di GIUSEPPE CESARE ABBA
Nel porto di Napoli, 31 d’agosto
Il cielo, il golfo, l’isola, il Vesuvio che esulta nell’azzurro ardente, e tutta la campagna che si ammanta di colori fini, sempre più fini, via via sin laggiù dove sfuma nell’aria; nulla, sa nulla di quel che avviene? Ma! l’immensa città che sgomenta a vederla, bolle di passione che si indovina. Quella è la Reggia. Dunque da quei balconi, mostrando loro i galeotti nel bagno, Ferdinando secondo diceva ai figli suoi che quelle catene erano l’alfabeto dei giovani prìncipi?
Lontano, lungo una via a mare, si vede una colonna di soldati che vanno, vanno, vanno. Chi sa cosa sarà di loro tra pochi giorni? Guardo il mare qui attorno. Forse il Carmel [vapore postale francese che imbarcò alcuni dei Mille a Messina, ndr] galleggia nel punto dove, improvviso, venne su dall’acqua il cadavere del Caracciolo [il celebre ammiraglio della Repubblica Partenopea, giustiziato da Nelson nel 1799; il suo corpo fu gettato in mare, ndr], son sessant’anni. Tra questi vecchi barcaroli che vengono intorno al Carmel, vi potrebbe essere chi lo vide: eppure a noi il fatto dà un senso di antichità buia buia. Le barche della polizia ci rondeggiano intorno, ma dei signori napoletani son venuti a bordo lo stesso, e si son lasciati vedere a parlare con noi. Garibaldi, Garibaldi; è il loro spasimato desiderio, la loro agonia. Quando verrà?
Un signore nostro compagno di viaggio che fece un giro per la città, torna e dice che vi si parla d’una gran cosa avvenuta in Calabria. A Soveria Mannelli, Garibaldi avrebbe fatto deporre le armi ai quindicimila soldati del general Ghio [arresosi senza combattere il 30 agosto 1860 e passato all’Esercito Italiano, ndr]! Ma allora che farà il re di Napoli? Si stenta a non lasciarsi prendere da un certo sentimento di compassione.
[Da Quarto al Volturno, 1880]
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