Una missione per l'Italia
di LUCIANO DEL VECCHIO (ARS Emilia-Romagna)
Giuseppe Mazzini associava la volontà di indipendenza e di unificazione della nazione italiana a un’alta missione storica: affermare il principio di nazionalità ponendosi alla guida dei moti rivoluzionari dei popoli europei ancora oppressi: una missione suggerita dal primato italiano proveniente da quello della Roma dei Cesari che aveva unificato politicamente il mondo antico, poi dalla Roma dei Papi che aveva unificato l’Europa in senso religioso, per concludersi nel primato della terza Roma, quella del Popolo. La Roma del Popolo avrebbe guidato i popoli verso la fratellanza universale strutturata secondo il principio di nazionalità. Spettava all’Italia, dopo aver conquistato l’Unità e la Repubblica, dare il via alla creazione di una civiltà espressa dall’associazione dei popoli liberi e ad aprire una nuova era nella storia dell’uomo. Per svolgere questo compito gli Italiani avevano non solo il diritto ma soprattutto dovevano sentire il dovere di liberarsi.
Non importa quanto fosse realistica o utopica, politicamente concreta o idealmente astratta la visione mazziniana, ciò che conta è che Mazzini aveva compreso che ogni popolo che voglia risorgere, ieri come oggi, debba darsi una missione storica, un progetto ideale e politico che trascenda e nobiliti il suo riscatto. Forse Marx includerebbe la missione di un popolo tra le sovrastrutture ideologiche, morali o religiose, campi battuti per camuffare il più delle volte conflitti politici, commerciali, finanziari, o egemonie coloniali o accaparramento di risorse. In effetti, è quello che osserviamo nel campo nemico dove la finanza capitalista globalizzata, organizzata amministrativamente nell’Unione Europea, si serve anch’essa del liberismo economico e dell’individualismo ideologico per imporre la sua egemonia e il suo dominio quanto mai strutturalmente reali.
Ogni popolo ha la sua missione. In contrapposizione al relativismo etico del cosiddetto Occidente progressista, la Russia di Putin mira a risorgere come potenza politica sposando la difesa dei valori tradizionali. Non è da meno il Califfato che dalla più spietata applicazione della legge religiosa trae forza per attuare la missione politica di riunire tutti gli islamici d’Asia e d’Africa sotto un unico regime. Progetto di non minor grandezza concepì la Libia di Muammar Gheddafi che, dopo il vertice dell’Organizzazione per l’Unità Africana (2000), puntò moltissimo sulla liberazione dell’intera Africa, vittima pluridecennale di indipendenze finte e di liberazioni apparenti.
Anche oggi, non diversamente che nel Risorgimento, l’Italia, se intende risorgere, deve darsi una missione che erompa naturalmente dal suo sviluppo storico, civile e culturale e dalla sua posizione geografica, riscoprendo i valori della civiltà mediterranea, di cui fa parte e che essa stessa ha contribuito a creare e ad alimentare nel corso dei secoli con il diritto, la filosofia, le scienze e le arti. Una cultura profondamente mediterranea, per quanto aspiri a dirsi metropolitana, rimane la cultura della provincia e della contrada, che sperimenta il senso del limite e non si conforma del tutto alle logiche estranianti delle megalopoli o degli spazi anonimi lungo i quali fluiscono merci, capitali e masse di migranti sradicati e perennemente deportati.
In contrapposizione alla logica liberista e capitalista dobbiamo recuperare le peculiarità della patria nella dimensione ideale che caratterizza la nostra quotidianità, e nella dimensione materiale che ci riconduce alla nostra economia e alle nostre produzioni, che abbiamo svenduto e liberalizzato. Su questi piani dobbiamo essere liberi di sperimentare attività che, oltre a produrre reddito, garantiscano soprattutto qualità di vita, essere liberi di contrapporre all’iperattività anglosassone la cultura che dà ancora spazio alla dolcezza del vivere, alle relazioni sociali aggiunte, all’ospitalità, all’equilibrio dei comportamenti sociali. Esistono valori di un’antropologia mediterranea che, oltre a costituire il baluardo ideale contro la degenerazione turbocapitalista, si intrecciano con gli interessi geopolitici dello Stato sito al centro del Mediterraneo e danno corpo alla sua missione storica.
Questa posizione strategica, che evoca storiche relazioni culturali e rapporti commerciali intensi, non consente all’Italia di estraniarsi da nulla di ciò che accade nei paesi che si affacciano su questo mare. Sommovimenti politici, cambiamenti sociali, condizioni economiche, conflitti, accordi, trattati, migrazioni, niente di ciò che avviene su queste coste e che attiene alla sua sicurezza può essere ignorato dall’Italia. Volendo parafrasare una famosa frase del commediografo latino Terenzio Afro, potrebbe valere il detto: mediterranei nihil a me alienum puto. L’Italia non è sul Baltico e la sua missione storica è tutelare e salvaguardare la vita di tutti i popoli mediterranei, perché la loro sicurezza coincide con la nostra. La libertà e l’indipendenza dell’Italia è troppo preziosa per questi popoli il cui interesse è far riferimento all’Italia come garante della loro sicurezza. Nessun altro paese può farlo al suo posto, perché nessuno dei paesi mediterranei può vantare come l’Italia la visione sovranazionale e super partes che nasce non soltanto dalla sua posizione geografica ma anche dalla sua storia lunga quasi tre millenni, nel corso dei quali Roma ha dato al Mediterraneo le istituzioni della politica e le infrastrutture di un’elevata civiltà.
Non si tratta di ergersi a sub-potenza regionale, o di rincorrere irrealisticamente antistoriche egemonie politico-militari, come sembra fare la Francia, riottosa ad abbandonare visioni e velleità colonialiste ottocentesche nei confronti dell’Africa e del Medio Oriente, ma semplicemente esigere e imporre la sicurezza propria e dei paesi fratelli, e impedire al prepotente di minacciare il debole: missione inconciliabile con l’appartenenza all’Unione europea. La sicurezza del Mediterraneo non può essere garantita da potenze d’oltremanica o d’oltreoceano, il cui ruolo di “pacificatori” abbiamo osservato – purtroppo complici e alleati – nella guerra dei Balcani quando l’Unione Europea, lungi dall’unire i popoli, ha invocato l’aiuto americano per bombardarli; non diversamente extra-mediterranei hanno “pacificato” la Libia, come in corso d’opera stanno pacificando la Siria e come, fin dagli anni ’50 del secolo scorso, hanno tentato invano di destabilizzare l’Egitto (Suez 1956).
Abbiamo visto e sperimentato negli ultimi decenni del secolo scorso e all’inizio di questo che l’Italia è alla mercé di tutte le irragionevolezze geopolitiche degli stati nord-atlantici fino al punto – insopportabile e inaccettabile – di partecipare forzatamente a guerre condotte contro i propri interessi nazionali. L’Italia ha il dovere mazziniano di liberarsi e di riconquistare la sua sovranità per dare il via alla liberazione e al riscatto degli stati e dei popoli fratelli che si affacciano su tutte le sponde del “suo” mare.
Ottimo articolo.
Un buon articolo soprattutto nel passaggio “Abbiamo visto e sperimentato negli ultimi decenni del secolo scorso e all’inizio di questo che l’Italia è alla mercé di tutte le irragionevolezze geopolitiche degli stati nord-atlantici fino al punto – insopportabile e inaccettabile – di partecipare forzatamente a guerre condotte contro i propri interessi nazionali. L’Italia ha il dovere mazziniano di liberarsi e di riconquistare la sua sovranità”
incominciamo a vedere che questo nemico lontano non e´ cosi´ troppo lontano…
lo trovo un po´utopico sul discorso del califfato ma questo e´ un male di stagione del movimento