Sovranità, sicurezza, libertà
di DAVIDE PARASCANDOLO (ARS Abruzzo)
Mala tempora currunt, impossibile non essere in accordo con questo celebre adagio. Ebbene, in questi tempi così foschi, appare sempre più evidente come il nostro Paese abbia bisogno urgentemente di Sovranità, perché è unicamente attraverso la riappropriazione di questo preziosissimo strumento che esso potrà ritrovare dignità, fierezza e un maggior grado di serenità.
Sovranità, non dimentichiamolo, significa controllo diffuso e capillare su tutti gli ambiti sensibili che caratterizzano la vita dello Stato e del popolo ad esso soggetto. Essa è dunque un elemento indispensabile affinché lo Stato medesimo possa pianificare, progettare ed attuare liberamente e senza indebite costrizioni esterne tutte le politiche necessarie per salvaguardare la qualità della vita dei propri cittadini. E tra esse, naturalmente, vi è anche la politica di sicurezza.
Cedere sovranità ad un organismo sovranazionale anche in questa dimensione oggi così delicata, come da più parti si auspica dopo le ultime tragiche vicissitudini, significherebbe in realtà rendere più agevole per soggetti esterni la possibilità di stringere su tutti noi un controllo molto più asfissiante, e ciò non sembra sinceramente augurabile in quanto aprirebbe invero ulteriori inquietanti prospettive. Sia questo un chiaro monito a futura memoria.
Multiculturalismo, retorica dell’integrazione, immigrazionismo forzato travestito da umanitarismo, “esportazione violenta” della democrazia, cultura universalista dei valori, tutte facce di una stessa medaglia: di quel liberismo assurto a bastione in difesa di un globalismo apolide che tutto fagocita indiscriminatamente.
Bene, siamo di fronte al misero, ma allo stesso tempo tragico fallimento di questi paradigmi disgreganti e distruttivi. Alla luce degli ultimi accadimenti, e proprio nonostante questi, i quali sono parte di un mosaico complesso di conseguenze che sono a loro volta il portato di lungo periodo di una serie di scelte e di posture che una certa parte del mondo ha scelto di assumere, è necessario continuare ad opporsi con assoluta fermezza e lucidità al “siamo tutti europei” di facciata, al subdolo tentativo di trasformare ciò che è avvenuto a Bruxelles, e che presumibilmente avverrà ancora altrove, nel chiavistello ideale per scardinare gli ultimi scampoli di sovranità che ci rimangono.
Sia ben chiaro, Bruxelles non è la mia capitale così come io non mi sento europeo più di quanto non possa definirmi terrestre. A maggior ragione adesso, non bisogna avere remore nel ribadire la radicale critica nei confronti dell’europeismo e della sua sciatta propaganda che sfrutta ignobilmente le tragedie al fine di manipolare e plasmare le coscienze scosse di popoli ormai brancolanti nel buio, senza più riferimenti, disorientati e abbandonati lungo le vie diroccate e sconnesse di un continente e di una civiltà letteralmente alla deriva (rammentiamo che qualcuno ha avuto persino l’ardire di dirci che dovremmo sentirci più europei perché delle povere ragazze hanno trovato la morte in Spagna durante un Erasmus).
È giunta l’ora di lasciare da parte i gessetti colorati o il patetico ed inutile pietismo di circostanza e di tornare a far nostro un pensiero energico, vitalistico, un pensiero che sappia tramutarsi in predisposizione ad un’azione che solo il desiderio per una libertà tutta da riconquistare potrà rendere vigorosa. Siamo in guerra, ci dicono, ma lo siamo prima di tutto con chi ci vuole deboli, indifesi, con chi vuole instillare in noi la sensazione che soltanto rinunciando alle nostre libertà potremo essere “più sicuri”.
Sia qui pertanto ribadito che Roma è la mia capitale e che l’Italia è l’unica mia Patria. Il concetto di popolo europeo è una mera costruzione lessicale, una pura finzione, ma non così l’Italia, che è l’espressione concreta di uno spirito forgiato dai secoli, è il retaggio di una storia, di una cultura, di una lingua comuni; essa ha un’anima viva che in molti, troppi, vorrebbero ora disconoscere e soffocare in nome di un’identità europea che francamente non mi appartiene, perché l’identità europea, semplicemente, non esiste. E sono certo che le tante migliaia di orgogliosi sovranisti, che sono dei patrioti e che amano il proprio Paese, desiderino levare alta la loro voce e la loro indignazione contro la vacuità ideale e morale che sta prosciugando le nostre forze vitali, contro una cultura che da tempo non sentono più come la propria.
Lottare per la riconquista della sovranità non vuol dire in alcun modo ripiegarsi, rinchiudersi, rinserrarsi in se stessi assumendo un atteggiamento aggressivo o di opposizione nei confronti degli altri popoli e degli altri Stati. Questo atteggiamento appartiene semmai ad un becero nazionalismo lontano anni luce dalla nostra sensibilità. La sovranità è un principio universale e i sovranisti riconoscono il diritto dei popoli e degli Stati di esercitarla pienamente in base alle rispettive specificità culturali, storiche, sociali ed economiche, perché solo in questo modo i popoli possono costruire i presupposti per vivere pacificamente e creare le condizioni per cooperare, partendo cioè da una fondamentale, irrinunciabile e reciproca posizione di autonomia e indipendenza.
Facciamo dunque attenzione, poiché la parola che si sposa con sovranità non è nazionalismo, ma libertà, quella libertà che ci stanno scippando un pezzetto alla volta, anche facendo leva sulle nostre paure. Prosperità, sicurezza, cooperazione, oggigiorno sono concetti vuoti, è vero, tuttavia, soprattutto in questa epoca così drammaticamente dilaniata, potranno cominciare ad essere nuovamente garantiti solo assicurando l’autodeterminazione dei popoli. Questo è il fine per il quale abbiamo iniziato una lunga battaglia, una lotta intesa a ripristinare il pieno controllo su noi stessi e sul nostro futuro, e non ci arrenderemo finché esso non sarà ricondotto integralmente nelle nostre mani.
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