E il Sud ?
Di NICOLA DI CESARE (ARS Sardegna)
In questa convulsa estate di propaganda di regime, tra ridanciani annunci di ripresa economica in assenza di aumento dell’occupazione e la stampa impegnata a distrarre le masse con l’ondata migratoria, in Italia si gioca una partita a tressette col morto.
Il morto è il Sud Italia, una parte del paese ormai alla deriva, dimenticata, non a caso, dagli organi di informazione e dalle politiche economiche nazionali; perché di Sud, date le sue attuali condizioni socioeconomiche, non si può e non si deve parlare; ne parliamo dunque noi cercando di rispolverare un’argomentazione, vecchia come l’unità del paese, che proprio di quell’unità dovrebbe essere l’architrave, quella che Antonio Gramsci definiva come “La quistione meridionale”.
L’argomento è controverso e spinoso sia dal punto di vista storico che statistico economico e ancor più dal lato politico economico ma al netto delle numerose analisi, su cui si sono versati interi oceani d’inchiostro, possiamo partire dalle condizioni di fatto che fotografano l’attuale situazione del Sud Italia.
I dati assoluti sono poco incoraggianti.
Nel 2008, allo scoppio della crisi generata “in vitro”, il PIL per abitante del mezzogiorno è pari a circa il 50% del PIL per abitante del centro nord. Questo dato era allora simile a quello statistico del 1951; oggi è inferiore dal momento che i tassi di decrescita registrati negli ultimi anni sono stati più alti al Sud che non al Nord.
Dal 2008 al 2014 il Sud ha perso 13 punti di PIL dal 2007 ad oggi, il Centro Nord 7,4, il Centro 10,4, L’Italia 8,4. La Grecia nello stesso periodo ha perso solo l’ 1,4% di PIL, ciò significa che il meridione d’Italia è la regione del continente Europeo ad aver subito il maggior tasso di arretramento.
Il calo nell’ultimo anno fa scendere il tasso di occupazione del Mezzogiorno sotto al 42% contro il 65% del nord; il tasso di disoccupazione del Sud si attesta al 19,5% contro l’ 8,5% del Nord. Nel 2014 i posti di lavoro in Italia sono cresciuti di 88.400 unità, tutti concentrati nel Centro-Nord (133mila). Il Sud, invece, ne ha persi 45mila. Essendo questi dati tratti da analisi ISTAT ed essendo note le modalità di calcolo dei tassi di disoccupazione la situazione è ben peggiore di quella ufficialmente divulgata.
Gli investimenti fissi lordi, dal 2008 al 2014 sono Calati del 38% nel Meridione e del 27% nel Centro-Nord e continuano a calare con differenziali negativi marcati a sfavore del Sud.
Al Sud si rileva un aumento del 40% di famiglie povere nell’ultimo anno.
Il Sud ha ricevuto negli ultimi anni il più grande taglio di risorse per il funzionamento del suo apparato pubblico ed in particolare su scuola, università e sanità pubblica.
Il Sud Italia è in ginocchio. Alla deindustrializzazione selvaggia fa da contraltare la tremenda decadenza infrastrutturale, che si aggiunge alla sua cronica carenza, e vaste aree territoriali sono abbandonate a se stesse o a strutture e organizzazione extrastatali o extralegali senza la minima possibilità di un controllo pubblico su di esse.
Che fa il governo ? Attua una politica molto semplice. Non fa assolutamente nulla perché le poche risorse che i vincoli dell’Unione Europea le consente di utilizzare non sono sufficienti nemmeno per l’ordinaria amministrazione. L’Italia de facto non possiede più un’amministrazione dello Stato in grado di controllare i propri territori; ma se possibile fa anche peggio; con l’articolo 12 della legge di stabilità per il 2015 il governo ha infatti disposto la cancellazione di investimenti nel Mezzogiorno per 3,5 miliardi di euro, tagliando le risorse del Piano di azione coesione per circa 10 miliardi; gli unici denari disponibili per il Sud dovrebbero arrivare da Fondi strutturali Europei erogati su base localistica e privatistica secondo una programmazione totalmente avulsa dalle esigenze di sviluppo del sistema economico macroterritoriale e con regole degne della peggior burocrazia Sovietica. In pratica l’Italia finanzia l’UE che poi dovrebbe riportare gli stessi denari in Italia solo su presentazione di progetti locali e quasi sempre in cofinanziamento pubblico-privato in un territorio in cui le banche private raramente erogano ai privati un solo euro.
Non è stato sempre così; facciamo un passo indietro.
Fino alla metà degli anni ‘80 il Sud correva più del Nord. Nel trentennio 1951-1981 il mezzogiorno d’Italia attenò il suo divario guadagnando mezzo punto di PIL pro capite all’anno rispetto al Nord per effetto del costante aumento di produttività del mezzogiorno rispetto al Settentrione. Successivamente, tra il 1981 e il 2007 (ancor peggio oggi) il divario si riattestò sui livelli del 1930 !
Cosa accadde in quegli anni ? Una cosa semplicissima. A far quadrare i conti furono le tanto disprezzate (dai capitalisti liberoscambisti) politiche di industrializzazione del meridione realizzate con l’impiego di capitale pubblico. Un’azione di decentramento della concentrazione industriale del paese verso le periferie che “rischiava” di sottrarre alle elite industriali del centro nord il monopolio dei mercati nazionali e che contribuì a far diventare l’Italia una potenza industriale capace di insidiare la leadership delle economie del Nord Europa.
Il risultato dell’opera della Cassa per il mezzogiorno e dell’istituto delle partecipazioni statali affidato nel 1956 a un omonimo ministero soppresso nel 1993, fu quello di attuale una previsione che all’epoca della sua formulazione poteva apparire come visionaria ma che se reinterpretata in chiave recente va ben oltre il suo significato rivoluzionario:
“La borghesia settentrionale ha soggiogato l’Italia meridionale e le isole e le ha ridotte a colonie di sfruttamento; il proletario settentrionale, emancipando se stesse dalla schiavitù capitalistica, emanciperà le masse contadine meridionali asservite alla banca e all’industrialismo parassitario del Settentrione. La rigenerazione politica ed economica dei contadini non deve essere ricercata nella divisione delle terre incolte o mal coltivate, ma nelle solidarietà del proletariato industriale, che ha bisogno a sua volta dei contadini, che ha interesse acchè il capitalismo non rinasca economicamente dalla proprietà terriera e ha interesse acchè l’Italia meridionale e le isole non diventino una base militare di controrivoluzione capitalista. Imponendo il controllo operaio sull’industria, il proletario rivolgerà l’industria alla produzione di macchine agricole per i contadini, di stoffe e calzature per i contadini, impedirà che l’industria e la banca sfruttino i contadini e li soggioghino come schiavi alle casseforti… (omissis) instaurando lo stato operaio che soggioghi i capitalisti alle legge del lavoro utile…” (Antonio Gramsci da L’Ordine Nuovo 3 Gennaio 1920).
Il divario testimoniato dai rapporti di forza tra nord e sud di allora, che ancora, dopo quasi 100 anni, permane, si può comprendere con maggior chiarezza oggi se rapportato alla condizione nazionale nei confronti del giogo della finanza Nordeuropeista.
L’auspicio di Gramsci divenne realtà, ventotto anni più tardi, declinato secondo le categorie e le esigenze dei tempi, dalla traduzione in politica economica del dettame della Costituzione della Repubblica Italiana del 1948.
Le statistiche parlano, tuttavia, più di mille parole e la rincorsa all’annullamento del divario di produttività e di reddito si fermò proprio nel 1981, anno in cui il capitale apolide transnazionale decise che l’epoca dello stato parificatore e dispensatore del diritto al lavoro doveva essere spazzata via e con lei anche le speranze del meridione d’Italia di riunirsi e di contribuire alla crescita del paese con pari mezzi e pari dignità; in quell’anno, la separazione tra le politiche monetarie della banca d’Italia e le esigenze di finanziamento dell’azione dello Stato attraverso lo scoperto di conto corrente di tesoreria e il riacquisto delle attività di mercato aperto, impedirono di fatto allo stato democratico di disporre delle risorse per attuare le necessarie politiche di riunificazione economica del paese.
Il resto è storia recente fatta di svendita dello stato alla speculazione privata per via Unionista, di demolizione dei diritti del lavoro, dei diritti sociali, di disoccupazione dilagante per via Eurista e di demolizione delle fondamenta dello Stato Italiano per mano degli attuali protettorati governativi di derivazione coloniale.
Riprendere in mano quel percorso, abbandonando la deriva fascista globalista delle elite finanziarie apolidi dell’Unione Europea, è un dovere civico che dobbiamo assolvere per la sopravvivenza fisica del nostro paese e nel rispetto dei padri della nostra costituzione.
Riferimenti web:
http://www.paolomalanima.it/default_file/Papers/ORIGINI_DIVARIO.pdf
https://www.senato.it/3182?newsletter_item=1530&newsletter_numero=149
http://www.istat.it/it/files/2014/05/cap1.pdf
http://www.svimez.info/index.php?option=com_content&view=article&id=271&Itemid=127&lang=it
http://www.istat.it/it/archivio/159350
Le elites finanziarie apolidi sarebbero “fasciste”? Guarda un po’, io pensavo che quella fascista fosse un’ideologia nazionale (e razziale) per antonomasia, votata alla valorizzazione dell’organicismo comunitario. Un’ideologia che individuava il suo principale avversario proprio nella finanza apolide (e nel suo ispiratore per eccellenza, il giudaismo internazionale), a cui contrapponeva la celebrazione del lavoro e della produttivitä reale.
Si vede che ho le idee un po’ confuse…
L’articolo è ottimo. E’ vero che le elite finanziarie non sono fasciste in nessuno dei sensi possibili e che alla fine dell’articolo il termine fascista è utilizzato, come si è fatto spesso, come epiteto da affibbiare al cattivo. Ma a parte questa svista – la si può considerare una svista senza che ciò voglia dire difesa del fascismo sotto uno o altro profilo – l’articolo è ottimo.
Le analogie col fascismo sono molto evidenti. Bisogna saperle cogliere.
Abolizione dello Stato etico e organicismo del modello finanziario speculativo
Il modello finanziario transnazionale costituisce la realizzazione nella storia dei massimi valori spirituali di cui è depositaria la upper class finanziaria . La “società civile” non ha autonomia, è organizzata e subordinata agli interessi dell’upper class finanziaria.
Gli interessi del sistema finanziario globale vengono prima del singolo individuo. Gli individui sono chiamati alla mobilitazione e al sacrificio in nome degli interessi della finanza globale
Impersonificazione e apolidizzazione del potere
Gli individui a guida della finanza internazionale sono anonimi. Essi concentrano su di sè totalità dei poteri attraverso la cancellazione delle autonomie costituzionali dei singoli stati e il controllo diretto e indiretto dei loro parlamenti o centri di produzione legislativa.
L’individuo abbiente viene proposto dalla propaganda come un modello di “uomo nuovo” e dinamico, l’unico adatto alla sopravvivenza in un mondo globalizzato.
Partito unico
Il partito della finanza globale è il partito unico (proibizione dei partiti diversi da esso); pervade e organizza tutta la società. L’accettazione delle regole del partito è obbligatoria e l’ideologia del partito pervade l’intera amministrazione del “nuovo Stato”
Globalizzazione delle masse
Complesso di interventi dei “nuovi stati” per indottrinare le masse, per formarle all’ ideologia e alla prassi speculativa (organizzazione della cultura, controllo della stampa, attività intensiva di propaganda, controllo della scuola). Il partito della finanza globale usa in maniera assai efficace i nuovi strumenti di comunicazione vecchi e nuovi come la radio, cinema, internet, stampa ma anche, arte, letteratura, social network; In questo quadro rientra anche l’uso politico delle religione (cui i vertici delle varie confessioni si prestano in svariate occasioni).
Ideologia e pratiche militari e paramilitari
Il partito della finanza globale è supportato dalle organizzazioni paramilitari mercenarie; l’ideologia militaresca e le pratiche militari e paramilitari sono diffuse e finanziate allo scopo di destabilizzare le resistenze degli stati nazionali tradizionali.
Lo stile militare viene applicato nel partito della finanza globale nell’ambito della amministrazione ed entro istituzioni collettive per indurre rassegnazione nella popolazione e convincerla dell’inutilità di eventuali azioni di protesta.
Irredentismo e revisionismo
Il mondo deve completare il “risorgimento globalista”, ovvero la distruzione degli stati nazionali e la loro liquidazione con l’acquisizione di tutte le “terre irredente” . Il revisionismo contro le storie costitutive degli stati nazionali e contro l’idea di una politica a favore delle classi meno abbienti è una delle azioni più incisivamente condotte dal partito al cui fine sono strette alleanze con le principali organizzazioni criminali globali.
Globalismo.
I conflitti tra stati residuali vengono fomentati con lo scopo di indebolirne l’indipendenza e instaurare dei regimi obbedienti. I conflitto di classe è superato con la sostanziale dicotomizzazione e polarizzazione delle stesse che porta alla creazione di una classe di superricchi intoccabili e inarrivabili e una sconfinata popolazione di produttori/consumatori al limite della sussistenza.
Razzismo
Il razzismo dell’upperclass del partito finanziario globale è fomentato e incentivato per indebolire il conflitto sociale.
Politica demografica
La politica demografica è sostituita dalla pianificazione degli esodi continentali indotti da crisi umanitarie provocate da guerre o carestie scientificamente provocate.
L’Imperialismo e colonialismo
Nel quadro dell’apolidismo e del razzismo sociale, gli appartenenti al nuovo ordine finanziario globale sono impegnati nell’occupazione di ogni spazio economico possibile in ogni continente con l’uso del deterrente speculativo e/o della guerra.
Militarismo epolitica estera aggressiva
I rapporti tra gli Stati nazionali resistenti e quelli finanziariamente occupati si risolvono in ultima analisi con la forza. La forza militare è la massima espressione dello spirito, della cultura e dello sviluppo economico e tecnico della finanza globale.
Lobbismo
Vengono riconosciute le lobby come enti che organizzano interessi economici specifici presenti nella società (gli industriali, i lavoratori, …). Le corporazioni sono obbligatorie e sostituiscono le libere organizzazioni sindacali (che vengono di fatto proibite). Tentativo di eliminare il conflitto di interessi e i conflitti di classe sotto la minaccia della crisi economica finanziaria.
Dirigismo economico della finanza privata
La finanza globale guida le scelte nell’economia (contro il libero mercato), guida lo sviluppo economico, promuove la colonizzazione in nome dell’interessa globale. Il fine
dell’economia è la potenza della finanza globale;
L’economia finanziaria vende assistenza agli individui dell’uperclass in tutte le fasi della sua vita. La finanza interviene attraverso la commercializzazione di sistemi di sicurezza sociale e di protezione per le fasce deboli della popolazione. L’assistenza ai cittadini non è intesa come un diritto individuale, ma come un interesse della stabilità del regime di sfruttamento del lavoro e in quanto tale a un livello minimale. Lo stato organizza anche gli svaghi e il tempo libero. In cambio dell’assistenza e della sicurezza sociale lo Stato si intromette tuttavia nella vita privata dei singoli, fino a chiedere il massimo sacrificio in termini di sfruttamento del lavoro.
Controllo sociale e repressione
La finanza globale usa svariati strumenti di controllo sociale di tipo soft (facilitazioni,pressioni, intimidazione) nei confronti della popolazione. Usa nei confrontidei nemici politici forme di repressione e di terrore (violenze, assassinio politico, il controllo dei tribunali, confinamento, deportazione). Nei territori irredenti e nei paesi occupati si è resa responsabile di svariati crimini (atti di guerra contro popolazioni civili, distruzioni di villaggi, esecuzione di prigionieri, rappresaglie, uso di armi proibite, deportazioni, concentramento, assassini politici).
Totalitarismo
Con questo termine si definiscono diverse delle caratteristiche già presenti in questa lista. Sono le caratteristiche che finanza globale condivide tutti i regimi di stampo fascista.
Certo che la fantasia è uno strumento meraviglioso.
Si riesce a trasformare il mondialismo in fascismo come fosse Antani con scappellamento a destra.
Si raggiunge poi un tocco di involontaria comicità con il concetto di “dirigismo economico della finanza privata” che è un pochino come dire “comunismo della iniziativa individuale”.
Va beh, diciamo che il free climbing sugli specchi diventerà lo sport nazionale dopo la Liberazione.
L’importante è chiamare “fascismo” tutto quello che ci sta sulle palle: “fascismo stradale” (gli ingorghi che ci fanno fare tardi), “fascismo bancario” (il mutuo a tasso variabile che ci frega), “fascismo femminile” (la tipa che proprio non ne vuol sapere di noi).
E così via verso il sol dell’avvenire.
La comicità non è molto adatta a rispondere nel merito di una questione politica così controversa. Comunque in effetti sei simpatico. Mi hai fatto ridere.
Caro Di Cesare, la questione non è controversa, e direi che D’Andrea l’ha liquidata con il minor numero di parole possibili: “il termine fascista è utilizzato, come si è fatto spesso, come epiteto da affibbiare al cattivo”.
Il che mi sta anche bene, dato il bacino elettorale (presunto) in cui si vuole pescare, ma addirittura tentare contorte dialettiche bizantine per suffragare questa tesi, mi consenta (come diceva un altro che per 20 anni è stato definito “fascista”) è ridicolo.
Dio mi guardi dallo screditarti l’articolo o dal sospettarlo/ti di apologia di fascismo! Lunga vita alle tabuizzazioni imposte dal conquistatore di turno e a chi cammina sul sentiero inclinato della political correctness!
PS: concordo sulla validità dell’articolo. Anche se è a sua volta molto politically correct – se napoletani e calabresi fossero abbastanza ottusi da vivere per lavorare anziché lavorare per vivere, accettare indistintamente e in modo irriflesso le regole vigenti, e irreggimentarsi automaticamente rispetto a ogni ordine costituito, come fanno i tedeschi e i pochi superstiti di italiani settentrionali sopravvissuti alla colonizzazione meridionale, oggi il sud sarebbe anch’esso una Baviera o una Lombardia, invece di morire in assenza dei finanziamenti di chi lavora per tutti.
“se napoletani e calabresi fossero abbastanza ottusi da vivere per lavorare anziché lavorare per vivere, accettare indistintamente e in modo irriflesso le regole vigenti, e irreggimentarsi automaticamente rispetto a ogni ordine costituito, come fanno i tedeschi e i pochi superstiti di italiani settentrionali sopravvissuti alla colonizzazione meridionale, oggi il sud sarebbe anch’esso una Baviera o una Lombardia, invece di morire in assenza dei finanziamenti di chi lavora per tutti.”
un po’ come questi PIIGS degli europei del sud eh?
Tra l’altro da notare l’incoerenza: “quella fascista fosse un’ideologia nazionale (e razziale) per antonomasia, votata alla valorizzazione dell’organicismo comunitario.” e organicismo comunitario che significa se non che esiste una comunità unita e indivisibile dove i membri all’interno si aiutano e assistono l’uno nell’altro per compensare le difficoltà e migliorarsi? Chissà perchè i missini furono sempre in prima fila contro i sentimenti anti-meridionalisti, ben più addirittura dei comunisti (non per niente i primi leghisti venivano dal PCI, così come alcuni gruppi radicali del MSI, i famosi nazisti dell’Illinois ovvero della Bassa Padana).
Qua mi sa che il nostro amico confonde il comunitarismo sociale con quello libertario. Il primo è quello che ho accennato io. Il secondo è quello che annovera intellettuali del rango di Hoppe e Miglio: per la serie “chi vive col frutto del proprio lavoro ci viva, gli altri spariscano”
Ah, comunque per curiosità, lo scandalo delle BMW cosa l’ha causato? Le leggi del vincitore di turno o della meridionalizzazione dei popoli nordici? (perbacco! Ci sarà pure qualche ingegnere terrone a lavorare in quelle irrigimentatissime e automatissime fabbriche)?
Sono costretto a riprendere la discussione qua, perché il programma non consente di rispondere.
A mio avviso il caratteri indiscutibili del fascismo – di tutto il fascismo, non di sue componenti, per quanto maggioritarie, caratteri sempre presenti durante il ventennio – sono:
i) il nazionalismo che era teorizzato come necessariamente imperialistico: il nazionalismo è sempre, secondo Gentile e Mussolini, imperialismo: ha un piede di qua e uno di là;
2) l’esaltazione della guerra (non semplicemente il ricorso alla guerra ma l’esaltazione della guerra);
3) la negazione delle libertà formali (di parola, di associazione, di riunione, personale;
4) l’essere una dittatura formale;
5) la concezione dello Stato etico o stato educatore: la politica per Gentile è pedagogia.
Tutto il resto (salvo forse il principio di gerarchia, che potrebbe essere un altro carattere peculiare) o è stato occasionale (certo interventismo generato dalla crisi del 29) o è stato solo teorizzato (corporativismo) o ha caratterizzato solo alcuni (certa cultura futurista) o era in realtà un tratto del tempo in gran parte del mondo (l’esaltazione e il ruolo della famiglia). La dittatura di classe (della classe borghese) ci fu indubbiamente. Ma non si ebbe una accentuazione rispetto alla passata epoca liberale, sicché nel rapporto di classe il fascismo non fu peggiore di tante democrazie liberali, con la conseguenza che il classismo borghese non ne è un carattere peculiare.
La volontà di distruggere gli Stati nazionali, la negazione di ogni ruolo pedagogico degli stati nazionali, il metodo del dispotismo illuminato, che rifiuta l’uso della guerra almeno in Europa e lo limita fuori dall’europa, metodo comunque non fondato sulla esaltazione della guerra, che anzi è fatta di nascosto secondo la più antica tradizione, il riconoscimento delle libertà formali fondamentali a mio avviso fanno dell’Unione europea una entità ANTIFASCISTA, così come vari altri caratteri dell’Unione europea la rendono ANTICOMUNISTA, ANTISOCIALISTA, ANTISTATALISTA, ANTIPATRIOTTICA (o antinazionalista, se il nazionalismo è inteso come patriottismo), ANTIDEMOCRATICA, ANTIREPUBBLICANA.