Imperialismo, colonialismo e immigrazione (2a parte)
di MANUEL COSTANZI (FSI Umbria)
<<Per l’imperialismo è più importante dominarci culturalmente che militarmente. La dominazione culturale è la più flessibile, la più efficace, la meno costosa. Il nostro compito consiste nel decolonizzare la nostra mentalità>> Thomas Sankara, primo presidente del Burkina Faso.
La guerra aveva portato a un generale indebolimento delle grandi potenze europee che avevano colonie in Africa, gli ideali di libertà diffusisi in seguito alla vittoria delle democrazie nella seconda guerra mondiale fornirono lo sfondo ideale al malcontento degli africani verso la dominazione coloniale.
Negli anni intorno al 1950 iniziò una spinta autonomistica delle popolazioni delle colonie: i popoli indigeni reclamavano il diritto di essere indipendenti dalla ‘’madrepatria’’ e di decidere del proprio destino, con insurrezioni e movimenti di protesta in cui si intrecciavano rivendicazioni politiche, economiche e sociali.
In molti paesi questa ribellione fu guidata da partiti politici che si ispiravano al ‘’socialismo africano’’, che si distingueva in modo abbastanza netto dalle ideologie socialiste di matrice occidentale.
In genere i leader politici africani rappresentarono il socialismo come rifiuto del sistema economico capitalistico portato dai colonizzatori, a favore del recupero di valori tradizionali africani come il senso della comunità, della famiglia, o la dignità del lavoro agricolo.
Davanti a questa opposizione, la madrepatria europea dovette sempre concedere l’indipendenza delle colonie, talvolta pacificamente, limitandosi a far passare tutta la struttura amministrativa e militare creata nelle colonie nelle mani di funzionari delle èlite europeizzate, o dopo lunghe lotte, che videro grandi spargimenti di sangue nell’opposizione tra le armate coloniali europee e i guerriglieri africani che erano passati all’aperta ribellione contro il colonialismo.
<<Il modo migliore per imparare a essere uno stato sovrano indipendente è quella di essere uno stato sovrano indipendente>> Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana.
‘’Nei decenni successivi all’indipendenza gli stati africani sono caduti nella morsa della guerra fredda e delle dittature, l’adozione del modello occidentale di sviluppo industriale e urbano, da realizzarsi con gli introiti dell’export di materie prime e gli aiuti internazionali, è stata un fallimento.
I paesi africani sono restati paesi agricoli economicamente dipendenti e al colonialismo politico è subentrato un neocolonialismo economico che avvantaggia solo il nord del mondo e le èlite locali’’ [1]
Per neocolonialismo si intende la politica adottata da una ex potenza coloniale, o in genere da un paese sviluppato, per controllare le proprie ex colonie, o più in generale paesi sottosviluppati, usando strumenti economici e culturali anziché la forza militare.
Il termine fu coniato proprio da Kwame Nkrumah, primo presidente del Ghana indipendente, ed è stato adottato da autori come Jean-Paul Sartre e Noam Chomsky con una connotazione esplicita di critica nei confronti delle politiche occidentali verso il terzo mondo, ad esempio con riferimento allo sfruttamento dei paesi poveri da parte delle grandi multinazionali.
‘’Negli anni novanta, dopo la fine del bipolarismo, sono sorti movimenti democratici che hanno spinto molti regimi a partito unico a passare al multipartitismo, spesso però il cambiamento ai vertici è stato solo di facciata e i vecchi gruppi dominanti sono rimasti al potere. I meccanismi <<democratici>> hanno così finito per alimentare tribalismo e logiche clientelari, mentre il frantumarsi dello stato accresce il rischio della perdita di ogni forma di controllo sulla violenza pubblica e privata.
Spesso alla base delle guerre africane stanno gli interessi legati alle risorse minerarie e ai preziosi, come per le guerre civili di Sierra Leone, Liberia, Nigeria, Angola, Congo e Uganda, le grandi imprese occidentali si contendono le concessioni minerarie armando le diverse fazioni in guerra.
In Congo nel 1960, il Belgio promosse la secessione del Katanga e quindi la guerra civile, per mantenere il controllo della regione; il primo ministro congolese Lumumba veniva assassinato e con un golpe sostenuto dagli Usa, iniziava la lunga dittatura di Mobutu.
I giacimenti petroliferi scoperti in Nigeria dalla Royal Dutch/Shell nel 1958, alla vigilia dell’indipendenza, sono stati all’origine di golpe e guerre civili. Nel 1967 scoppiava la guerra del Biafra, in cui le élite moderniste del sud (Igbo) tentarono di strappare il potere a quelle tradizionaliste del nord (Hausa) e di controllare i proventi petroliferi della loro zona.
Le economie africane post coloniali sono estremamente fragili, gravate dagli interessi sui debiti contratti e basate sull’esportazione di pochi generi di materie prime il cui prezzo è fissato dalle grandi aziende del nord del mondo. La monocoltura per l’esportazione espone a gravi crisi economiche in caso di caduta dei prezzi e restringe il tempo e la terra disponibile per le coltivazioni alimentari locali.
La sottoalimentazione che colpisce un terzo degli abitanti non è tanto conseguenza della mancanza di cibo quanto della miseria, una situazione che si è aggravata dopo i piani di aggiustamento strutturale imposti dal Fondo Monetario Internazionale, che, tagliando i fondi statali per la spesa sociale, ha peggiorato le condizioni di vita della gente.’’ [2]
<<Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le loro economie.
Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini. Noi non c’entravamo niente con questo debito, quindi non possiamo pagarlo.
Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici, anzi dovremmo dire assassini tecnici […]>> Thomas Sankara all’Organizzazione dell’unità africana, 29 Luglio 1987.
Ormai la questione del debito è presente anche in Europa e sembra di assistere ad una nuova colonizzazione (del vecchio continente questa volta), da parte di organismi sovranazionali che tengono in ostaggio gli stati attraverso il controllo della moneta e delle finanze, la comparazione nasce spontanea.
Ma restiamo sull’economia di saccheggio perpetrata in Africa, sulla questione delle risorse del suolo e del sottosuolo e la lotta per il loro controllo.
‘’In Liberia, Sierra Leone e Guinea (nella regione Conakry) la gomma, i diamanti e il ferro sono la causa, e allo stesso tempo la risorsa, che consentono il proseguimento del conflitto. A parte i diamanti, ancora più significativa è per il Congo la questione coltan, la famosa colombo-tantalite divenuta un minerale essenziale per l’aereonautica e l’informatica.
Il fatto che il sistema economico di sfruttamento delle risorse sia garantito da uno stato o da una occupazione militare, e da una situazione di instabilità permanente non è di per se indifferente, ma ha conseguenze sul sistema socio-economico nel suo complesso’’ [3]
‘’La penetrazione coloniale prima, e quella delle religioni monoteiste e rivelate poi, hanno profondamente cambiato quelle forme di vita alle quali la modernizzazione e le migrazioni massicce stanno dando il colpo di grazia. La migrazione dei giovani, allontanati dalla rete in cui erano immessi o alla quale erano destinati, ha rotto la coesione comunitaria e introdotto nuovi modelli e nuove idee.
Ma ciò che è più rilevante, è che l’introduzione di nuove merci e di nuovi dispositivi tecnici ha messo in crisi le vecchie gerarchie. Le relazioni intergenerazionali diventano più che problematiche in seguito a un cambiamento nella distribuzione del potere, del sapere e dell’avere in tempi e modi non scelti né maturati dalle comunità, ma imposti da un altrove (le regole del commercio, l’avvento di merci e strumenti tecnici fabbricati da altri che richiedono nuove competenze).
Tutto ciò ha acuito la conflittualità tra le generazioni, sostenuta anche dagli interventi delle agenzie internazionali rappresentanti e promotrici dell’individualismo liberal e competitivo.’’ [4]
Ormai è da tempo che l’istanza di autodeterminazione dei popoli è sparita dai dibattiti politici, il sovranismo vuole portare alla ribalta proprio questa istanza, dobbiamo avere rispetto per ciò che abbiamo, riprenderci ciò che ci appartiene, la nostra terra e il nostro diritto/dovere di esercitare un controllo responsabile sulle nostre risorse, seguendo la via che i padri costituenti hanno tracciato, per lasciarla in eredità ai nostri figli.
Per fare questo dobbiamo tornare ad occuparci della vita politica del nostro paese, dobbiamo tornare ad essere una vera Nazione, dobbiamo percepirci come una unità etnica cosciente di una propria peculiarità ed autonomia culturale, specialmente in quanto premessa di unità e sovranità politica.
Riscopriamo il valore della sovranità, ossia di quella ‘’qualità giuridica pertinente allo Stato in quanto potere originario e indipendente da ogni altro potere, la sovranità popolare è il principio secondo il quale la potestà ha la sua fonte e la sua giustificazione nella volontà del popolo.’’ [5]
Liberiamoci dalla ‘’dominazione culturale’’ dell’ideologia liberista che vuole imporre gli interessi dei pochi a discapito dei molti, non lasciamo che le regole del commercio prevalgano su quelle delle nazioni, non lasciamoci omologare al pensiero unico che ci vuole sradicare dalle nostre terre di origine, che ci considera alla stregua di una merce, per proiettarci in una dimensione individuale e consumistica della società globalizzata, ripristiniamo un pensiero plurale, dove ci sia il rispetto per le diversità culturali e sociali, elementi fondamentali per una vera solidarietà fra i popoli.
[1], [2] Dizionari delle civiltà, Mondadori Electa 2007
[3] Alberto Sciortino, Le vere ragioni dei conflitti in Africa, 2004
[4] Piero Coppo, Le ragioni degli altri, 2012
[5] Dizionario della lingua italiana, Devoto-Oli 1979
(Fine)
Qui la prima parte dell’articolo
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