Per una fondazione filosofica del sovranismo: la figura di Costanzo Preve (2/5)
di SIMONE GARILLI (ARS Mantova)
Qui la prima parte: Cos’è la filosofia?
PARTE SECONDA: L’ontologia dell’essere sociale
Si è detto nella prima parte che la filosofia è il risultato di una sintesi tra l’elemento ontologico e l’elemento storico, tra “ciò che è, ed è eternamente” e “il proprio tempo appreso nel pensiero”. Perché la filosofia non rimanga un semplice “dibattito relativistico sui valori”, ma torni ad essere istanza di conoscenza, valutazione e trasformazione sociale è necessario allora riunire i due elementi in un’ontologia dell’essere sociale, che è poi la declinazione pratica delle astratte definizioni di filosofia riportate nella prima parte.
L’ontologia dell’essere sociale è “una posizione filosofica generale, che mira […] a ristabilire un punto di vista ontologico sul mondo, punto di vista largamente dimenticato a partire dall’affermazione del criticismo kantiano e del connesso primato della gnoseologia sull’ontologia stessa”[1]. In particolare, “l’ontologia dell’essere sociale […] significa che l’essere sociale esiste (come del resto esiste la natura umana […]). Il fatto che l’essere sociale esista, e sia caratterizzato da categorie ontologiche specifiche, e non solo storico-relative […] resta il solo baluardo credibile contro l’illimitata manipolazione che sorregge l’attuale epoca della compiuta peccaminosità”[2].
- L’oggetto di studio dell’ontologia dell’essere sociale
È naturalmente l’essere sociale, inteso come soggetto storico dotato di un retroterra ontologico da cui non può sfuggire: la Natura Umana. L’uomo è infatti animale sociale, politico e comunitario da un lato e animale razionale, dotato di linguaggio e di capacità di calcolo finalizzato al ben vivere sociale dall’altro, come insegna Aristotele. Queste due determinazioni sono ineludibili, ma possono essere storicamente alienate dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. È il caso della società capitalistica, ma non solo. L’analogia storica che Preve predilige si rifà al severo giudizio di Hegel sul mondo romano, nel quale l’accumulo di ricchezze private e l’atomizzazione sociale avevano provocato il declino della filosofia comunitaria di epoca classica e la proiezione consolatoria delle classi subordinate nella dimensione ultramondana del cristianesimo[3].
Ma l’essere sociale, lungi dall’essere oggetto passivo di questa dinamica, è il soggetto capace di reagire se il contesto storico di cui fa parte produce alienazione. In questa azione-reazione storica l’essere sociale si plasma continuamente dando luogo a forme organizzative ed espressive molto diverse da epoca ad epoca. Questa diversità, però, non può nascondere il fatto che una tensione dialettica fra il dettato ontologico e le istanze di alienazione-sfruttamento attraversa tutti i distinti modi di produzione e tutte le società storiche determinate. In questo senso, in ogni società di ogni tempo, ontologia e storicità determinata si incontrano.
Sta alla filosofia intesa come pratica di Bene e Verità far sì che l’essere sociale trasformi la sua storicità in un ambiente non alienato, fedele quanto più possibile al dettato ontologico comunitario e razionale. È evidente che si tratta di un processo senza fine, nel quale le novità sociali sprigionano dalla tensione fra Natura Umana e alienazione, ma che non dà mai luogo ad una “fine della storia”, né declinata come società della massima alienazione (iper-individualismo governato dal mercato) né come società compiutamente rispettosa del dettato ontologico (comunismo senza classi e senza Stato).
- Le tre funzioni dell’ontologia dell’essere sociale
Tornando al capitalismo, se è vero che questo modo di produzione relativamente giovane produce da due secoli abbondanti alienazione e disgregazione sociale, è vero anche che ha già stimolato resistenze sistemiche in passato e ne provocherà altre in futuro, a partire dal dettato ontologico comunitario che caratterizza il ‘genere’ umano. Questo, peraltro, è l’unico determinismo ammesso per non ricadere nell’errore marxiano e marxista che vedeva nel comunismo senza classi né Stato l’esito necessario della storia umana[4].
È bene non sbilanciarsi sul tracollo finale del modo di produzione capitalistico e sulla forza sociale che lo provocherà, ma occorre più correttamente riconoscere che la Natura Umana farà resistenza alla spirale nichilistica che ne è il principale prodotto, come è sempre successo nei modi di produzione precedenti. La Natura Umana diventa così la protagonista principale e insieme il fondamento filosofico di una seria ricostruzione storica di matrice ontologico-sociale e rappresenta il primo e principale argine, ad un tempo ontologico e normativo, contro la presunta “fine della storia” capitalistica.
Si immagini ad esempio un modo di produzione globalizzato, come quello attuale, nel quale le differenti culture etniche e nazionali sono appiattite da un’ideologia che travalica i confini territoriali, sostenuta dalla forza militare del capitalismo più forte e dallo strapotere finanziario delle istituzioni globali di natura tecnocratica. Sarà evidente a questo punto dove risieda la funzione normativa della Natura Umana. Se l’uomo è animale comunitario, e se l’alienazione dell’essere sociale proviene dalla globalizzazione dei capitali e dall’attacco alle frontiere politiche ed ideali degli Stati nazionali, la reazione dell’essere sociale dovrà essere indirizzata alla difesa di quelle frontiere, attraverso una serie di norme che dall’universale (il controllo dei movimenti di capitali in entrata e in uscita, la riappropriazione della potestà monetaria…) si trasferiscano anche al particolare (la salvaguardia legislativa della lingua nazionale e dei dialetti, gli investimenti nell’istruzione e nella sanità pubblica, la tutela del patrimonio pubblico, in particolare di natura storica e artistica…)
Si può quindi sostenere che l’ontologia dell’essere sociale è una pratica non solo analitico-conoscitiva, ma anche e soprattutto valutativa e normativa. Conoscere (l’essere sociale e la sua Natura) per valutare e trasformare (la società alienata).
Queste tre funzioni fondative della pratica filosofica non procedono in modo lineare, bensì dialettico. Questo rilievo è particolarmente importante, ed è necessario rifletterci sopra prima di riempire di contenuto l’ontologia dell’essere sociale.
- La natura dialettica dell’ontologia dell’essere sociale
Costanzo Preve, a partire da Fichte, definisce la dialettica come “l’unificazione sintetica dell’opposizione creatasi attraverso la determinazione reciproca che risulta dal processo stesso”, e come “l’operazione teorica che fa da tessuto e da rete alla scienza filosofica, che a differenza della logica formale si basa sulla connessione organica fra forma e contenuto e tra soggetto e oggetto”.
Vale a dire che non esiste processo sociale che non sia dialettico, perché l’essere sociale – che non è mai l’individuo compiutamente desocializzato della scienza economica classica – agisce su un oggetto in movimento (la società), il quale reagisce e determina a sua volta dialetticamente il soggetto stesso. In questo senso non c’è un’origine e una fine del processo sociale secondo uno schema lineare, ma piuttosto un rapporto circolare tra soggetto sociale e oggetto sociale.
Sta qui tutta la distanza fra le scienze sociali (e la filosofia che dovrebbe unificarle), e le scienze naturali. Se l’oggetto delle scienze naturali rimane fermo, o si muove in tempi lunghissimi, quello delle scienze sociali risponde agli stimoli del soggetto e lo determina a sua volta. Il rifiuto di questa banale differenza di struttura tra scienze sociali e scienze naturali prende il nome di ‘scientismo’, ed è senza dubbio la più grave patologia filosofica dell’epoca moderna capitalistica. Da questa patologia ormai pandemica prende forma il disprezzo moderno per la filosofia veritativa classica, e la riduzione della pratica filosofica a stampella epistemologica delle scienze naturali ed economiche[5]. Togliendo alla filosofia il suo oggetto primario (l’essere sociale nella sua tensione con la società di cui fa parte) viene meno anche la sua funzione veritativa. L’unica verità legittima della modernità risiede allora nelle scienze naturali ed economiche (tecnocrazia), mentre la Verità come Bene e Giustizia sociale scompare nel disprezzo della metafisica pre-moderna, etichettata come a-scientifica, e quindi primitiva.
La filosofia classica, al contrario, nasce come dialogo intorno alla Verità intesa come Bene sociale e Natura Umana. Mentre si conosce e valuta la storicità determinata di cui si fa parte si tenta di trasformarla in senso comunitario attraverso una normazione politica e sociale, che prende il nome di ‘etica’.
Detto con Preve, “[…] il dialogo [conoscenza e valutazione] deve di tanto in tanto determinarsi. La determinazione sociale del dialogo si chiama ‘etica’”[6].
A livello meno astratto, si potrebbe fare l’esempio del partito politico che accompagna all’analisi della sua storicità alienata non un astratto e dettagliato programma di trasformazione sociale slegato dalla prassi politica, ma alcuni principi cardine, etici, dai quali l’azione politica successiva deve prendere forma, sia pure in maniera del tutto imprevedibile, perché agirà su un oggetto dinamico e reattivo che richiederà a sua volta reazioni estemporanee.
Questo è in sintesi il lato dialettico della realtà sociale, che la filosofia non può ignorare se vuole tornare ad essere anche trasformativa, e quindi, in ultima analisi, normativa.
- Conoscere e valutare
Stabilita la natura dialettica del processo filosofico, è bene però analizzarne separatamente i tre momenti fondamentali (conoscenza, valutazione, trasformazione), per ragioni di chiarezza espositiva. Riserveremo al momento trasformativo-normativo la quinta parte di questo saggio, parlando del ruolo dello Stato nazionale nell’attuale congiuntura iper-capitalistica. Sarà utile invece concludere questa seconda parte con una breve riflessione sul momento conoscitivo e su quello valutativo, che ne deriva di conseguenza.
Si tratta di capire in che modo si può arrivare alla conoscenza dell’essere sociale e della propria storicità determinata (il modo di produzione).
Costanzo Preve propone un modello analitico ispirato esplicitamente a Karl Marx: la deduzione storico-sociale della categorie del pensiero e la conseguente separazione fra la ‘struttura’ (la produzione economica) e la ‘sovrastruttura’ (la riproduzione ideologica). Fino a prova contraria è il miglior strumentario analitico a nostra disposizione e, sostiene Preve, sarebbe assurdo privarcene con la scusa che il marxismo storico ha fallito.
In estrema sintesi, il metodo marxiano-previano mira a ricostruire la storia del pensiero filosofico a partire dal modo di produzione e dagli apparati ideologici che lo tengono in piedi, invece che da una disordinata “filastrocca di opinioni” filosofiche cadute dal cielo, decontestualizzate e desocializzate, e quindi facilmente manipolabili dagli apparati ideologici del modo di produzione presente.
L’analisi economica del modo di produzione, delle forze produttive e dei rapporti classisti di produzione deve stare alla base di qualsiasi ricostruzione delle categorie del pensiero e di qualsiasi tentativo di critica sociale che ne discende. Ricostruendo la riproduzione complessiva del modo di produzione in cui si è imprigionati (struttura produttiva + sovrastruttura ideologica), è possibile valutarlo con cognizione di causa e passare all’attacco, attraverso una valutazione e un tentativo di trasformazione.
La deduzione storico-sociale della categorie, tuttavia, deve per forza inserirsi in un orizzonte storico complessivo che permetta di ricostruire le categorie del pensiero capitalistiche per via genetica. Non è quindi sufficiente un’analisi marxiana del modo di produzione attuale se non lo si indaga attraverso un rispecchiamento con i modi di produzione precedenti. L’ontologia dell’essere sociale è quindi insieme ricostruzione storiografica in senso marxiano (‘struttura’ e ‘sovrastruttura’ dei vari modi di produzione pre-capitalistici) e sintesi filosofica complessiva (filtrando dalle diverse espressività storiche il contenuto ontologico del soggetto umano: la Natura dell’essere sociale).
La valutazione filosofica unitaria dovrà fondarsi sul confronto tra le categorie e la riproduzione interna del modo di produzione presente e il dettato ontologico dell’essere sociale che risulta dall’analisi storico-genetica. Tanto più quanto il modo di produzione si rivelerà distante dal dettato ontologico, tanto più il giudizio dovrà essere negativo. Marx valutava il modo di produzione capitalistico, come noto, a partire dalle categorie filosofiche di ‘sfruttamento’ e ‘alienazione’. L’analisi marxiana è preziosissima, ma deve essere naturalmente rinnovata se è vero, ed è vero, che il capitalismo ha attraversato diverse età evolutive, e oggi è configurato diversamente dal capitalismo ottocentesco. Molte categorie vanno aggiornate, molte altre archiviate, e altre ancora inventate.
Conclusioni
Si è detto, in definitiva, che l’ontologia dell’essere sociale è una posizione filosofica radicale ostile alla non-filosofia moderna, la quale rifiuta il dialogo intorno alla Verità e al Bene e quindi anche la successiva normazione etica del vivere comunitario.
L’ontologia dell’essere sociale ha un preciso oggetto di studio: il soggetto storico umano nel suo vivere sociale e nella continua tensione che sprigiona dal conflitto tra ‘genere’ umano (o Natura Umana) e alienazione. Il momento conoscitivo, peraltro, deve tenere conto della natura dialettica di questo conflitto, dato che essere sociale e società di riferimento si determinano a vicenda. Il percorso conoscitivo, infine, è necessariamente accompagnato dal metodo marxiano di deduzione storico-sociale delle categorie del pensiero, pena la riduzione delle categorie stesse a opinioni desocializzate e destoricizzate e la non comprensione del proprio modo di produzione.
L’ontologia dell’essere sociale, tuttavia, non è solo pratica conoscitiva, ma anche e soprattutto trasformativa. L’obiettivo è riportare l’essere sociale alla sua Natura, in un processo di avvicinamento al ‘genere umano’[7] che passi per la valutazione complessiva della propria società alienata.
Nella terza parte l’ontologia dell’essere sociale di Costanzo Preve verrà messa alla prova, in un rapido percorso storico-genetico che dal mondo romano ci porterà al capitalismo e alle sue categorie di riferimento.
[1] Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Petite Plaisance, Pistoia, 2013, p. 103.
[2] Ivi, p. 517.
[3] Che, detto per inciso, Hegel giudica positivamente, interpretandolo come fenomeno di resistenza comunitaria alla “miseria del mondo romano”.
[4] Preve spiega con maestria che il determinismo marxista (e purtroppo anche marxiano) rispondeva a ragioni positivistiche dovute alla subalternità del proletariato rispetto all’ideologia borghese, la quale sul primato del metodo scientifico anti-metafisico aveva costruito la sua legittimità in contrasto con la società feudale.
[5] Quest’ultima è il terreno più fertile per la diffusione della pandemia scientista. È evidente infatti anche ad un’analisi superficiale che la scienza economica non può essere in nessun senso paragonata alle scienze naturali. L’oggetto della scienza economica è l’essere sociale. Non si tratta di un oggetto di studio “fermo” da rispecchiare attraverso precisi esperimenti sottoposti a repliche e verifiche, ma di un oggetto-soggetto in movimento, attivo e reattivo, imprevedibile e comunitario, o meglio imprevedibile perché comunitario. La necessità di legittimarsi come scientifica e anti-metafisica, impone però alla scienza economica di eliminare l’imprevedibilità dell’essere sociale, dato che la scienza moderna è tale solo se agisce entro l’orizzonte della certezza e dell’esattezza (perlomeno fino all’affermazione di una teoria più certa e più esatta). La scienza economica classica, quella ancora oggi dominante nella sua versione neoclassica riveduta e corretta, elimina così l’imprevedibilità dell’essere sociale astraendo da esso l’individuo atomizzato perfettamente razionale e quindi perfettamente prevedibile. O almeno questo è il suo dettato ideologico.
[6] Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, cit., p. 516.
[7] Preve parla in questo senso di “conformità al genere”.
Ok ok …..buona esposizione……– interessante