconnesso e confuso, ed il mio disegno si colorì.
“Le virtù dei privati non sono che passioni, i soli ordini pubblici possono farle diventare vere virtù. La natura non dà che energia, energia d’agire, energia di resistere. Ma ambedue possono produrre grandi virtù e grandi vizi, secondo che lo scopo a cui son dirette sarà nocivo o utile alla società intera. Se la legge rivolge la cupidità dell’uomo armato contro il nemico, formerà dei suoi armati tanti eroi; ne formerà tanti assassini rivolgendola contro gli stessi cittadini”. Questo vero, che ho espresso con le parole medesime di Vincenzo Coco, è il centro di gravità sul quale equilibrasi tutto il mio lavoro, e da esso emerge l’illazione incontrastabile: “Se in un’epoca alcuni rapporti sociali produssero in un popolo un certo effetto, oggi sul medesimo popolo dovranno indubitatamente riprodurlo”.
I principii stabiliti e l’esperienza di secoli mi faranno abilità a ragionare del progresso, ed investigarne i veri caratteri. Poscia lo studio medesimo che avrò fatto sulle varie epoche della nostra storia, lo farò sulla moderna società; e come nell’ordinazione politica e sociale degli antichi, ne’ rapporti fra le diverse classi de’ cittadini, si rinvennero le cagioni delle rivoluzioni, della prosperità, della decadenza di quei popoli; così l’accurato studio sulle istituzioni de’ moderni mostrerà le tendenze della società presente, e svelerà il suo avvenire. Scorgeremo come uno importantissimo fatto o legge di economia pubblica trovasi, con le medesime conseguenze, ripetuto in tutte le antiche società, e quindi sarà indubitato che, esistendo fra noi, dovrà produrre l’effetto medesimo.
Il Fato della moderna società riconosciuto, mi farò a ragionare sullo varie questioni, verso cui appuntasi l’ingegno d’ogni italiano: nazionalità, libertà, unità, federazione; non per risolverle, perchè fra i limiti del preteso possibile insolubili; ma per rimuovere ogni ingombro e spianare la via al ragionamenti che seguono.
Non proporrò sistemi: essi non sono che uno sforzo inutile dell’umano ingegno, avvegnacchè ogni società asconda in seno i suoi futuri destini. Un popolo, che dal dolore sospinto, rovescia l’ordinamento sociale sotto cui vive, ha di già attuato il suo rinnovamento: come, cessato un terremoto, la natura, che tutta sembrava sconvolta, adagiasi di nuovo fra te sue leggi magistrali; così alla voce imperiosa della necessità l’anarchia cessa, e la società, indipendente da ogni dottrina, si ricostituisce su que’ principii, che meglio ad essa convengono. Imponendomi a legge questo vero, mi fo a ricercare fra le dottrine de’ nostri filosofi le leggi di natura, che esprimerò in alcuni aforismi i quali, se la logica non mi è venuta meno, sono superiori ai diritti della nazione stessa, e debbono essere la base d’ogni contratto sociale, sotto pena di schiavitù e miseria.
Questi miei studi, che per quasi cinque anni mi hanno rimosso dall’ozio, non contengono al certo nulla di peregrino: i principii fondamentali ed i più arditi pensieri rivoluzionarii, rinvenni nelle pagine stupende de’ nostri filosofi; altro non feci che ragionare su di essi, e ragionarvi con animo libero da pregiudizii, da timori, da speranze, da simpatie. Se ho errato, non mancherà certamente chi con logica più retta ed animo più gagliardo ritenterà la impresa, che non è punto spregevole: determinare l’avvenire d Italia, studiandone il passato, e senza imbastardire la nostra recisa nazionalità; e costoro, troveranno nel mio libro, se non altro, una coscienziosa raccolta di geste, d’avvenimenti, e di pensieri italiani.
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