La soluzione "germanica" e asiatica alla Depressione e alla Moneta
di Moderatore Cobraf
Steve Keen, il grande economista australiano che ha previsto perfettamente la crisi e ha demolito nei suoi testi la teoria economica attuale costruendo anche un modello alternativo matematicao che funziona, è stato intervistato per un ora la settimana scorsa alla BBC (BBC World, Hardtalk 2011-11-24)
Keen dice che la "Grande Depressione" degli anni '30 non fu chiamata tale fino al 1939, cioè solo dopo diversi anni ci si rese conto di essere in una depressione. In modo simile ora molte economie occidentali sono in depressione da quattro anni e ancora non se ne rendono conto. Negli Stati Uniti nel 1939, dieci anni dopo il crollo di Wall Street, sette anni anni dopo il crollo del sistema bancario internazionale del 1931-1932 e sei anni dopo l'elezioni di Roosevelt la disoccupazione era sempre tra il 15 e il 20%
Keen spiega che occorre nazionalizzare le banche, perchè stanno in piedi comunque ora solo con il sostegno delo stato e l'unica soluzione per ridurre l'eccesso di debito non è una serie di bancarotte e default che provocherebbero un Grande Depressione. La soluzione non è neanche come si è fatto dal 2008 ad ora dare soldi alle banche con una serie infinita di complicati e oscuri meccanismi che la popolazione non comprende. L'unica soluzione a questo punto è stampare moneta, ma solo per ripagare l'eccesso di debito accumulato dalle famiglie, cioè invece di continuare a dare miliardi alle banche darli alle famiglie perchè ripaghino i debiti. Debt no more: Steve Keen's radical proposal
Negli ultimi 40 anni le banche di fatto hanno creato quasi tutta la moneta in circolazione come debito e questa è la radice del disastro attuale. La moneta invece la deve creare lo stato e al momento la deve usare per ridurre il peso dei mutui sulla popolazione. Distribuire ad esempio cinquemila dollari per famiglia per alcuni anni, ma con il vincolo di usarli solo per ripagare mutui e debiti. Ovviamente questo crea un deficit del bilancio dello stato, ma dato che viene finanziato senza debiti e interessi non si accumula tramite gli interessi composti e dato che è moneta che viene usata solo per distruggere debito esistente non crea inflazione. Questo di stampare moneta da parte dello stato per ritirare il debito che schiaccia le famiglie e anche il suo debito pubblico stesso è l'unica soluzione razionale al problema della montagna di debito che sta schiacciando l'economia occidentale
Keen: Government should print money to pay off our debts
Keen menziona nell'intervista anche il fatto che i tedeschi consideravano Hitler un semidio perchè aveva ridotto dal 25% a praticamente zero la disoccupazione tra il 1933 e il 1938 (quando la corsa agli armamenti era ancora all'inizio, cioè senza un economia di guerra a differenza degli Stati Uniti che risolsero la disoccupazione solo dal 1941 quando l'economia fu totalmente mobilitata per la guerra). J. K. Galbraith, il famoso economista liberal, amico dei Kennedy e il maggiore divulgatore di economia negli anni '60 e '70 se uno ricorda i suoi libri tradotti in italiano, pure sosteneva anche 30 anni fa che gli armamenti non furono importanti nella soluzione tedesca della crisi economica tra il 1933 e il 1938 e la soluzione inventata dal nazionalsocialismo era basata sulla spesa pubblica keyensiana per infrastrutture, welfare e lavori pubblici finanziata non con debito, ma stampando moneta (vedi "Money: Whence It Came, Where It Went"). Questa politica di spesa pubblica era combinata con controlli sui prezzi e salari e una regolamentazione stretta delle banche e del mercato finanziario (Tra parentesi sia Keen che Galbraith sono di sinistra e le loro osservazioni hanno implicazioni economiche e non politiche ovviamente)
Galbraith menziona il fatto che quando la disoccupazione fu ridotta virtualmente a zero in Germania nel 1936-1937 iniziarono pressioni inflazionistiche, ma furono frenate con controlli dei prezzi e salari, cioè nell'insieme con una soluzione "socialista", ma "nazionalista" perchè non ci si indebitava con le banche e gli investitori esteri, lo stato stampava moneta invece. Con alcune variazioni questa soluzione "nazionale-socialista" della Germania degli anni '30 è quella che hanno utilzzato anche la Cina, il Giappone, Taiwan, la Corea e Singapore con un successo simile.
Keynes ad esempio scrisse in 1936 che le sue politiche “Keynesiane” (che erano state adottate sostanzialmente dal governo di Hitler) “can be much easier adapted to the conditions of a totalitarian state” than in a country where “conditions of free competition and a large degree of laissez-faire” prevail (… possono essere adottate più facilmente da un regime totalitario che in un paese in cui prevale in larga misura il laissz-faire..)
Anche in USa e Australia furono istituiti controlli su prezzi e salari durante la seconda guerra mondiale, ma durarono poco
Nelle economie attuali le Banche centrali cercando di mantenere la disoccupazione reale almeno al 5-7% per contenere i salari, perchè il pieno impiego porterebbe a richieste di aumenti dei salari, questo discorso è in ogni testo economico attuale e nel documenti della BCE ad esempio e ovviamente con l'immigrazione di milioni di persone dal terzo mondo hai un ulteriore pressione in baso sui salari. Per la maggioranza della popolazione sarebbe preferibile il pieno impiego con controlli dei salari e prezzi, cioè il modello attuale di globalizzazione e apertura ai mercati mondiali sacrifica sempre di più l'occupazione e i salari in occidente
(2) Steve Keen says we're in another Great Depression, calls for "Debt Jubilee"
Economist Steve Keen: Bankrupt the Banks, Nationalise the Financial System
Should government pay off our debts?
Economist Steve Keen says we are already in another Great Depression. He advocates bankrupting the banks, nationalising the financial system and paying off people's debt
Economist Steve Keen is one of the few economists to have predicted the global financial crisis and now he says we are already in a Great Depression. He says the way to escape it is to bankrupt the banks, nationalise the financial system and pay off people's debt.
He admits what he is advocating is radical but says it is time governments gave money to debtors to pay down debt instead of to creditors such as banks who have held onto it.
(3) Hitler eliminated Unemployment, without inflation, via Deficit Financing of mainly civilian works – J.K. Galbraith
Money: Whence it came, where it went by John Kenneth Galbraith
Penguin, Harmondsworth, 1975
{p. 237} By the mid thirties there was also in existence an advanced demonstration of the Keynesian system. This was the economic policy of Adolf Hitler and the Third Reich. It involved large-
{p. 238} scale borrowing for public expenditures, and at first this was principally for civilian works – railroads, canals and the Autobahnen. The result was a far more effective attack on unemployment than in any other industrial city.16 By 1935, German unemployment was minimal.
'Hitler had already found how to cure unemployment before Keynes was finished explaining why it occurred.'(17) In 1936, as prices and wages came under upward pressure, Hitler took the further step of combining an expansive employment policy with comprehensive price controls.
The Nazi economic policy, it should be noted, was an ad hoc response to what seemed over-riding circumstance. The unemployment position was desperate. So money was borrowed and people put to work. When rising wages and prices threatened stability, a price ceiling was imposed. Although there had been much discussion of such policy in pre-Hitler Germany, it seems doubtful if it was highly influential. Hitler and his cohorts were not a bookish lot. Nevertheless the elimination of unemployment in Germany during the Great Depression without inflation – and with initial reliance on essentially civilian activities – was a signal accomplishment. It has rarely been praised and not much remarked. The notion that Hitler could do no good extends to his economics as it does, more plausibly, to all else.
16.'… the Nazies were … more successful in curing the economic ills of the 1930s [than the United States]. They reduced unemployment and stimulated industrial production faster than than the Americans did and, considering their resources, handled their monetary and trade problems more successfully, certainly more imaginatively. This was partly because the Nazis employed deficit financing on a larger scale … By 1936 the depression was substantially over in Germany, far from finished in the United States.' John A. Garraty, 'The New Deal, National Socialism, and the Great Depression', American Historical Review, vol. 78, no. 4 (October 1973), p. 944.
17.Joan Robinson. Quoted by Garvy.
{end quotes from Galbraith}
Il testo successivo cita una quarantina di fonti diverse, da J. K. Galbraith a storici importanti come Joachim Fest, per descrivere il successo economico della politica economica di finanziamento in deficit di spesa pubblica della Germania di Hitler. I numeri e dati sono abbastanza impressionanti. Ci si dimentica che la popolarità di Hitler era dovuta al fatto che la Germania fu l'unico paese ad uscire subito dalla Depressione e ad avere un vero boom economico negli anni '30.
Il motivo di questo sensazionale successo della Germania nel risolvere la Depressone fu che, per una serie di motivi anche fortuiti, adottò una politica keynesiana in modo molto deciso, dato che era una dittatura. Ma senza uso del debito pubblico e soprattutto del debito pubblico all'estero e del finanziamento da banche estere. Questo modello economico più statalista e nazionalista sul lato della moneta, delle banche e del credito, è molto simile a quello adottato dall'Asia "cinese" attuale e sembra funzionare meglio di quello basato sul debito pubblico e sul credito bancario che abbiamo noi ora in occidente per i motivi analizzati da Steve Keen
(4) How Hitler Tackled Unemployment and Revived Germany’s Economy – Mark Weber
By Mark Weber, November 2011
Notes
1. J. K. Galbraith, Money (Boston: 1975), pp. 225-226.
2. J. K. Galbraith, The Age of Uncertainty (1977), pp. 214.
3. J. K. Galbraith in The New York Times Book Review, April 22, 1973. Quoted in: J. Toland, Adolf Hitler (Doubleday & Co., 1976), p. 403 (note).
4. J. K. Galbraith, The Age of Uncertainty (1977), pp. 213-214.
5. Hitler radio address, “Aufruf an das deutsche Volk,” Feb. 1, 1933.
6. John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Oct. 1973 (Vol. 78, No. 4), pp. 909-910.
7. Gordon A. Craig, Germany 1866-1945 (New York: Oxford, 1978), p. 620.
8. Richard Grunberger, The Twelve-Year Reich: A Social History of Nazi Germany, 1933-1945 (New York: Holt, Rinehart and Winston, 1971), p. 186. First published in Britain under the title, A Social History of the Third Reich.
9. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 187; David Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980 [softcover]), p. 100.
10. David Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980), p. 101.
11. David Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980 [softcover]), pp. 100, 102, 104; Historian Gordon Craig writes: “In addition to these undeniable gains [that is, in a better quality of life], German workers received significant supplementary benefits from the state. The party conducted a systematic and impressively successful campaign to improve working conditions in industrial and commercial plants, with periodic drives designed not only to see that health and safety regulations were enforced, but to encourage some alleviation of the monotony of daily labour at the same task by means of amenities like music and growing plants and special awards for achievement.” G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), pp. 621-622.
12. Interview with Louis Lochner, Associated Press correspondent in Berlin. Quoted in: Michael Burleigh, The Third Reich: A New History (New York: 2000), p. 247.
13. G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), p. 623; John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Oct. 1973 (Vol. 78, No. 4), pp. 917, 918.
14. J. A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Oct. 1973, pp. 917, 918.
15. Joachim Fest, Hitler (New York: 1974), pp. 434-435.
16. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (New York: 1971 [hardcover ed.]), p. 203.
17. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 30, 208.
18. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 198, 235.
19. G. Frey (Hg.), Deutschland wie es wirklich war (Munich: 1994), pp. 38. 44.
20. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 179.
21. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 118, 144.
22. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 144, 145; Franz Neumann, Behemoth: The Structure and Practice of National Socialism 1933-1944 (New York: Harper & Row, 1966 [softcover] ), pp. 326-319; R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 177
23. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 177; D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (Norton,1980), p.125.
24. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 148, 149.
25. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), pp. 148, 149. (By comparison, Schoenbaum notes, the income tax rate for the highest income bracket in 1966 in the German Federal Republic was about 44 percent.)
26. D. Schoenbaum, Hitler’s Social Revolution (1980), p. 134.
27. G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), p. 633.
28. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 26, 121; G. Frey (Hg.), Deutschland wie es wirklich war (Munich: 1994), pp. 50-51.
29. Quoted in: J. Toland, Adolf Hitler (Doubleday & Co., 1976), p. 405. Source cited: Cesare Santoro, Hitler Germany (Berlin: 1938).
30. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), p. 223.
31. Evan Burr Bukey, Hitler’s Austria (Chapel Hill: 2000), pp. 72, 73, 74, 75, 81, 82, 124. (Bukey is a professor of history at the University of Arkansas.)
32. R. Grunberger, The Twelve-Year Reich (1971), pp. 29, 234-235.
33. John Lukacs, The Hitler of History (New York: Alfred A. Knopf, 1997), pp. 97-98.
34. G. Craig, Germany 1866-1945 (Oxford, 1978), pp. 629-630.
35. Hitler Reichstag address of Jan. 30, 1937.
36. Hitler Reichstag speech of April 28, 1939.
37. John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Oct. 1973 (Vol. 78, No. 4), p. 944. (Garraty taught history at Michigan State University and at Columbia University, and served as president of the Society of American Historians.)
38. John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Oct. 1973 (Vol. 78, No. 4), p. 917, incl. n. 23. Garraty wrote: “Certainly full employment was never approached in America until the economy was shifted to all-out war production … American unemployment never fell much below eight million during the New Deal. In 1939 about 9.4 million were out of work, and at the time of the 1940 census (in March) unemployment stood at 7.8 million, almost fifteen percent of the work force.”
39. William E. Leuchtenburg, Franklin Roosevelt and the New Deal (New York: Harper & Row, 1963 [softcover]), pp. 346-347.
40. From Das Reich, May 26, 1940. Quoted in John A. Garraty, “The New Deal, National Socialism, and the Great Depression,” The American Historical Review, Oct. 1973, p. 934. Source cited: Hans-Juergen Schröder, Deutschland und die Vereinigten Staaten (1970), pp. 118-119.
41. During a visit to Berlin in the 1930s, former US president Herbert Hoover met with Hitler’s Finance Minister, Count Lutz Schwerin von Krosigk, who explained at length his government’s economic policies. While acknowledging that these measures were beneficial for Germany, Hoover expressed the view that they were not suitable for the United States. Government-directed wage and price policies, he believed, would be contrary to the American notion of personal freedom. See: Lutz Graf Schwerin von Krosigk, Es geschah in Deutschland (Tübingen/ Stuttgart: 1952), p. 167; The influential British economist John Maynard Keynes wrote in 1936 that his “Keynesian” policies, which to some extent were embraced by the Hitler government,” “can be much easier adapted to the conditions of a totalitarian state” than in a country where “conditions of free competition and a large degree of laissez-faire” prevail. Quoted in: James J. Martin, Revisionist Viewpoints (1977), pp. 187-205 (See also: R. Skidelsky, John Maynard Keynes: The Economist as Savior 1920-1937 [New York: 1994], p. 581.); Research in recent years shows that greater ethnic diversity reduces levels of social trust, and the workability of social welfare policies. See: Robert D. Putnam, “E Pluribus Unum: Diversity and Community in the Twenty-first Century,” Scandinavian Political Studies, June 2007. See also: Frank Salter, Welfare, Ethnicity, and Altruism (Routledge, 2005)
42. Hitler address in Berlin, Oct. 3, 1941.
43. Daily Express (London), Nov. (or Sept.?) 17, 1936.
44. John Lukacs, The Hitler of History (New York: Alfred A. Knopf, 1997), pp. 95-96
45. S. Haffner, The Meaning of Hitler (New York: Macmillan, 1979), pp. 27-29. First published in 1978 under the title Anmerkungen zu Hitler. See also: M. Weber, “Sebastian Haffner's 1942 Call for Mass Murder,” The Journal of Historical Review, Fall 1983 (Vol. 4, No. 3), pp. 380-382.
46. J. Fest, Hitler: A Biography (Harcourt, 1974), p. 9. Quoted in: S. Haffner, The Meaning of Hitler (1979), p. 40.
47. J. Toland, Adolf Hitler (Doubleday & Co., 1976), pp. 407. 409.
To deal with the massive unemployment and economic paralysis of the Great Depression, both the US and German governments launched innovative and ambitious programs. Although President Franklin Roosevelt’s “New Deal” measures helped only marginally, the Third Reich’s much more focused and comprehensive policies proved remarkably effective. Within three years unemployment was banished and Germany’s economy was flourishing. And while Roosevelt’s record in dealing with the Depression is pretty well known, the remarkable story of how Hitler tackled the crisis is not widely understood or appreciated.
Adolf Hitler became Chancellor of Germany on January 30, 1933. A few weeks later, on March 4, Franklin Roosevelt took office as President of the United States. Each man remained his country’s chief executive for the next twelve years
until April 1945, shortly before the end of the World War II in Europe. In early 1933 industrial production in each country had fallen to about half of what it had been in 1929. Each leader quickly launched bold new initiatives to tackle the terrible economic crisis, above all the scourge of mass unemployment. And although there are some striking similarities between the efforts of the two governments, the results were very different.
One of the most influential and widely read American economists of the twentieth century was John Kenneth Galbraith. He was an advisor to several presidents, and for a time served as US ambassador to India. He was the author of several dozen books, and for years taught economics at Harvard University. With regard to Germany’s record, Galbraith wrote: “… The elimination of unemployment in Germany during the Great Depression without inflation
and with initial reliance on essential civilian activities
was a signal accomplishment. It has rarely been praised and not much remarked. The notion that Hitler could do no good extends to his economics as it does, more plausibly, to all else.”
The Hitler regime’s economic policy, Galbraith goes on, involved “large scale borrowing for public expenditures, and at first this was principally for civilian work
railroads, canals and the Autobahnen [highway network]. The result was a far more effective attack on unemployment than in any other industrial country.” / 1 “By late 1935,” he also wrote, “unemployment was at an end in Germany. By 1936 high income was pulling up prices or making it possible to raise them … Germany, by the late thirties, had full employment at stable prices. It was, in the industrial world, an absolutely unique achievement.” / 2 “Hitler also anticipated modern economic policy,” the economist noted, “by recognizing that a rapid approach to full employment was only possible if it was combined with wage and price controls. That a nation oppressed by economic fears would respond to Hitler as Americans did to F.D.R. is not surprising.” / 3
Other countries, Galbraith wrote, failed to understand or to learn from the German experience: “The German example was instructive but not persuasive. British and American conservatives looked at the Nazi financial heresies
the borrowing and spending
and uniformly predicted a breakdown … And American liberals and British socialists looked at the repression, the destruction of the unions, the Brownshirts, the Blackshirts, the concentration camps, and screaming oratory, and ignored the economics. Nothing good [they believed], not even full employment, could come from Hitler.” / 4
Two days after taking office as Chancellor, Hitler addressed the nation by radio. Although he and other leaders of his movement had made clear their intention to reorganize the nation’s social, political, cultural and educational life in accord with National Socialist principles, everyone knew that, with some six million jobless and the national economy in paralysis, the great priority of the moment was to restore the nation’s economic life, above all by tackling unemployment and providing productive work.
“The misery of our people is horrible to behold!,” said Hitler in this inaugural address. / 5 “Along with the hungry unemployed millions of industrial workers there is the impoverishment of the whole middle class and the artisans. If this collapse finally also finishes off the German farmers we will face a catastrophe of incalculable dimension. For that would be not just the collapse of a nation, but of a two-thousand-year-old inheritance of some of the greatest achievements of human culture and civilization …”
The new government, Hitler said, would “achieve the great task of reorganizing our nation’s economy by means of two great four-year plans. The German farmer must be rescued to maintain the nation’s food supply and, in consequence, the nation’s vital foundation. The German worker will be saved from ruin with a concerted and all-embracing attack against unemployment.”
“Within four years,” he pledged, “unemployment must be decisively overcome … The Marxist parties and their allies have had 14 years to show what they can do. The result is a heap of ruins. Now, people of Germany, give us four years and then pass judgment upon us!”
Rejecting the cloudy and impractical economic views of some radical activists in his Party, Hitler turned to men of proven ability and competence. Most notably, he enlisted the help of Hjalmar Schacht, a prominent banker and financier with an impressive record in both private business and public service. Even though Schacht was certainly no National Socialist, Hitler appointed him President of Germany’s central bank, the Reichsbank, and then as Minister of Economics.
After taking power, writes Prof. John Garraty, a prominent American historian, Hitler and his new government “immediately launched a all-out assault on unemployment … They stimulated private industry through subsidies and tax rebates, encouraged consumer spending by such means as marriage loans, and plunged into the massive public-works program that produced the autobahn [highway system], and housing, railroad and navigation projects.” / 6
The regime’s new leaders also succeeded in persuading formerly skeptical and even hostile Germans of their sincerity, resolve and ability. This fostered trust and confidence, which in turn encouraged businessmen to hire and invest, and consumers to spend with an eye to the future.
As he had promised, Hitler and his National Socialist government banished unemployment within four years. The number of jobless was cut from six million at the beginning of 1933, when he took power, to one million by 1936. / 7 So rapidly was the jobless rate reduced that by 1937-38 there was a national labor shortage. / 8
For the great mass of Germans, wages and working conditions improved steadily. From 1932 to 1938 gross real weekly earnings increased by 21 percent. After taking into account tax and insurance deductions and adjustments to the cost of living, the increase in real weekly earnings during this period was 14 percent. At the same time, rents remained stable, and there was a relative decline in the costs of heating and light. Prices actually declined for some consumer goods, such as electrical appliances, clocks and watches, as well as for some foods. Workers’ income continued to rise even after the outbreak of war. By 1943 average hourly earnings of German workers had risen by 25 percent, and weekly earnings by 41 percent. / 9
The “normal” work day for most Germans was eight hours, and pay for overtime work was generous. / 10 In addition to higher wages, benefits included markedly improved working conditions, such as better health and safety conditions, canteens with subsidized hot meals, athletic fields, parks, subsidized theater performances and concerts, exhibitions, sport and hiking groups, dances, adult education courses, and subsidized tourism. / 11 An already extensive network of social welfare programs, including old age insurance and a national health care program, was expanded.
Hitler wanted Germans to have “the highest possible standard of living,” he said in an interview with an American journalist in early 1934. “In my opinion, the Americans are right in not wanting to make everyone the same but rather in upholding the principle of the ladder. However, every single person must be granted the opportunity to climb up the ladder.” / 12 In keeping with this outlook, Hitler’s government promoted social mobility, with wide opportunities to improve and advance. As Prof. Garraty notes: “It is beyond argument that the Nazis encouraged working-class social and economic mobility.” To encourage acquisition of new skills, the government greatly expanded vocational training programs, and offered generous incentives for further advancement of efficient workers. / 13
Both National Socialist ideology and Hitler’s basic outlook, writes historian John Garraty, “inclined the regime to favor the ordinary German over any elite group. Workers … had an honored place in the system.” In accord with this, the regime provided substantive fringe benefits for workers that included subsidized housing, low-cost excursions, sports programs, and more pleasing factory facilities. / 14
In his detailed and critical biography of Hitler, historian Joachim Fest acknowledged: “The regime insisted that it was not the rule of one social class above all others, and by granting everyone opportunities to rise, it in fact demonstrated class neutrality … These measures did indeed break through the old, petrified social structures. They tangibly improved the material condition of much of the population.” / 15
A few figures give an idea of the how the quality of life improved. Between 1932, the last year of the pre-Hitler era, and 1938, the last full year before the outbreak of war, food consumption increased by one sixth, while clothing and textile turnover increased by more than a quarter, and of furniture and household goods by 50 percent. / 16 During the Third Reich’s peacetime years, wine consumption rose by 50 percent, and champagne consumption increased five-fold. / 17 Between 1932 and 1938, the volume of tourism more than doubled, while automobile ownership during the 1930s tripled. / 18 German motor vehicle production, which included cars made by the US-owned Ford and General Motors (Opel) works, doubled in the five years of 1932 to 1937, while Germany’s motor vehicle exports increased eight-fold. Air passenger traffic in Germany more than tripled from 1933 to 1937. / 19
German business revived and prospered. During the first four years of the National Socialist era, net profits of large corporations quadrupled, and managerial and entrepreneurial income rose by nearly 50 percent. “Things were to get even better,” writes Jewish historian Richard Grunberger in his detailed study, The Twelve-Year Reich. “In the three years between 1939 and 1942 German industry expanded as much as it had during the preceding fifty years.” / 20
Although German businesses flourished, profits were controlled and by law were kept within moderate limits. / 21 Beginning in 1934, dividends for stockholders of German corporations were limited to six percent annually. Undistributed profits were invested in Reich government bonds, which had an annual interest yield of six percent, and then, after 1935, of four and a half percent. This policy had the predictable effect of encouraging corporate reinvestment and self-financing, and thereby of reducing borrowing from banks and, more generally, of diminishing the influence of commercial capital. / 22
Corporation tax rates were steadily raised, from 20 percent in 1934 to 25 percent in 1936, and to 40 percent in 1939-40. Directors of German companies could grant bonuses to managers, but only if these were directly proportionate to profits and they also authorized corresponding bonuses or “voluntary social contributions” to employees. / 23
Between 1934 and 1938, the gross taxable income of German businessmen increased by 148 percent, and overall tax volume increased during this period by 232 percent. The number of taxpayers in the highest income tax bracket
those earning more than 100,000 marks annually
increased during this period by 445 percent. (By contrast, the number of taxpayers in the lowest income bracket
those earning less than 1500 marks yearly
increased by only five percent.) / 24
Taxation in National Socialist Germany was sharply “progressive,” with those of higher income paying proportionately more than those in the lower income brackets. Between 1934 and 1938, the average tax rate on incomes of more than 100,000 marks rose from 37.4 percent to 38.2 percent. In 1938 Germans in the lowest tax brackets were 49 percent of the population and had 14 percent of the national income, but paid only 4.7 percent of the tax burden. Those in the highest income category, who were just one percent of the population but with 21 percent of the income, paid 45 percent of the tax burden. / 25
Jews made up about one percent of Germany’s total population when Hitler came to power. While the new government moved quickly to remove them from the nation’s political and cultural life, Jews were permitted to carry on in economic life, at least for several years. In fact, many Jews benefited from the regime’s recovery measures and the general economic revival. In June 1933, for example, Hitler approved a large-scale government investment of 14.5 million marks in the Jewish-owned firm Hertie, a Berlin department store chain. This “bail out” was done to prevent the ruin of the large firm’s suppliers, financiers, and, above all, its 14,000 employees. / 26
Prof. Gordon Craig, who for years taught history at Stanford University, points out: “In the clothing and retail trades, Jewish firms continued to operate profitably until 1938, and in Berlin and Hamburg, in particular, establishments of known reputation and taste continued to attract their old customers despite their ownership by Jews. In the world of finance, no restrictions were placed upon the activities of Jewish firms in the Berlin Bourse [stock market], and until 1937 the banking houses of Mendelssohn, Bleichröder, Arnhold, Dreyfuss, Straus, Warburg, Aufhäuser, and Behrens were still active.” / 27 Five years after Hitler had come to power, the Jewish role in business life was still a significant one, and Jews still held considerable real estate holdings, especially in Berlin. This changed markedly in 1938, however, and by the end of 1939 Jews had been largely removed from German economic life.
Germany’s crime rate fell during the Hitler years, with significant drops in the rates of murder, robbery, theft, embezzlement and petty larceny. / 28 Improvement in the health and outlook of Germans impressed many foreigners. “Infant mortality has been greatly reduced and is considerably inferior to that in Great Britain,” wrote Sir Arnold Wilson, a British M.P. who visited Germany seven times after Hitler had come to power. “Tuber *** sis and other diseases have noticeably diminished. The criminal courts have never had so little to do and the prisons have never had so few occupants. It is a pleasure to observe the physical aptitude of the German youth. Even the poorest persons are better clothed than was formerly the case, and their cheerful faces testify to the psychological improvement that has been wrought within them.” / 29
The improved psychological-emotional well-being of Germans during this period has also been noted by social historian Richard Grunberger. “There can be little doubt,” he wrote, “that the [National Socialist] seizure of power engendered a wide-spread improvement in emotional health; this was not only a result of the economic upswing, but of many Germans’ heightened sense of identification with the national purpose.” / 30
Austria experienced a dramatic upswing after it joined the German Reich in March 1938. Immediately following the Anschluss (“union”), officials moved quickly to relieve social distress and revitalize the moribund economy. Investment, industrial production, housing construction, consumer spending, tourism and the standard of living rose rapidly. Between June and December 1938 alone, the weekly income of Austria’s industrial workers rose by nine percent. The National Socialist regime’s success in banishing unemployment was so rapid that American historian Evan Burr Bukey was moved to call it “one of the most remarkable economic achievements in modern history.” The jobless rate in Austria dropped from 21.7 percent in 1937 to 3.2 percent in 1939. The Austrian GNP rose 12.8 percent in 1938, and an astonishing 13.3 percent in 1939. / 31
An important expression of national confidence was the sharp increase in the birth rate. Within a year after Hitler came to power, the German birth rate jumped by 22 percent, rising to a high point in 1938. It remained high even in 1944
the last full year of World War II. / 32 In the view of historian John Lukacs, this jump in the birth rate was an expression of “the optimism and the confidence” of Germans during the Hitler years. “For every two children born in Germany in 1932, three were born four years later,” he notes. “In 1938 and 1939, the highest marriage rates in all of Europe were registered in Germany, superseding even those among the prolific peoples of Eastern Europe. The phenomenal rise of the German birthrate in the thirties was even steeper than the rise of the marriage rate.” / 33 “National Socialist Germany, alone among countries peopled by whites, succeeded in attaining some increase in fertility,” notes the outstanding Scottish-born American historian Gordon A. Craig, with a sharp rise in the birth rate after Hitler came to power, and a steady increase in the years that followed. / 34
In a lengthy address to the Reichstag in early 1937, Hitler recalled the pledges he had made when his government assumed power. He also explained the principles on which his policies were based, and looked back at what had been accomplished in four years. / 35 “… Those who talk about `democracies’ and ‘dictatorships’,” he said, “simply do not understand that a revolution has been carried out in this country, the results of which can be considered democratic in the highest sense of the term, if democracy has any real meaning … The National Socialist Revolution has not aimed at turning a privileged class into a class that will have no rights in the future. Its aim has been to give equal rights to those who had no rights … Our objective has been to make it possible for the whole German people to be active, not only in the economic but also in the political field, and to secure this by organizationally involving the masses … During the past four years we have increased German production in all areas to an extraordinary degree. And this increase in production has been to the benefit of all Germans.”
In another address two years later, Hitler spoke briefly about his regime’s economic achievement: / 36 “I overcame chaos in Germany, restored order, enormously raised production in all fields of our national economy, by strenuous efforts produced substitutes for numerous materials that we lack, encouraged new inventions, developed traffic, caused mighty roads to be built and canals to be dug, called into being gigantic factories, and at the same time endeavored to further the education and culture of our people for the development of our social community. I succeeded in finding useful work once more for the whole of the seven million unemployed, who so touched all our hearts, in keeping the German peasant on his soil in spite of all difficulties, and in saving the land itself for him, in restoring a prosperous German trade, and in promoting traffic to the utmost.”
American historian John Garraty compared the American and German responses to the Great Depression in a much discussed article published in the American Historical Review. He wrote: / 37 “The two movements [that is, in the US and in Germany] nevertheless reacted to the Great Depression in similar ways, distinct from those of other industrial nations. Of the two the Nazis were the more successful in curing the economic ills of the 1930s. They reduced unemployment and stimulated industrial production faster than the Americans did and, considering their resources, handled their monetary and trade problems more successfully, certainly more imaginatively. This was partly because the Nazis employed deficit financing on a larger scale and partly because their totalitarian system better lent itself to the mobilization of society, both by force and by persuasion. By 1936 the depression was substantially over in Germany, far from finished in the United States.”
In fact, the jobless rate in the United States remained high until the stimulation of large-scale war production took hold. Even as late as March 1940, the US unemployment rate was still almost 15 percent of the work force. It was production for war, not Roosevelt’s “New Deal’ programs, that finally brought full employment. / 38
Prof. William Leuchtenburg, a prominent American historian known best for his books on the life and career of Franklin Roosevelt, summed up the President’s mixed record in a highly acclaimed study. “The New Deal left many problems unsolved and even created some perplexing new ones,” concluded Leuchtenburg. “It never demonstrated that it could achieve prosperity in peacetime. As late as 1941, the unemployed still numbered six million, and not until the war year of 1943 did the army of jobless finally disappear.” / 39
The contrast between the German and American economic records during the 1930s is all the more striking when one takes into account that the US had vastly greater natural resource wealth, including large petroleum reserves, as well as a lower population density, and no hostile, well armed neighbors.
An interesting comparison of the American and German approaches to the Great Depression appeared in a 1940 issue of the Berlin weekly Das Reich. Titled “Hitler and Roosevelt: A German Success, An American Attempt,” the article cited the “parliamentary-democratic system” of the United States as a key factor in the failure of the Roosevelt administration’s efforts to restore prosperity. “We [Germans] began with an idea and carried out the practical measures without regard for consequences. America began with many practical measures that, without inner coherence, covered over each wound with a special bandage.” / 40
Could Hitler’s economic policies work in the United States? These policies are probably most workable in countries such as Sweden, Denmark, and the Netherlands, with a well-educated, self-disciplined and ethnically-culturally cohesive population, and a traditionally strong “communitarian” ethos with a correspondingly high level of social trust. Hitler’s economic policies are less applicable in the United States and other societies with an ethnically-culturally diverse population, a markedly individualistic, “laissez-faire” tradition, and a correspondingly weaker “communitarian” spirit. / 41
Hitler himself once made a striking comparison of the social-political-economic systems of the United States, the Soviet Union, and Germany. During a speech in late 1941 he said: / 43
“We’ve now gotten to know two [social-political] extremes. One is that of the Capitalist states, which use lies, fraud and swindling to deny their peoples the most basic vital rights, and which are concerned entirely with their own financial interests, for which they are ready to sacrifice millions of people. On the other hand we’ve seen [in the Soviet Union] the Communist extreme: a state that’s brought unspeakable misery to millions and millions, and which, following its doctrine, sacrifices the happiness of others. From this [awareness], in my view, there is for all of us only one obligation, namely, to strive more than ever toward our national and socialist ideal … In this [German] state the prevailing principle is not, as in Soviet Russia, the principle of so-called equality, but rather only the principle of justice.”
David Lloyd George — who had been Britain’s prime minister during the First World War
made an extensive tour of Germany in late 1936. In an article published afterwards in a leading London newspaper, the British statesman recounted what he had seen and experienced. / 43
“Whatever one may think of his [Hitler’s] methods,” wrote Lloyd George, “and they are certainly not those of a parliamentary country, there can be no doubt that he has achieved a marvelous transformation in the spirit of the people, in their attitude towards each other, and in their social and economic outlook.
“He rightly claimed at Nuremberg that in four years his movement had made a new Germany. It is not the Germany of the first decade that followed the war — broken, dejected and bowed down with a sense of apprehension and impotence. It is now full of hope and confidence, and of a renewed sense of determination to lead its own life without interference from any influence outside its own frontiers.
“There is for the first time since the war a general sense of security. The people are more cheerful. There is a greater sense of general gaiety of spirit throughout the land. It is a happier Germany. I saw it everywhere, and Englishmen I met during my trip and who knew Germany well were very impressed with the change.”
“This great people,” the seasoned statesman went on to warn, “will work better, sacrifice more, and, if necessary, fight with greater resolution because Hitler asks them to do so. Those who do not comprehend this central fact cannot judge the present possibilities of modern Germany.”
Although prejudice and ignorance have hindered a wider awareness and understanding of Hitler’s economic policies and their impact, his success in economic policy has been acknowledged by historians, including scholars who are generally very critical of the German leader and his regime’s policies.
John Lukacs, a Hungarian-born American historian whose books have generated much comment and praise, has written: “Hitler’s achievements, domestic rather than foreign, during the six [peacetime] years of his leadership of Germany were extraordinary … He brought prosperity and confidence to the Germans, the kind of prosperity that is the result of confidence. The thirties, after 1933, were sunny years for most Germans; something that remained in the memories of an entire generation among them.” / 44
Sebastian Haffner, an influential German journalist and historian who was also a fierce critic of the Third Reich and its ideology, reviewed Hitler’s life and legacy in a much-discussed book. Although his portrayal of the German leader in The Meaning of Hitler is a harsh one, the author all the same writes: / 45
“Among these positive achievements of Hitler the one outshining all others was his economic miracle.” While the rest of the world was still mired in the economic paralysis, Hitler had made “Germany an island of prosperity.” Within three years, Haffner goes on, “crying need and mass hardship has generally turned into modest but comfortable prosperity. Almost equally important: helplessness and hopelessness had given way to confidence and self-assurance. Even more mira *** us was the fact that the transition from depression to economic boom had been accomplished without inflation, at totally stable wages and prices … It is difficult to picture adequately the grateful amazement with which the Germans reacted to that miracle, which, more particularly, made vast numbers of German workers switch from the Social Democrats and the Communists to Hitler after 1933. This grateful amazement entirely dominated the mood of the German masses during the 1936 to 1938 period …”
Joachim Fest, another prominent German journalist and historian, reviewed Hitler’s life in an acclaimed and comprehensive biography. “If Hitler had succumbed to an assassination or an accident at the end of 1938,” he wrote, “few would hesitate to call him one of the greatest of German statesmen, the consummator of Germany’s history.” / 46 “No objective observer of the German scene could deny Hitler’s considerable exploits,” noted American historian John Toland. “If Hitler had died in 1937 on the fourth anniversary of his coming to power … he undoubtedly would have gone down as one of the greatest figures in Germany history. Throughout Europe he had millions of admirers.” / 47
Ci risiamo. Frotte di analisi che concorrono ad un unica standing ovation per Hitler ed i suoi modelli di sviluppo. Andiamo per ordine. Ci furono dapprima le leggi per l'ereditarietà della terra legata alla purezza della razza: gli appezzamenti del bauer (contadino) dovevano avere una dimensione minima e andavano affidati ad ariani puri. A chi non era in grado di dimostrare l'appartenenza a tale "razza" (voglio qui rammentare che secondo il genetista Cavalli-Sforza esiste solo un'unica razza umana) venivano confiscate le terre. Esisteva poi l'obbligatorietà della mansione, una moderna servitù della gleba così come la legge del '33 di Walther Darrè imponeva.
Il 1° Maggio del '34 Hitler organizzò un'imponente manifestazione per i diritti dei lavoratori, che come premio per avervi partecipato si videro chiudere e confiscare tutte le sedi sindacali il giorno seguente. Non andò diversamente ai partiti politici, che a cominciare dai comunisti furono uno ad uno dichiarati fuori legge grazie alle leggi speciali. Per arrivare alla Notte dei lunghi coltelli in cui fu epurata la "sinistra" nazista.
Fine della piccola digressione politica. Torniamo ai numeri. La disoccupazione.
Se Stalin attuò la trasformazione dell'URSS da agricola ad industriale tramite i lavori forzati, Hitler non fece di meno. La trasformazione dell'economia fallimentare di Weimar alla florida economia nazista aveva un prezzo: sottoccupazione e riarmo.
L'introduzione della leva obbligatoria, ad esempio, riduceva i giovani disoccupati. Nel '33 la Germania aveva solo 100.000 militari. Nel giro di pochi anni sarà la maggiore potenza militare europea.
Come si fa a dire che in quegli anni, dal '33 al '38 l'economia tedesca non era un'economia di guerra?
Guardate gli investimenti nelle forze armate (miliardi di marchi)
1933-0,7
1935-5,2
1937-11
1939-26
Ora è chiaro che una parte sostanziosa di quegli investimenti riguardava l'arruolamento. Qui si spiega una parte del fenomeno "disoccupazione sparita" della Germania di Hitler. Si va dalle 100.000 unità del '33 al 1.400.000 militari del '39.
Parliamo delle donne. Non dovevano lavorare, secondo Hitler, quindi vennero semplicemente escluse dal computo. Semplice, no? E gli ebrei? Pensate che avessero diritto al lavoro e quindi ad essere conteggiati come disoccupati? Sbagliate di nuovo. Nel '35 grazie alle leggi di Norimberga gli ebrei avevano perso il diritto di cittadinanza, quindi non contavano più come cittadini. Tutti a lavorare per la IG Farben, ad Auschwitz. Gratis, naturalmente.
Stephen Roberts, storico economico dell'Università di Sidney, afferma che furono adottate dalla Germani nazista delle misure straordinarie che potevano avere effetti solo momentanei. Di tale provvisorietà ne era consapevole lo stesso Hitler, che nel '38 affermava: "La nostra situazione economica è tale che potremmo reggerla solo per pochi anni ancora. Pertanto non abbiamo tempo, dobbiamo agire"
Capito com'era stato impostato il miracolo nazista?
Le "misure straordinarie" riguardavano la manomissione delle statistiche non solo sull'occupazione ma anche sull'economia, basti citare le MEFO (Metallurgische Forschung) create da Schacht, capo della banca centrale , la Reichsbank, durante la repubblica di Weimar prima e la dittatura nazista dopo.
Fu grazie alle MEFO che Schacht riuscì a portare a compimento il riarmo nazista, proibito dai trattati di Versailles. Si trattava di moneta parallela, cambiali redimibili che non comparivano nei registri contabili e che fu usata appunto per far quadrare i bilanci nonostante i pesantissimi investimenti militari e bellici.
Penso per il momento basti. Sinceramente non ne posso più di leggere elogi verso quel tipo di politica.
Lascio due link che sicuramente possono aiutare chiunque voglia approfondire quel 2% di critica totale verso le politiche naziste. Il 98% di elogi lo conosciamo già.
http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=2460
http://www.viaggio-in-germania.de/hitler.html
Ricordo anche i miei articoli sul cartello petrolchimico dove analizzo i rapporti tra nazismo e industria chinica, qui sul sito di appelloalpopolo.
Tonguessy,
grazie per le precisazioni, sempre puntuali. Credo che si possa pervenire a una sintesi che non contraddica né l'articolo né le tue precisazioni.
"Negli Stati Uniti nel 1939, dieci anni dopo il crollo di Wall Street, sette anni anni dopo il crollo del sistema bancario internazionale del 1931-1932 e sei anni dopo l'elezioni di Roosevelt la disoccupazione era sempre tra il 15 e il 20%.
Keen menziona nell'intervista anche il fatto che i tedeschi consideravano Hitler un semidio perchè aveva ridotto dal 25% a praticamente zero la disoccupazione tra il 1933 e il 1938 (quando la corsa agli armamenti era ancora all'inizio, cioè senza un economia di guerra a differenza degli Stati Uniti che risolsero la disoccupazione solo dal 1941 quando l'economia fu totalmente mobilitata per la guerra)."
Dunque la germania fece scendere l'occupazione del 25% in cinque anni. Gli stati uniti nemmeno del 10% in dieci anni.
Possiamo anche dire che tra il 33 e il 38 l'economia tedesca era "un'economia di guerra". Ma questo potrà significare che era un economia di un paese che si preparava alla guerra ma che non era in guerra. L'economia non era "totalmente mobilitata per la guerra".
Tu dai per la germania questi dati (in miliardi di marchi): "1933-0,7; 1935-5,2; 1937-11; 1939-26" Dunque quando l'occupazione già era cominciata a scendere vorticosamente 1933-1935 (è la metà del periodo che va dal 1933 al 1938; sarebbe interessante avere i dati sulla disoccupazione nel 1935), gli investimenti nelle forze armate variarono da 1/35 rispetto a quelli che si ebbero poi nel 38 a meno di 1/5 di quelli che si ebbero nel 1938, quando l'economia sarà pure stata di guerra ma "non era totalmente mobilitata per la guerra" eppure la disoccupazione era quasi a zero. Ciò vuol dire che la successiva mobilitazione totale dell'economia per la guerra comportò mutamenti nella produzione ma non aumentò occupazione.
Orbene, a quanto ammontavano in percentuali del pil l'economia statunitense nel 1941 ("che l'autore dichiara totalmente mobilitata per la guerra") e quella tedesca nel 1938? Senza una esatta risposta a questa domanda non mi sembra che si possano approvare senz'altro alcune affermazioni dell'articolo ma nemmeno le tue osservazioni critiche.
Se poi conoscessimo la disoccupazione tedesca nel 1935 potremmo sapere in che misura i provvedimenti economici presi dal governo tedesco furono efficaci mezzi contro la disoccupazione anche quando l'economia non poteva assoltamente dirsi di guerra, nemmeno in senso lato (l'economia statunitense, altrimenti. dovrebbe dirsi perennemene di guerra. Direi quindi che per definire una economia come di guerra dobbiamo riscontrare percentuali assolutamente eccezionali straordinarie di pil).
"
Tu scrivi: "Ora è chiaro che una parte sostanziosa di quegli investimenti riguardava l'arruolamento. Qui si spiega una parte del fenomeno "disoccupazione sparita" della Germania di Hitler. Si va dalle 100.000 unità del '33 al 1.400.000 militari del '39".
Questa notizia non aggiunge niente a quanto hai già scritto e rischia di far credere che sia un dato che si aggiunge a quello che hai enunciati in precedenza e che ho riportato. C'è il rischio di credere che questi siano altri soldi investiti in economia di guerra. mentre sono parte dei medesimi soldi dei quali hai già parlato.
Quanto alle donne, non credo che nelle altre nazioni d'europa e anche negli stati uniti nel 1935 le percentuali di occupazione delle donne, al di fuori della famiglia, superasse il 10% (ma davvero la cifra è esagerata). Non credo che le laureate fossero più di 1/50 dei laureati. Chi la mandava una moglie a lavorare in fabbrica? Chi lasciava che emigrasse in altro luogo, allontanandosi dalla famiglia? C'erano forse donne soldato negli stati uniti nella seconda guerra mondiale, a parte qualche crocerossina? In Italia le donne sono state ammesse in magistratura nel 1967! Quindi l'obiezione sulle donne ha poco o nessun valore. Sono certo che le statistiche del tempo ne tenevano conto, in uno o altro modo, anche in Italia o negli stati uniti.
Gli ebrei erano una piccola percentuale del popolo tedesco. Non mi sembra che tu abbia dimostrato che le affermazioni contenute nell'articolo non sono veritere perché non tengono conto della percentuale di ebrei che non hai citata o perché hai dimostrato che, seppure il regime avesse deciso di pagarli, non avrebbe potuto sostenere la spesa e un po' di disoccupazione ci sarebbe stata. Insomma, la tua non è un'obiezione.
Tu hai anche argomentato che la situazione economica "aveva carattere provvisorio". Qui andrebbe chiarito che cosa sarebbe accaduto se la germania non avesse agito (disoccupazione del 5-5%?; crollo economico?). Soprattutto, per uscire dalla depressione ed evitare una grande depressione, ben mi sembra che possano essere presi provvedimenti che durano 10 anni. Anche questa non mi sembra una obiezione all'articolo, nel senso che non contraddice alcuna delle affermazioni in esso contenute.
Quanto alla economia nascosta, a parte che di essa si tiene sempre conto nel calcolare il PIL, non credo che gli autorevoli economisti che hanno studiato la materia, tra i quali Galbraith abbiano tenuto conto dei puri dati contabili, senza tener conto delle scoperte che successivamente sono state fatte. Non credo che le statistiche presenti nelle serie storiche tengano conto ancora dei falsi. A parte che il fatto che tutt'oggi gli stati uniti sono accusati di falsare i dati relativi al pil e alla disoccupazione. Insomma i dati li falsano tutti, mica solo i nazisti. Non vorremo mica credere alla immagini che ci davano i films statunitensi di tedeschi tutti seri cativi e insensibili e di marines buoni sorridenti e gentili? Lo sappiamo ormai, spero, che il livello di educazione, gentilezza e simpatia era uguale! Anche questa, insomma non mi sembra una obiezione.
Ka digressione politica che hai svolto all'inizio è appunto una digressione politica che nemmeno aspirava a contrattire o precisare una o altra affermazione dell'articolo. E quindi la lascio fuori dal ragionamento.
Quanto ai lavori forzati, bisogna distinguere. Se mi dici che un professore di liceo o un impiegato che aveva un suo posto o un avvocato o un artigiano che svolgeva il suo lavoro produttivo o un carpentiere regolarmente assunto da una ditta vennero presi e sbattuti a costruire ferrovie, allora darei una grave censura morale ma il fenomeno sarebbe irrilevante ai fini del nostro discorso, perché non avrebbe comportato aumento dell'occupazione. Se invece intendi dire che, anziché dare un salario garantito anche a chi era disoccupato si pretese che il disoccupato al quale veniva assegnato un lavoro doveva accettarlo e svolgerlo (salvo, magari, trovarne un altro), allora questo principio, che è il principio fondatore del comunismo, è altamente positivo.
Mi dovresti spiegare per quale ragione in una situazione in cui l'economia è a pezzi e la disoccupazione giunge al 20%, dovremmo curare negli ospedali pubblici, lasciar camminare sull'asfalto pubblico, dotare di carta di identità e di patente, e garantire strade prive di immondizia, fornire di acqua (pubblica), di energia (pubblica) e quanto altro, un parassita al quale lo stato offre un lavoro e non intende svolgerlo pur non avendone trovato un altro? E se tutti i cittadini avessero simili pretese che si fa?
Io posso ammettere un ordinamento non socialista ma individualista nel quale uno rifiuta il lavoro (che è un dovere anche per la nostra costituzione) ma è privato di ogni servizio pubblico e gli è impedito l'accesso a ogni luogo pubblico. Insomma, mi sembra che si possa rimproverare a Stalin e a Hitler soltanto di non aver rispettato gli eremiti. Ma dovremmo verificare se esistevano norme nel comunismo e nel nazismo che garantivano di vivere in eremi.
In sintesi, mi sembra che hai reso più vischioso il tema e non lo hai chiarito.
Il punto, a mio avviso, resta quello segnalato sopra: "
Orbene, a quanto ammontavano in percentuali del pil l'economia statunitense nel 1941 ("che l'autore dichiara totalmente mobilitata per la guerra") e quella tedesca nel 1938? Senza una esatta risposta a questa domanda non mi sembra che si possano approvare senz'altro alcune affermazioni dell'articolo ma nemmeno le tue osservazioni critiche.
Se poi conoscessimo la disoccupazione tedesca nel 1935 potremmo sapere in che misura i provvedimenti economici presi dal governo tedesco furono efficaci mezzi contro la disoccupazione anche quando l'economia non poteva assoltamente dirsi di guerra, nemmeno in senso lato (l'economia statunitense, altrimenti. dovrebbe dirsi perennemene di guerra. Direi quindi che per definire una economia come di guerra dobbiamo riscontrare percentuali assolutamente eccezionali straordinarie di pil)".
Soprattutto c'è un'altra domanda, fondamentale. Il meccanismo descritto nell'articolo, che la Germania applicò (anche) per riarmarsi, è applicabile – e se si con maggior o con minor profitto -, magari soltanto per un periodo provvisorio di dieci anni, a una economia non di guerra?
Personalmente è da ieri che vado riflettendo su questo punto e mi pare di aver trovato anche un miglioramento. Ma voglio ancora rifletterci. D'altra parte l'autore segnala che meccanismi simili sono stati usati dalla Cina e anche dalle tigri asiatiche per uscire dalla depressione nella quale erano cadute.
Caro Stefano,
le questioni che poni (sollevate prima dall'articolo e poi da me) sono troppe. Ne prendo solo una, ad esempio, restando disponibile per ulteriori discussioni sia sulla questione disoccupazione che su altre che per il momento preferisco tralasciare.
Riporto integralmente una parte del testo che puoi trovare qui
http://www.lumhi.net/TESTI%20collegati/SBLIBRO.DOC
Tonguessy,
che il lavoro sia soltanto l'attività psichica e/o fisica esercitata in un regime di discina, più o meno rigoroso, svolta in vista di un compenso, non possono esservi dubbi. Per quale ragione, il regime nazista, oltre a dare vitto e alloggio (che sono compenso oggi per le badanti che vivono in casa dell'assistito; ti assicuro che se ne prendi in casa una, a parità di ore ti costa la metà), non desse anche una parte di compenso in denaro, che, anche in ragione dei tempi, sarebbe stata modestissima, non riesco a capirlo. Come potesse il popolo tedesco tributare un consenso enorme al regime e giungere a sostenere un sacrificio immane di circa 13 milioni di persone tra soldati e civili senza organizzare una vera rivolta (vi fu, come è noto, almeno un tentativo di colpo di stato organizzato dentro i vertici del potere), mi riesce davvero cincomprensibile. Perciò mi resta il dubbio che il giudizio doverosamente negativo contro l'imperialismo, il bellicismo e il razzismo tedesco conducano gli storici a giudizi poco obiettivi; a svolgere analisi con tesi precostituite; ad attribuire al regime colpe e limiti che a quel tempo avevano tutti; a dare importanza enorme, nella descrizione della situazione economico-sociale, a situazioni marginali, soltanto perché moralmente spregevoli; magari, per recare un esempio paradossale, vitto e alloggio gratuito (ma forse anche qualche indumento), non solo per il lavoratore (come oggi per le badanti), ma anche per tutta la famiglia, è esattamente ciò che negli stati uniti a quel tempo riusciva ad acquistare un lavoratore regolarmente pagato e molto di più delle eventuali sovvenzioni ottenute dal 15-20% dei disoccupati statunitensi (se avevano sovvenzioni). A parte ciò, sono certo che anche ai lavoratori ai quali veniva garantito vitto e alloggio per tutta la famiglia e probabilmente qualche indumento, per tutta la famiglia, venivano dati anche pochi spiccioli per qualche "capriccio". Insomma il problema è di verificare se gli operai tedeschi (socialmente assistiti, compresa l'intera famiglia) stavano economicamente meglio o peggio del 90% degli operai di quel tempo (statunitensi, russi e di qualsiasi parte del mondo). Non vorrai mica fare il paragone con gli operai italiani negli anni settanta?
Come potesse il popolo tedesco tributare un consenso enorme al regime e giungere a sostenere un sacrificio immane di circa 13 milioni di persone tra soldati e civili senza organizzare una vera rivolta (vi fu, come è noto, almeno un tentativo di colpo di stato organizzato dentro i vertici del potere), mi riesce davvero cincomprensibile.
Risulta incomprensibile a molti, ed è da sempre argomento molto discusso. Faccio solo l'esempio della segretaria personale di Hitler, Traudl Junge, che descrive quest'ultimo come paterno e gentile e verso cui volle, per tutta la durata del regime nazista, dimostrare la propria incondizionata devozione. Quando il regime nazista crollò, dovette ammettere che: "avendone avuta la voglia, ciascuno di noi (impegnati col regime ndr) avrebbe avuto la possibilità di conoscere cosa stava succedendo davvero. Ma penso fossimo troppo codardi e troppo poco eroi per farlo".
"Più divento vecchia e più sento il peso delle mie colpe per avere collaborato con un uomo che mi era veramente simpatico ma che aveva causato così tante sofferenze"
"La nostra rovinosa sconfitta, i rifugiati, le sofferenze, naturalmente reputavo Hitler responsabile di tutto ciò. Il suo testamento, il suicidio, fu allora che cominciai ad odiarlo. Ma quando il tuo amore per qualcuno, diciamo tuo marito, diventa odio, si tende a preservare i ricordi dei tempi felici. Penso che la mia relazione con Hitler fu qualcosa del genere"
Il commento di Ephraim Zuroff, direttore del Centro Simon Wiesenthal: "la sua storia riflette la cieca lealtà di troppi tedeschi verso Hitler ed i nazisti che permisero l'implementazione della soluzione finale".
http://www.world-war-2-diaries.com/traudl-junge.html
Ci sono in rete foto degli addetti di Auschwitz che ballano allegramente al suono di una fisarmonica dopo avere espletato le loro terribili funzioni. Se tutto questo è incomprensibile, è addirittura improponibile quello che successe dopo la sconfitta del nazismo. La stessa Junge emigrò in Australia dove si rifece una vita. Altri divennero rispettati cittadini della DDR. Altri ancora mantennero il timone di quelle attività che diedero inizio al riarmo tedesco che portò decine di milioni di morti.
Come ho scritto nel mio articolo:
"(Adenauer) Il 22 ottobre 1952 fu costretto ad
ammettere, replicando al deputato Erler che era stato incaricato di
riferire al Parlamento sull’infiltrazione nazista nel ministero degli
Esteri:
“Erler ha dichiarato che più si sale in alto nelle cariche dello
Stato e più nazisti si trovano. Questo è vero. E’ vero che il 66% dei
funzionari sono stati membri del partito nazista. A mio avviso
dovremmo smetterla di dare la caccia ai nazisti”
https://www.appelloalpopolo.it/?p=2193
Cos'è che ti riesce incomprensibile? Che la Storia ci abbia consegnato questi fatti e testimonianze?