La sovranità culturale come fondamento della sovranità politica
di DAVIDE PARASCANDOLO (FSI L’Aquila)
Gli ultimi bagliori dell’estate stanno ormai per spegnersi. La quiete rasserenante di un pomeriggio settembrino, assaporata lentamente su di un terrazzo appartato di una casa di campagna, fa da sfondo a piacevoli letture. Ad un tratto, immerso tra le altezze della cultura patria, sovviene un pensiero, come un lampo: la presa di coscienza di essere tra gli eredi di un patrimonio spirituale che nessun popolo al mondo può vantare di avere e di contemplare; il privilegio di poter godere delle sue infinite sfaccettature artistiche, civiche, umane.
Abbiamo da sempre dato sfoggio, di fronte a noi stessi e al mondo intero, di una sensibilità e di una profondità d’animo di straordinario spessore, eredità anch’esse di una ricchezza di congiunture storiche e culturali che per secoli fecero di questa parte del mondo “Il Mondo”, un tempo crocevia indispensabile per tutti coloro che volessero ammirare la grandezza dell’uomo e delle sue prodigiose opere. Abbiamo per secoli mostrato a tutti come poterci stare in quel mondo, attraverso una sapiente unione alchemica di creatività e concretezza, attraverso un fervido ingegno declinato nelle più svariate attività umane.
Ed ora? Oscurate le pagine dei passati fasti, l’antico orgoglio di esser parte di una storia alla quale nessuno altro può vantare di appartenere sembra svanire in un vorticoso gorgo di auto denigrazione. Il nostro popolo non solo è indegnamente prono, ma anche colpevolmente pronto in ogni momento a battersi in segno di contrizione il petto a mo’ di sottomissione, quasi scusandosi con i padroni stranieri per essere quello che siamo (o che ci hanno fatto credere di essere). Abbiamo forse toccato il punto più basso della nostra storia nazionale, accettando acriticamente uno stereotipo che ci vuole irrimediabilmente inferiori al cospetto degli industriosi e virtuosi popoli civili, quelli del “piano di sopra”.
Ne abbiamo abbastanza di questa nefasta subalternità culturale che ci fa idolatrare un sistema in realtà portatore di un apparato valoriale gretto, rozzo, volgare, il cui marchio distintivo è rappresentato da un economicismo assoluto che tutto disprezza e tutto mercifica. Siamo prigionieri di un’abietta cultura per la quale la recente morte di molti nostri connazionali rappresenta solo un fastidioso contrattempo che nulla conta di fronte alla linearità dei bilanci, una pseudocultura figlia di un sistema neofeudale che spedisce di tanto in tanto i suoi emissari, accolti con il tappeto rosso e con mille patetici inchini, per ammonirci del fatto che stiamo comportandoci da cattivi scolaretti o per darci uno zuccherino come lo si dà ad un cane in spasmodica attesa di un cenno di approvazione da parte di quel padrone dal quale dipende la sua sopravvivenza.
Riflettere su come questo Paese sia stato tradito e svenduto dalle sue stesse classi dirigenti e sull’umiliazione di dover chiedere continuamente una misera elemosina agli strozzini di Bruxelles, cosa fino a qualche tempo fa impensabile per una nazione sovrana, fa sì che la rabbia erompa prepotentemente, soverchiando le vie della ragione. Ci si chiede come sia possibile che una nazione intera si sia resa schiava senza batter ciglio, con la cosiddetta intellighenzia per giunta quasi unanime nel giustificare la necessità storico-culturale di un tale degenerato esito.
Ebbene, figli di una storia millenaria che nulla ha da spartire con la miseria della concezione economicistica dell’uomo oggi imperante, noi crediamo che non ci occorrano né moralizzatori né vincoli esterni, non i parassiti di Bruxelles, né i moderni colonizzatori che siedono nei consigli di amministrazione delle grandi banche d’affari e delle multinazionali e che decidono della vita e della morte di intere nazioni (la Grecia già non vi dice più nulla?). E non possiamo che esprimere profondo disprezzo nei confronti delle nostre classi dirigenti, una deforme e impreparata paccottiglia che da decenni sta distruggendo il futuro del proprio popolo e che persevera senza sosta nello smantellamento dell’apparato statale eseguendo gli ordini di criminali vestiti in giacca e cravatta, operanti in nome dell’interesse del grande capitale privato globalista. Questo circo di burattinai e saltimbanchi deve essere spazzato via dal palcoscenico della storia.
Al Sovranismo spetta uno storico ruolo: quello di instillare un nuovo, possente desiderio di autodeterminazione e indipendenza, di rigenerare l’orgoglio di un’appartenenza comune, al fine di debellare il morbo unionista-liberista (con il suo corollario di padroni stranieri e collaborazionisti interni) che sta infestando ed annientando questo grande Paese, nobile e secolare crogiolo di una radiosa cultura.
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