Etica, morale, legalità. Rifondare la Comunità
di SIMONE GARILLI (ARS Lombardia)
“Il termine greco ethos ed il termine latino mos, da cui sono derivati rispettivamente i termini moderni di etica e morale – che erano in origine semanticamente identici e la cui separazione sarebbe sembrata agli antichi inutile, se non inconcepibile – significano entrambi “costume”, ed il “costume” era per definizione qualcosa che derivava direttamente da un’esperienza comunitaria. Il “ritaglio” di una zona dell’agire umano definibile come “etico” è dunque qualcosa che non sarebbe mai avvenuto senza un preliminare processo di sfaldamento di questo insieme sociale precedente di tipo olistico […] Oggi, invece, quando si parla di etica, oppure di morale, si intende prima di tutto “ritagliare” dall’insieme dei comportamenti umani individuali e associati una parte, del tutto illusoria, di questi comportamenti stessi, distinti da altri comportamenti ritenuti in vario modo logici, estetici, politici, religiosi…Questa operazione di “ritaglio” di una specifica “regione” di tipo etico e/o morale presuppone un preliminare “ritaglio” dell’individuo dal suo insieme sociale”[1].
In sostanza, nella modernità c’è la tendenza a rifiutare uno spazio comunitario per l’etica/morale, e a rifugiarsi nell’etica/morale individuale. Non importa più domandarsi cosa sia la legge, ma è sufficiente rispettarla (quando va bene) per filo e per segno, come se la legge fosse un dato astratto caduto dal cielo e non, invece, la cristallizzazione (mai definitiva e sempre discutibile) di un’esperienza comunitaria. La legalità diventa così un vanto individualistico o, ancor peggio, un’arma politica per delegittimare un avversario, un partito o un’intera classe dirigente, accusati di essere contro la legalità.
Siccome la precedente unità logica tra etica e morale è stata infranta nell’individualismo moderno, è bene prendere atto del dato di fatto e distinguere i due termini, dato che oggi non hanno lo stesso significato. L’obiettivo (teorico e politico) è di arrivare così a riunirli, sostituendo alla morale moderna individualistica una nuova etica comunitaria.
Oggi:
- La morale è la dimensione individuale del rispetto delle leggi, intese come portatrici formali di un ordine neutro, volutamente non etico
- L’etica non è ammessa, se non come tentativo fastidioso e autoritario di imporre un costume collettivo a sfavore dell’assoluta libertà individuale (che è il valore fondante della modernità occidentale)
In un futuro possibile, :
- L’etica è l’insieme della riproduzione comunitaria in uno spazio e in un tempo dati, a cui seguono delle norme di costume collettive, il cui non rispetto da parte dell’individuo comporta la sua emarginazione, definitiva o provvisoria, dalla comunità di appartenenza
- La morale è l’introiezione personale della necessità di rispettare le norme etiche seguite all’esperienza comunitaria
Precisazione fondamentale: ‘introiezione’ non significa acritica accettazione delle norme etiche comunitarie. Può significare sia accettazione che rifiuto, e in ogni caso problematizzazione individuale delle norme etiche. In una comunità di questo tipo, quindi, non è sacrificato l’individuo libero, ma l’individualismo inteso come patologia. La libertà non è più la caricatura moderna dei diritti individuali assoluti e capricciosi, al riparo dagli altri individui (considerati nemici e competitor) e dalla comunità, ma è la libera e problematica produzione comunitaria di norme etiche che garantiscano l’armonia sociale. Questa libertà “matura” comporta per l’individuo una dialettica incessante tra diritti e doveri, nei quali i secondi sono indispensabili almeno quanto i primi. In una società di questo tipo si è coscienti che la sottovalutazione dei doveri comunitari (etica) sfalderà il tessuto comunitario e riporterà in vita le patologie dell’individualismo, insieme alla quali non è possibile alcuna reale realizzazione dell’Uomo e alcuna concreta legalità, che non sia virtuosismo fine a sé stesso o moralismo spicciolo.
Non sarà inutile una seconda precisazione, considerata la facilità con cui oggi – in epoca (post)moderna e quindi ancora intensamente positivistica – si bollano riflessioni filosofiche di questo tipo come “idealistiche” “intuitive” “inutili” “non scientifiche”. E’ evidente a chi scrive che una comunità olistica in cui l’unità logica tra etica e morale sia ripristinata non sia una meta finale, ma una tensione senza soluzione di continuità, e che questa tensione non si attiva, nelle nostre condizioni sociali, senza un aspro e duraturo conflitto, non certo solo ideale e teorico.
Il punto è per cosa decideremo di combattere. Per i diritti umani individuali slegati dal contesto sociale? No, grazie. Per una libertà ristretta, confinata al circolo di amici epicurei illuminati, e chiusa a riccio rispetto ad un ambiente sociale divenuto irrimediabilmente ostile? Neppure. Combattiamo per la realizzazione delle possibilità umane, nel loro campo di realtà concreto, che non è l’individuo, ma la società di individui tra loro legati da rapporti, vincoli e sentimenti universali. In altri termini combattiamo per la comunità, e più precisamente, date le coordinate storiche e geografiche in cui ci troviamo, combattiamo per la comunità nazionale, intesa quale punto di appoggio sia per la realizzazione particolare delle potenzialità umane (l’uomo e le comunità ristrette di uomini, a partire dalla famiglia) che per quella universale (il pacifico e costruttivo dialogo tra diverse comunità nazionali).
Da qui e solo da qui, poi, possiamo ragionare intorno al come e al chi combattere. Tattica, strategia e rapporti di forza saranno il nostro pane quotidiano, per la felicità dei “materialisti concreti e scientifici”.
Non sto parlando, evidentemente, di un successione temporale: prima la filosofia e l’etica e poi, una volta risolte queste pratiche fastidiose, la tattica e la strategia politica. Parlo, invece, di una dialettica, categoria che andrebbe recuperata con serietà, respingendone sia gli usi semplicistici che le critiche materialiste, spesso indecorose.
[1] Costanzo Preve, Storia dell’etica, Petite Plaisance, Pistoia, 2007, p. 7. La citazione è stata leggermente rivista per renderla più immediata e leggibile.
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