"E noi che siamo padani / abbiamo un sogno nel cuore: / bruciare il tricolore, bruciare il tricolore"
di CLAUDIO LAZZARO (giornalista e documentarista)
L’articolo, uscito sull'”Unità” il 16 giugno 2006, è un po’ datato, ma toglie ogni dubbio se mai ve ne fossero sui reali obiettivi della Lega, partito che è nato e che morirà secessionista. [gm]
Va preso sul serio? Bossi torna al linguaggio duro, quello del ’96, quando lanciò la sua sfida allo Stato con la dichiarazione d’indipendenza della Padania. In quegli anni diceva. “Faremo il governo del Nord, un governo senza poltrone, il governo delle carabine” e ai magistrati che indagavano sulla Guardia nazionale padana, le Camicie verdi, accusate di essere una formazione paramilitare, ricordava: “Una pallottola costa solo 300 lire”. Oggi, a pochi giorni dal referendum sulla Costituzione, minaccia il ricorso a vie non democratiche se i no dovessero vincere, se la riforma che riorganizza su base federale dello Stato italiano venisse respinta dal voto popolare.
Nel film Camicie Verdi, distribuito con l’Unità, cerco di dare una risposta documentata e imparziale, proprio a questa domanda: le minacce di Bossi vanno prese sul serio, o sono soltanto sparate da comizio, buttate lì per riscaldare il popolo leghista? Ed ecco che scorrono le immagini. Vediamo Bossi, nel ’98, portare in piazza 40.000 persone a Verona. Il palco degli oratori è a un isolato dalla casa del procuratore capo Guido Papalia, titolare dell’inchiesta sulle Camicie verdi. Bossi usa toni minacciosi, indica la casa del magistrato. E l’europarlamentare della Lega, Mario Borghezio, dallo stesso palco, urla: “Lo cacceremo a calci nel culo! Daremo la sua casa a un onesto lavoratore!”
Che cosa vi ricordano questi metodi, questo linguaggio? Nel film c’è anche una mia intervista al senatore Corinto Marchini, il fondatore, nel ’96, delle Camicie verdi, poi fuoriuscito dalla Lega. Marchini racconta che Bossi gli chiese di organizzare manifestazioni eclatanti, di bruciare il tricolore in piazza, di tenersi pronto a sparare sui carabinieri. Non sappiamo se Bossi abbia veramente detto cose di una tale gravità. Ma osserviamo la faccia di Marchini, il fondatore della Camicie verdi, e ci facciamo un’idea. Marchini racconta anche di un complotto interno alla Lega per uccidere Borghezio, col duplice scopo di eliminare un concorrente politico e creare un martire da spendere sulle piazze. Questa sembra veramente una panzana. Ma quando la racconto al diretto interessato, sulla faccia di Borghezio a tutto schermo non si vede battere ciglio. Nessuno stupore, anzi dichiarazioni del tipo, certo in una fase come quella sono cose che potevano anche succedere.
Siccome non volevo centrare tutto sugli aspetti complottardi, ma anzi dare spazio adeguato alle ragioni e agli umori del popolo della Lega (prima capire, poi eventualmente condannare) non ho montato nel documentario altre rivelazioni di Marchini. “Nel ‘98”, dice l’ex senatore della Lega, “uno dei capi delle Camicie Verdi era un certo Signorini, che solo più tardi scoprii essere il realtà un terrorista di Prima Linea, Roberto Sandalo, protetto dai servizi segreti”. A suffragio di questa ipotesi, che Sandalo fosse un infiltrato per conto dei servizi, Marchini non è in grado di fornire prove. Di fatto troviamo un terrorista, forse pentito forse no, sicuramente addestrato all’eversione e all’uso delle armi, occupare un posto di comando nell’organizzazione, secondo il procuratore capo di Verona, paramilitare, denominata Camicie verdi, Guardia nazionale padana. Signorini viene smascherato e allontanato. Ma quello è il clima.
Borghezio sostiene: “La violenza della Lega è soltanto verbale”. E, come se questa premessa fosse un lasciapassare, lo vediamo, nei suoi comizi dal palco, riversare sulla folla un’incitazione all’odio così feroce e veemente che, pur avendo lavorato sui materiali all’infinito per il montaggio, tutte le volte che partecipo a una proiezione in pubblico mi fa star male. Perché? Forse perché avverto un crescendo di aggressività in quelle immagini, scatenato e irresponsabile, che può sfociare, anzi si vede sfociare, con la strage di Bengasi sobillata dalle stupide magliette di Calderoli, negli scenari apocalittici cui la cronaca internazionale ci ha ormai abituati.
C’è una frase che ricordo e che ritornava sempre nelle mie cronache dai Balcani per il “Corriere della Sera”. Parlavo con intellettuali, politici, gente comune, sopravvissuti alle guerre civili scoppiate nella ex Jugoslavia. E tutti mi dicevano la stessa cosa: “Non avevo minimamente previsto l’esplosione di questa violenza, non avrei mai immaginato che il mio vicino di casa si sarebbe trasformato nel mio aguzzino, che il nostro paese sarebbe diventato un campo di battaglia”. La cito non per montare un confronto improprio tra la nostra situazione e quella balcanica, ma per ricordare a tutti, e principalmente a chi vota per la Lega Nord, che la violenza, quando viene evocata, tende a uscire di controllo: un primo passo irresponsabile ne provoca un altro che diventa necessario. Attenzione. Facciamo un passo indietro. Ragioniamo. Un politico non deve mai agitare la minaccia del ricorso a vie non democratiche. Si trattasse anche soltanto di parole, di violenza puramente verbale, chi ci dà la garanzia che qualcuno non le prenda sul serio?
Nel film mostro le immagini dell’attentato a Montebelluna, 21 maggio 2005. Un’auto carica di bombole viene fatta esplodere. Poteva essere una strage. Sul cofano una scritta: “La prossima è per la Puppato”. Laura Puppato, sindaco di Montebelluna, eletta con una lista di centrosinistra a poca distanza da Treviso, dove la linea del sindaco Gentilini regna incontrastata, più volte era stata il bersaglio di violenze verbali. E nel film vediamo Gentilini tenere uno dei suoi comizi, davanti all’immagine immensa di un biondo padano che a torso nudo spezza le catene. Immagine che sembra prelevata di peso dall’iconografia nazifascista, per non parlare dei toni e dei contenuti del suo intervento.
Naturalmente questo invito alla responsabilità e alla prudenza ha senso solo se rivolto a persone che abbiano a cuore il destino del Paese. Bossi è una di queste persone? Al termine del mio reportage attraverso le varie anime della Lega mi permetto di dubitarne. Bossi è pronto ad allearsi con chiunque pur di ottenere il suo obbiettivo. Nel film, bastano i materiali di repertorio a smascherare il gioco della Lega. Vediamo Bossi che incita a buttare il Tricolore nel cesso, ma lo vediamo anche giurare fedeltà alla Repubblica Italiana e alla Costituzione davanti a un Berlusconi sorridente e compiaciuto. Lo stesso Berlusconi, che in un altro filmato Bossi descrive a tinte fosche: monopolista televisivo che strangola la libertà d’informazione, pericoloso riciclatore dei capitali della mafia.
Oggi la linea ufficiale della Lega, in vista del referendum del 25 giugno sulla devolution (una riforma, non dimentichiamolo, scritta da Calderoli, quello delle magliette), è moderata e federalista. Ma basta osservare, nel film, le manifestazioni di piazza, anche le più recenti, per notare che lo slogan più urlato è ancora “SE/CES/SIO/NE” e il coro intonato con più entusiasmo, anche dall’europarlamentare Mario Borghezio in persona, suona irrimediabilmente così: “E NOI CHE SIAMO PADANI/ABBIAMO UN SOGNO NEL CUORE/BRUCIARE IL TRICOLORE/ BRUCIARE IL TRICOLORE”.
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