Piero Calamandrei: “La Costituzione è un testamento di centomila morti”
di CARMINE MORCIANO (ARS Bologna)
Sebbene tristemente colmo di spunti critici che il mainstream, come ogni mese, fornisce agli attenti ascoltatori – penso a come si parla dei fondi strutturali europei e a come si è trattata la disoccupazione in diminuzione durante questo caldo agosto – è tempo di parlare di politica, della vera politica, della buona politica alla quale dobbiamo ispirarci, della politica intesa come l’ombelico del mondo dal quale tutto passa e tutto viene modulato, creato o distrutto, a seconda degli alti o bassi che la società nel suo complesso vive e che, nel corso della storia, ha dimostrato (pessima prerogativa!) di subire senza riuscire a raggiungere una costante crescita di civiltà.
Ed allora ho pensato che nulla è più istruttivo e stimolante di analizzare un periodo di “alto”, di alti valori morali, se è vero come è vero che il buon esempio è la migliore istruzione che un padre possa dare al figlio.
Sarà stato per il fascismo, sarà stata la seconda guerra mondiale, sarà stata la fame e la mancanza di libertà, ma è inopinabile il fatto che uno dei punti più alti di civiltà per la nostra Nazione si è avuto nel secondo dopoguerra, dove il popolo tutto si è stretto in un unicum ed ha eletto i migliori per poter redigere le proprie regole, la propria struttura sociale, la propria Carta Costituzionale. Oggi essa è palesemente disattesa ed ai più purtroppo altresì sconosciuta, ma c’è stato un tempo in cui essa era il faro, e gli uomini che l’hanno pensata, costruita e divulgata ne erano i guardiani.
Tra questi uomini era presente Piero Calamandrei, il guardiano che ho scelto per il mio articolo, il buon esempio da seguire non solo nelle idee ma anche nell’azione. Nello specifico, la scelta è ricaduta su un discorso che Calamandrei tenne il 26 gennaio 1955 a Milano, durante un ciclo di sette conferenze sulla Costituzione Italiana, organizzato dagli studenti, universitari e non. Tali conferenze, oggi a noi sconosciute (preferiamo il Sig. Benigni…), furono concepite per spiegare ed illustrare i principi morali e giuridici che stanno a fondamento della nostra vita sociale. Pietro Calamandrei inaugurò e presentò l’evento e queste, selezionate ed estrapolate dal video disponibile in rete anche in forma più estesa, sono le sue immense parole:
“L’articolo 34 dice: I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. E se non hanno mezzi? Allora, nella nostra Costituzione c’è un articolo, che è il più importante, il più importante di tutta la Costituzione. Il più impegnativo. Impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani, che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’articolo primo l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, questa formula corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di studiare, e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa uguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto un’uguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale, non è una democrazia in cui tutti i cittadini veramente siano messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro miglior contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società. E allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà; in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere, quanto lavoro avete da compiere, quanto lavoro vi sta dinanzi.
La Costituzione non è una macchina, che una volta messa in moto va avanti da sé, la Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno bisogna metterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fa alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. L’indifferentismo. E’ un po’ una malattia dei giovani, l’indifferentismo.
‘La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica?!?!’ Io, quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcuno di voi conoscerà, di quei due migranti, due contadini, che attraversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva, e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime e il piroscafo oscillava. Allora questo contadino, impaurito, domanda ad un marinaio: ‘Siamo in pericolo?’. E questo dice: ‘se continua questo mare, tra mezz’ora il bastimento affonda!’. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice: ‘Beppe! Beppe! Beppe! Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda!’. Quello dice: ‘Che me ne importa?!?! Non è mica mio!!!’. Questo è l’indifferentismo alla politica!
E così bello, è così comodo, vero? La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi di politica, lo so anch’io, il mondo è così bello, ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica. La politica, non è una piacevole cosa, però la libertà è come l’aria, ci si accorge di quanto vale quanto comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica.
E’ la carta della propria libertà, la propria dignità, questo dare il voto. Questo portare la propria opinione per contribuire a creare questa opinione della collettività, questo essere padroni di noi, del proprio paese, della nostra Patria, della nostra terra, disporre noi delle nostre sorti, delle sorti del nostro paese. Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come cosa vostra, metterci dentro il senso civico, la coscienza civica, rendersi conto, questa è una delle gioie della vita, rendersi conto che ognuno di noi nel mondo non è solo, non è solo! Che siamo in più, che siamo parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo.
Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione. Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, voi giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti, combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché le libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no! Non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti! Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dov’è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate li giovani con il pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione!” (1).
Che dire, quanti spunti, quante analogie con la realtà che viviamo quotidianamente da ormai decenni. Ma, dall’altro canto, quanti insegnamenti, quanto buon esempio che potremmo trarre dalle parole di Calamandrei.
Seguiamolo nel suo ragionamento e andiamoci in pellegrinaggio nei posti dove la Costituzione è nata. Andiamo nelle montagne menzionate, andiamo a visitarle e leggiamo la storia di come si è combattuto per la libertà nei libri, nelle riviste, nei giornali.
Invito chiunque a ricercare ciò che è stata la Resistenza nelle sue terre. Ogni terra italiana ha storie di partigiani, diverse magari nei modi di lotta e nelle visioni del mondo, ma identiche nel valore fondamentale dell’essere umano e della sua dignità posto come stella cometa da seguire a tutti i costi, anche al costo di rinunciare ad un pezzetto del proprio ego, del proprio individualismo, della propria solitudine.
Io ho ricercato nella città che mi ha adottato da qualche anno, Bologna, e sono a riportarvi degli stralci che reputo importanti, istruttivi, buon esempio che sfonda e dovrebbe cancellare dalla vostra mente parole come “non c’è tempo”, o altri diktat e massime che ad una veloce analisi della realtà e della storia non hanno alcun fondamento effettivo.
Il libro che ho scelto è La Resistenza in Emilia Romagna, mentre la rivista che ho reputato più calzante per descrivere la realtà emiliano romagnola è l’”Avanti – L’Edizione Clandestina Bolognese”; questi sono gli stralci da me scelti:
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possiamo trovare Matteotti, perché la partigianeria è presente in ogni tempo in cui è servito ribadire l’assoluto valore della libertà della patria: “i giovani che hanno impugnato volontariamente le armi per combattere la libertà d’Italia, prendendo a simbolo del loro ardimento e delle loro alte idealità civili e patriottiche il nome di Giacomo Matteotti, non solo rendono doveroso onere al grande eroe e martire, ma ben meritano la riconoscenza dei lavoratori e del paese. Perché a questa meta Giacomo Matteotti ha sempre mirato nella sua lotta contro la tirannide fascista: liberare l’Italia dal fascismo. E questo non per puro spirito di opposizione, ma perché egli sentiva che il fascismo, con la sua politica di prepotenza e di sopraffazione, metteva a rischio l’esistenza della nazione .Il che Giacomo Matteotti, per quell’affetto spontaneo che ciascuno di noi nutre per il proprio paese, denunciò dalla tribuna della Camera dei Deputati, rivolto ai fascisti, in quello storico discorso, che gli doveva costare la vita, del 30 maggio del 24: “Voi si, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione”” (2);
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possiamo trovare la mobilitazione delle masse, dei popoli, del Sig. Nessuno che diventa grande all’interno di un tutto: “la resistenza bolognese dimostra come, via via che si dispiega la mobilitazione delle masse popolari (operai, donne, contadini), in vista di rivendicazioni economiche e sociali immediate, si sviluppa un movimento di lotta di grande ampiezza, il cui valore non è assolutamente economico -sociale ma è chiaramente politico e nazionale nello stesso tempo, tale da ampliare e rafforzare l’azione armata contro i nazi-fascisti” (3);
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troviamo la lotta di categoria combattuta dai contadini, mondine comprese; categoria apparentemente inerme agli occhi della logica: “in questo clima che inizia e si sviluppa la battaglia del grano, ossia la battaglia per impedire ai tedeschi di impossessarsene (…) Il loro proposito è di accaparrarsi tutto il grano della valle padana (…) La prima azione dei contadini è volta, quindi, a ritardare al massimo la mietitura: questa viene effettuata solamente al limite per evitare che le spighe si spappolino lasciando disperdere i chicchi di grano. I grandi proprietari terrieri premono per affrettare le operazioni, e in varie aziende ricorrono all’uso delle mietitrici meccaniche: in questi casi, contadini e partigiani intervengono sabotando le mietitrici per ritardarne ed impedirne l’uso. Il grano mietuto, per sottrarlo alla trebbiatura, non viene portato come di consuetudine nelle aie, né viene raccolto in uniche grandi biche. Alla resistenza dei contadini, i tedeschi contrappongono ordini e minacce di applicare la “legge di guerra contro i sabotaggi” (4). I fascisti invitano i contadini ad adempiere agli ordini nazisti e si apprestano a vigilare sulla loro esecuzione (…) Braccianti, mezzadri e piccoli coltivatori diretti, senza l’ausilio del bestiame da lavoro necessario e sprovvisti di vari attrezzi e macchinari ( in gran parte razziati dai tedeschi o distrutti) preparano i terreni ed effettuano le semine primaverili, per garantire il pane necessario a liberazione avvenuta (…) Lo sforzo consegue importanti risultati. Così la semina delle barbabietole da zucchero, delle patate, sotto l’impulso dell’azione contadina, garantirà raccolti che non sarebbero stati affatto assicurati per l’iniziativa dei grandi proprietari terrieri” (5);
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volendo fare una capatina nel mondo cattolico, si può trovare la storia di Don Zeno: “stampò e diffuse, per mano di piccoli apostoli, in migliaia di copie, un giornaletto nel quale era riprodotto l’appello qui in parte trascritto. A seguito del fatto, Don Zeno fu arrestato e tradotto nelle carceri di Mirandola, dal quale però fu poi rilasciato grazie alla compatta solidarietà popolare (…) Guai a coloro che credono che essere cristiani significhi essere anche conigli. Cristo ha saputo imporsi a Sinedrio e a Cesare a costo della vita. Lasciate il lavoro e venite a San Giacomo: uniamoci attorno all’altare per trattare i nostri sacrosanti diritti. Noi rappresentiamo l’ordine, noi siamo quelli che hanno lavorato, sofferto, pianto, lottato per tirare su la nostra gioventù, rovinata dal fascismo” (6).
Insomma, si possono trovare le storie più disparate, nelle riviste e nei libri più disparati, ma tutte unite da un unico filo conduttore che parla di libertà e di giustizia, di solidarietà e di sentirsi parte di un tutto, e spero che la meraviglia che avrete nel leggerle non risiederà solo nella consapevolezza che ciò è stato possibile, ma che ciò è possibile. Per concludere, voglio lasciarvi con qualche considerazione che non può non nascere spontanea, che non può non far riflettere:
– I partigiani non avevano né età né colore politico. Non ha senso dividersi in questioni particolari, specifiche, effimere ed inutili, quando a mancare è la libertà di fatto. La partigianeria ha ricompreso nelle sue fila la gente più diversa, di estrazione più diversa come di età più disparata. Ci sono lotte che il popolo deve combattere insieme, unito, per avere una speranza di riuscita;
– La riscossa non è venuta da nessun principe illuminato. Era impossibile, perché le barriere all’entrata poste dall’oligarchia dominante avevano reso vana tale prospettiva. C’è stato bisogno di un movimento dal basso, di cognizione e solidarietà popolare per scacciare lo straniero e il traditore. Per creare quell’alternativa necessaria che nessuno fornirà, ma che va costruita;
– qualsiasi lotta non può che essere politica. Fintanto che viveremo in istituzioni politiche rappresentative, che esse siano democratiche o non, repubblicane o non, qualsiasi volontà, aspirazione ed idea dei cittadini passerà per il giudizio della politica e da essa tornerà migliorata o distrutta. Qualsiasi comitato che oggi si forma, che parli di acqua o di Plutone riconosciuto come pianeta (qualche comitato è decisamente di troppo!), combatte decisioni che vengono prese a livello politico. In primis, a livello politico. Ed allora è quello il campo dove bisogna farsi valere;
– La Costituzione aspetta solo di essere ripresa in mano, di essere vissuta. A differenza della partigianeria la soluzione è a nostra portata. E’ già esistente, è lì, anestetizzata ma lì. Non abbiamo bisogno di Assemblee Costituenti, il nostro grande paese l’ha già avuta un’Assemblea Costituente, e l’ha avuta talmente luminosa che l’invidia di tutto il mondo rimarrà nei libri di storia nei secoli. Costruiamo sopra quel lavoro, non impegniamoci in riforme che lo anestetizzeranno ancor di più, concentriamoci sulle controriforme per far rivivere la Costituzione.
Quindi, in ultimo, oltre alle ricerche sulla partigianeria nei vostri territori, vi invito a fare ricerche sull’Assemblea Costituente e sulla Costituzione, per capire la sua vera essenza, ciò che realmente è: un meraviglioso fiore da coccolare e far crescere sano e prosperoso, con dedizione ed attenzione. In essa troverete un’amore per il benessere collettivo e della giustizia sociale che non ha eguali. Un picco di umanità che ci ha donato una grande Costituzione, che ad inizio articolo abbiamo apprezzato e conosciuto nelle parole di Piero Calamandrei e che abbiamo il compito di provare a far rivivere, di provare ad attuare nelle sue intenzioni scritte e non, nelle sue aspirazioni comunque implicite nei suoi valori fondanti, ricordandosi sempre che essa è un testamento di centomila morti.
Viva l’Italia. Ci libereremo!
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da l’”Avanti – L’Edizione Clandestina Bolognese” n. 6 del 23 aprile 1945 p. 43
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da “La resistenza in Emilia Romagna – rassegna di saggi critico-storici” Il Mulino 1976 p. 58
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da “La resistenza in Emilia Romagna – rassegna di saggi critico-storici” Il Mulino 1976 p. 71 – 72
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da “La resistenza in Emilia Romagna – rassegna di saggi critico-storici” Il Mulino 1976 p. 90
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da “La resistenza in Emilia Romagna – rassegna di saggi critico-storici” Il Mulino 1976 p. 352
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