Vladimir Putin e l'autodeterminazione dei popoli
di STEFANO ZECCHINELLI (giornalista e blogger)
Putin non attacca l’esperienza sovietica, ma rinviene nel leninismo la ‘bomba’ che ha fatto crollare l’esperimento nazionalcomunista staliniano. Questa contrapposizione Lenin/Stalin – contrapposizione reale – ha una sua precisa genesi storica ma, prima di dare le dovute spiegazioni, è bene chiarire cosa intendesse Lenin per ‘’diritto delle nazioni all’autodecisione’’.
Per prima cosa chiariamo che cos’è una nazione. Una nazione secondo Stalin è ‘’ un’entità stabile di linguaggio, territorio, vita economica, formazione psicologica, che si è storicamente evoluta e si manifesta in una cultura comune’’ (Il Marxismo sulla Questione Nazionale e Coloniale). Questa posizione venne accolta, pochi anni dopo, addirittura dal suo avversario storico, Leon Trotsky, il quale spiega che “la lingua è lo strumento più importante di comunicazione umana, e di conseguenza dell’industria. Diviene nazionale insieme col trionfo dello scambio di merci che integra le nazioni. Su queste fondamenta lo Stato nazionale è eretto come l’arena più conveniente, proficua e normale per il gioco delle relazioni capitaliste” (Storia della rivoluzione russa).
Sia Stalin che Trotsky concordarono nel ritenere ‘’la lingua’’ l’elemento caratterizzante lo Stato nazionale, ma per Lenin i due teorici non coglievano un ulteriore aspetto importante. Nessuno negherebbe mai che la Svizzera sia uno Stato ‘semi-indipendente’ e sovrano ma – e faccio parlare il rivoluzionario russo – “In Svizzera ci sono tre lingue statali, ma le leggi che sono sottoposte a referendum vengono stampate in cinque lingue, vale a dire, in due dialetti Romanici in aggiunta alle tre lingue statali. Secondo il censimento del 1900 questi due dialetti sono parlati da 38.651 dei 3.315.443 abitanti di Svizzera, cioè da un poco al di sopra dell’1%. Nell’esercito ufficiali e sottufficiali permettono la più larga libertà ai loro uomini di parlare nel loro linguaggio nativo. Nei cantoni di Graubünden e Wallis (ciascuno con una popolazione poco sopra i centomila) entrambi i dialetti godono di un’uguaglianza completa.” (Commenti Critici sulla Questione Nazionale, ottobre-dicembre 1913).
L’identità nazionale svizzera – il discorso si potrebbe estendere a tutte le nazioni che tutt’oggi rivendicano la propria indipendenza – si è forgiata durante il conflitto contro l’impero austriaco, compattando i ceti popolari di quel paese, per questa ragione Lenin sostituì la categoria staliniana di ‘’entità stabile’’ con quella di ‘’entità evoluta’’ facendo del conflitto di classe la forza motrice degli Stati nazionali a venire. La sua posizione, per quanto ne dica Putin, resta di grande attualità ed è il punto di partenza per tutti coloro i quali vogliano lavorare ad una progettualità politica che spezzi l’egemonia di Washington e dei suoi vassalli.
Le rivendicazioni autonomiste possono essere definite democratico-borghesi, non socialiste, ma questo non impedì a Lenin di appoggiarle preservando, sapientemente, l’indipendenza di classe del mondo del lavoro. Dall’altro lato, il leader bolscevico individuò con grande anticipo nei vuoti slogan sulla ‘’cultura nazionale’’ un’arma neocolonialista volta a disintegrare le nazioni. Putin ha letto questa eloquente pagina leninista?
“Il risveglio delle masse dal loro torpore feudale, la lotta contro tutte le oppressioni nazionali, per la sovranità del popolo e per la sovranità delle nazioni, è progressiva. Quindi, è un dovere vincolante per un marxista mantenere la più risoluta e coerente democrazia su tutti i punti della questione nazionale. Si tratta di un compito prevalentemente negativo. Ma il proletariato non può andare oltre questo e appoggiare il nazionalismo, perché oltre a questo punto comincia l’attività “positiva” della borghesia che si sforza di rafforzare il nazionalismo. Ecco perché il proletariato si limita, per così dire, alla richiesta negativa del riconoscimento del diritto all’autodeterminazione, senza offrire garanzie ad alcuna nazione, e senza impegnarsi a concedere nulla a danno di altre nazioni.” (Commenti critici sulla questione nazionale)
Vladimir Putin salva dell’esperienza sovietica due aspetti di cruciale importanza: (1) la geopolitica di potenza (da non confondere con l’imperialismo: né l’Urss e nemmeno la Russia, sono mai state imperialistiche ); (2) il compromesso con la Chiesa ortodossa. Per dare una coerente ideologia al suo progetto politico, ha dovuto conciliare i settori più conservatori dello stalinismo russo rappresentati dal Partito comunista della Federazione Russa di Zjuganov, con i tradizionalisti, un tempo di destra, di cui il maggior esponente e pensatore è Aleksander Dugin.
Detto questo, è corretto ribadire l’appoggio di molti progressisti alla lodevole opposizione geopolitica russa contro i progetti imperialistici nord-americani: molti intellettuali antimperialisti ed associazioni socialiste si sono affiancate, giustamente, alla Russia in questa lotta. Gli aspetti bivalenti si susseguono continuamente.
Nel 1922 Lenin si rivolge con grande durezza verso Stalin: ‘’Perciò l’internazionalismo da parte della nazione dominante, o cosiddetta “grande nazione”, deve consistere non solo nell’osservare la formale uguaglianza tra le nazioni, ma anche una certa ineguaglianza che compensi da parte della nazione dominante, della grande nazione, l’ineguaglianza che si crea di fatto nella realtà. Chi non l’ha capito, non ha capito l’atteggiamento realmente proletario verso la questione nazionale, ed è rimasto, in sostanza, su una posizione piccolo-borghese, e perciò non può non scivolare ad ogni istante nella posizione borghese’’ (Sulla questione nazionale o della autonomizzazione).
Se Stalin ha cozzato frontalmente con la politica di Lenin in nome della salvaguardia ‘’patriottica’’ dello Stato proletario sovietico (in realtà una inedita forma di ‘socialismo burocratizzato’), Putin mira a riconquistare le antiche sfere di influenza sovietica col fine di rafforzare il capitalismo russo. Scompare, per l’attuale capo del Cremlino, la dicotomia ‘destra/sinistra’ e Dugin diventa un ideologo di primo piano in questo progetto.
Ma come possiamo sintetizzare il pensiero di Dugin, quali sono i suoi aspetti più importanti ? Lo storico Pier Francesco Zarcone ci ha fornito una sintesi eloquente del ‘’Dugin pensiero’’:
‘’Giacché la Russia deve essere il motore (non immobile) della zona di “sua pertinenza” per una vasta irradiazione lungo assi ben determinati e per l’Europa occidentale, Dugin privilegia gli assi Mosca-Berlino e Mosca-Parigi. Per l’Europa orientale (in senso lato), dato per scontato l’inserimento di Bielorussia e Ucraina nell’area russa, gli assi di Dugin sono due: l’asse Mosca-Ankara e quello Mosca-Caucaso. Dalla Turchia non si può prescindere, anzi va valorizzata la sua alterità rispetto ai paesi dell’Unione Europea.
Gli interessi turchi e gli obiettivi regionali di Ankara implicano che la Turchia entri in una dimensione multipolare, ed essi sarebbero meglio tutelati attraverso una partnership con la Russia (appianando i contrasti storici) e con l’Iran. L’asse caucasico riguarda un’area oggettivamente difficile, per la pluralità di popoli con diverse religioni e culture, in virtù delle quali il Caucaso è un mosaico di elementi di civiltà diverse.
Qui la soluzione prospettata da Dugin consiste nell’abbandono dell’opzione per Stati mono-etnici, e nel favorire invece la creazione di organismi federativi che lui definisce “flessibili”; un elemento a suo dire idoneo a favorire le coesistenze etico/culturali al loro interno sarebbe l’integrazione di questi organismi nel progetto strategico euroasiatico della Russia, la quale a tal fine realizzerebbe un sistema di semi-assi portanti: Mosca-Tbilisi, Mosca-Baku, Mosca-Erevan, e così via, e poi ulteriori semi-assi che si diramino non più da Mosca ma dai singoli centri del Caucaso, come Baku-Ankara, Erevan-Teheran eccetera.
Per l’Asia Centrale Dugin prevede la vera e propria integrazione strategica ed economica con la Russia onde farne un ponte verso paesi islamici come il Pakistan e l’Afghanistan. L’asse Mosca-Teheran nell’ottica progettuale in questione è di importanza primaria, in sé e come punto di partenza per un’irradiazione ulteriore. Con Teheran va quindi realizzata una partnership di lunga durata e un’integrazione economica e militare da cui muovere in direzione di Islamabad e Kabul. L’obiettivo sarebbe puntare a una vera e propria confederazione pakistano/afghana legata sia a Mosca sia a Teheran. E per finire l’asse Mosca-Nuova Delhi, per stimolare un più organico assetto federale coinvolgente tutti i gruppi religiosi ed etnici indiani’’.
I grandi blocchi geopolitici – se si vuole blocchi egemonici alternativi – prendono il posto della lotta antimperialista finalizzata a superare il capitalismo. La Russia è uno Stato borghese ma il suo riposizionamento geopolitico è utile alle Resistenze antimperialiste in Medio Oriente, e questo è un dato di fatto che va riconosciuto. Putin è in antitesi col leninismo: il leader russo ha ben fuso la ‘’dottrina Breznev’’ sulla ‘’geopolitica di potenza’’ con la difesa della grande cultura cristiano-ortodossa. Una elaborazione teorica e politica tutta interna al ‘’mondo post-sovietico’’.
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