di TONINO PERNA (economista e sociologo; Università di Messina)
È noto, almeno agli addetti ai lavori, che la lunga recessione (2008/2014) ha causato un aumento spettacolare del divario Nord/Sud nel nostro paese. Eppure, a eccezione della giornata che una volta l’anno i media dedicano al Sud d’Italia dopo la lettura del Rapporto Svimez, è almeno da venti anni che il Mezzogiorno è uscito fuori dall’informazione che conta. Vale a dire un terzo del territorio e degli abitanti del nostro paese sono sistematicamente ignorati dai media o hanno un ruolo marginale. È quanto emerge da una ricerca di grande valore condotta da Valentina Cremonesi e Stefano Cristante, sociologi dell’Università di Lecce, che di recente hanno pubblicato un saggio di grande interesse, La parte cattiva dell’Italia: Sud, Media e Immaginario Collettivo (Mimesis, 2015).
Che il Mezzogiorno sia ormai uscito da tempo dal focus dei mass media è un fatto noto e scontato, ma leggere che nel Tg1 delle 20, nel periodo 1980–2010, lo spazio riservato al Mezzogiorno sia pari al 9% delle notizie, fa un certo effetto. Parimenti, sappiamo che sulla grande stampa monopolistica l’interesse per il nostro Sud è scemato da molto tempo. Constatare però che dal nuovo secolo Corsera e Repubblica hanno dedicato al Mezzogiorno uno spazio sempre più marginale ci deve far riflettere: oltre 2.000 articoli pubblicati dal 1980 al 2000, contro solo 500 pubblicati nel decennio successivo.E, soprattutto, gli articoli sono legati quasi esclusivamente a due sole categorie «criminalità/cronaca nera» e «meteo/natura».
Come dire: «Bello il Sud!»… peccato che ci vivano i meridionali. Per altro questa rappresentazione del nostro Sud è prevalente anche nei Tg e nella gran parte dei media nel ventennio 1980-2000. Ed è una rappresentazione che è stata interiorizzata dagli stessi «terroni» che sono i primi a denigrare se stessi purché non lo facciano gli «stranieri».
In questo volume, molto ricco e articolato, i due capitoli finali sono riservati alla rappresentazione del Mezzogiorno nel cinema e nei siti web. Sui siti web emerge il fenomeno inedito del «leghismo meridionale», ovvero di un Sud che rimpiange i Borboni e addebita alla monarchia sabauda, a una feroce colonizzazione che chiamiamo Unità d’Italia, i mali di cui soffre questo territorio. Questo crescente sentimento antiunitario, questa nostalgia per un mitico passato glorioso (il Regno delle Due Sicilie), la dice lunga sulla disperazione di un popolo che non vede e non crede più nel futuro e si rifugia in un afflato nostalgico.
L’altra faccia della stessa medaglia è la rappresentazione sui siti di una natura meridionale selvaggia, di una grande storia testimoniata da innumerevoli monumenti, di una gastronomia eccellente e sconosciuta. Insomma, anche nelle nuove generazioni ritorna il leit motiv di sempre: abbiamo le risorse naturali e culturali ma non le sappiamo sfruttare.
Ben diverso è lo sforzo fatto nel nuovo secolo dal nuovo cinema meridionale, dai giovani registi meridionali, di cui ci offrono una approfondita carrellata i sociologi Cremonesi e Cristante. E’ un cinema che prova a modificare la struttura classica del narrare e che rompe con i cliché del passato nella rappresentazione del Mezzogiorno. Dal grande Tornatore ai nuovi autori (Crialese, Frammartino, Marra, Mollo, Winspeare, ecc) è il Sud come magia, mito, fiaba che si va affermando sul grande schermo.
E il Sud diventa protagonista anche nelle fiction televisive che fanno il giro del mondo, modificando lentamente la sua immagine: dal Sud criminale di Piovra e Gomorra si passa felicemente a Montalbano, dove il crimine è un pretesto per far emergere la ricchezza, varietà, e fascino di questa terra, a partire dalla ricchezza della lingua siciliana.
Malgrado lo sforzo di alcuni intellettuali meridionali, come ad esempio l’antropologo Vito Teti , l’economista Gianfranco Viesti e il sociologo Franco Cassano, la questione meridionale è ormai definitivamente morta e sepolta a dispetto del fatto che il divario Nord/Sud non sia mai stato così grande e insopportabile come in questi anni. La crisi economica, infatti, ha avuto un impatto sul territorio meridionale, in termini di reddito, occupazione, ecc, più del doppio di quello che si è registrato nel Nord del nostro paese. Ma ormai è risultata vincente la rassegnazione.
Nessuna forza politica crede ancora che sia possibile fare qualcosa per ribaltare questa situazione, qualcosa che abbia a che fare con il «riscatto» morale, civile ed economico della popolazione meridionale. Forse, come tentano di spiegare alcuni giornalisti e scrittori, è tutta l’Italia che si è meridionalizzata ed è per questo che è scomparsa la specificità della questione meridionale.
E’ vero che mafie e corruzione fanno ormai parte del patrimonio nazionale, che sono presenti da Milano a Trapani, ma è altrettanto vero che in termini di servizi pubblici, di tasso d’occupazione, di opportunità di vita e di lavoro c’è ormai un abisso tra le due parti del paese. In realtà una questione meridionale non esiste più come questione nazionale ma è da tempo diventata una questione europea, del divario crescente tra il Nord e il Sud Europa che rischia di far saltare definitivamente questa precaria costruzione istituzionale che è l’Unione Europea.
[“il manifesto”, 22.3.2015]
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