L’art. 41 della Costituzione e l’infanzia: voi ci state dichiarando guerra!
di Stefano D'Andrea
Socialisti e umanisti di tutte le specie e tradizioni, unitevi!
Sono entrato in un “grande negozio per bambini”. Contro voglia mi avevano condotto nella tana dell’offerta – questo sono i grandi centri commerciali -, per acquistare regali alle due nipotine. Il negozio era grande! Circa duemila metri quadrati di esposizione. Esposizione di che? In gran parte erano giocattoli. Ma oltre ai giocattoli c’era di tutto. O meglio quasi tutto.
C’erano ombrellini. Supporti magnetici di video, che giocattoli non sono (o forse si?!). C’erano gadget, orologini, piccoli soprammobili. Insomma, mancava soltanto l’abbigliamento e… mancavano i libri.
L’abbigliamento si comprende. Hai i suoi non luoghi, i suoi riti – “provare” vestiti e scarpe – e esigenze di specializzazione e di riservatezza: specializzazione perché il negozio vende “un marchio” o “più marchi di un certo livello”; riservatezza perché esso vende “stili” e “livelli” di vita. ( Anche se non mi sembra che sia da escludere che un giorno il capitale trovi “la formula” per coniugare i due “settori commerciali”, con una di quelle “idee” che finiscono nei libri dei colleghi aziendalisti e diventano oggetto di “studio”. Magari negli Stati Uniti è già successo!)
Ma i libri perché mancavano? Perché non riservare un spazio, magari non modestissimo, perché sarebbe stato ridicolo, alla esposizione dei libri per bambini?. Non c’erano libri di favole. Non c’erano libri di avventura. Né romanzi di formazione. Né libri di epica: l’epica, la materia più importante tra quelle che studiavamo nelle scuole medie inferiori e che mi dicono sia stata confinata alla prima classe. (C’erano però i colori. Di quelli non si ha paura, e giustamente. Essi sono comunque troppo intimamente connessi con il concetto di immagine, che contiene e supera quello di “rappresentazione”. Immagine: un concetto chiave della società moderna)
Confesso di aver provato qualcosa di più del semplice dispiacere, della tristezza, del fastidio. Per un momento ho provato disperazione. Per una società che si autodistrugge fin dalle fondamenta, fin dall’infanzia. Soltanto se riflettiamo sull’infanzia, dei bambini di oggi e di quelli di ieri, riusciamo ad intravedere fino all’estrema profondità il carattere mostruoso e, se fossi credente, direi diabolico del sistema educativo e quindi formativo dell’uomo che la società moderna si è data.
Poi il pensiero, mia salvezza, ha gettato la sua scossa ed ho pensato: mentre nel senso generico libri e abbigliamento sono “oggetti”; nel senso proprio non lo sono. Evidentemente il “grande negozio per bambini” era un negozio di oggetti in senso proprio: oggetti di consumo. Un “grande negozio di oggetti di consumo per bambini”. Nel nostro caso, quindi, il concetto importante è quello di “oggetto di consumo”, non quello, più ampio, di “merce”, termine che designa anche “non oggetti” (i servizi) e “oggetti non di consumo”, come i libri: i libri offerti al mercato per ottenere un profitto sono merci, in senso economico, ma non sono oggetti di consumo.
Il libro non è un oggetto di consumo. Per quanto pessimo, anche se pornografico, il libro dura nel tempo. Invecchierà; ma svolgerà la funzione anche tra centinaia di anni. Se ben custodito potrebbe dirsi immortale. Una parola che sarebbe bene riservare al contenuto e che tuttavia, non può negarsi, si attaglia anche al tempo durante il quale la forma del libro è idonea a svolgere la funzione.
I libri, anche quelli per bambini, se li si è amati o apprezzati o se li si reputa utili fonti di informazioni, anche soltanto bibliografiche, si tengono con sé fino alla morte. Essi sono parte attiva del patrimonio che i genitori lasciano ai figli. I giocattoli, quando il bambino, o il ragazzino, o il giovane ragazzo – ma oggi tutte le fasce di età sono caratterizzate da specifici giocattoli generazionali – non li usa più, sono “buttati”,ossia rifiutati: divengono rifiuti. Ciò è vero anche per quegli oggetti di consumo per bambini che non sono giocattoli in senso stretto (ombrellini, orologini colorati, ecc.). L’oggetto di consumo nasce strutturalmente e quindi funzionalmente come un rifiuto. E come tale è considerato dalla “psicologia del consumatore”. (soltanto la falsa buona coscienza ci fa regalare stanze di giocattoli ad associazioni caritatevoli che destinano quell’enorme ammasso di plastica ai bambini poveri)
Tutti o quasi tutti gli oggetti venduti nel grande negozio di oggetti di consumo per bambini erano inutili e sovente dannosi. Servono quegli oggetti di consumo? Sono preferibili alle fionde, agli archi, ai cacciaballe, alle cerbottane, alle capanne, all’elastico, alle “pietre gessate” per disegnare la campana, alle semplici e umili grazielle, ai carrettini di legno e rocchettini? Davvero credete che acquistare a vostro figlio una mega-macchinetta elettrica, rossa e blu – un regalo mostruoso che spinge il bambino fin da piccolo a non faticare – sia meglio che re-imparare a costruire con lui un carrettino? Davvero credete che un bambino o una bambina di sette-otto anni abbiano bisogno di un ombrellino? Quando vi sorprese la pioggia, mentre eravate con i vostri amici, e vi copriste con cartoni o buste di plastica, oppure trovaste ospitalità presso una signora anziana, che telefonò a vostra madre per avvisarla, foste tristi o felici? Perché volete privare i vostri figli di quei momenti di gioia?
Mentre mi dimenavo tra tristezza e pensieri, ho chiesto ad una commessa per quale ragione mancassero i libri. La risposta è stata semplice e immediata, segno che qualcun altro, prima di me, aveva sollevato la domanda: il titolare della catena di negozi, diffusi in tutta Italia – un “famoso” imprenditore dei nostri tempi – non ha un monopolio sui libri per bambini”.
Ora, io credo che i “grandi negozi” dovrebbero essere vietati per legge e prima ancora dovrebbero essere vietati i centri commerciali che li ospitano. Non riesco a capire come una persona di media intelligenza possa ancora sostenere che i centri commerciali debbano essere mantenuti. Al tempo stesso dovrebbero essere vietate le pubblicità di oggetti di consumo per bambini e ogni tipo di pubblicità durante le trasmissioni di programmi televisivi per bambini. (oggi il 30% delle pubblicità inserite nelle trasmissioni televisive per bambini riguarda prodotti per adulti: saranno i bambini a chiedere ai genitori, magari troppo distratti o non consumatori, di acquistare gli oggetti di consumo per stare al passo con i tempi!)
In ogni caso, ammessi o vietati i grandi negozi, per legge i negozi per bambini (grandi o piccoli) non dovrebbero essere soltanto negozi di oggetti di consumo. Si dovrebbe imporre, per mezzo di una norma giuridica, che il 15% dello spazio di esposizione, debba essere dedicato ai libri.
Se la politica non recupera autonomia – non dall’economia, come solitamente si ripete, bensì dagli interessi del capitale industriale e finanziario – e non si interroga e prende posizione su norme come quelle ipotizzate, la politica e la democrazia sono morte. Non potranno più risolvere alcun problema, né servire a progettare una società umana, quale che sia. Saranno soltanto strutture, procedure e gruppi di potere al servizio degli interessi del capitale e che agiranno sempre e soltanto nel rispetto del sacro nichilismo del mercato.
Quale potrebbe essere, nel nostro ordinamento, il fondamento costituzionale di norme che vietano i centri commerciali o i grandi negozi? O vietano la pubblicità nelle trasmissioni televisive per bambini? O impongono ai titolari di negozi per bambini di vendere anche libri? L’art. 41 della Costituzione della Repubblica Italiana, il quale riconosce che l’iniziativa economica privata è libera (I comma) ma precisa che essa non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (2° comma). Inoltre, il 3° comma dell’art. 41 prevede che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Ora io non vedo come si possa negare che un grande negozio di (soli) oggetti di consumo per bambini sia di per sé contrario alla dignità umana, dei singoli bambini, dei cittadini che vi capitano dentro e anche degli altri cittadini, i figli dei quali si trovano continuamente in contatto con i figli dei cittadini che frequentano quei (non)luoghi, i quali necessariamente ne sono conformati. Affidare i bambini al mercato è veramente da debosciati, da incoscienti, stolti, nichilisti, fanatici mercatisti, indifferenti, da “rifugiati” impegnati in una impossibile difesa individuale. “Il mercato” aggredisce continuamente i vostri figli, li seduce, li induce, li conforma psicologicamente, dalla creazione del desiderio dell’oggetto di consumo a tutto ciò che, anche attraverso il possesso dell’oggetto, ne consegue
Alle osservazioni che precedono si potrebbe obiettare che la vigenza dell’art. 41 della Costituzione non ha impedito né l’esistenza dei grandi negozi, né quella dei grandi centri commerciali né la possibilità di negozi per bambini che vendano tutto tranne i libri. A queste obiezioni è agevole rispondere che l’art. 41 Cost. è in stridente e palese contrasto con i principi dei Trattati europei e che già da un paio di decenni, pur non essendo stato abrogato, è stato collocato “tra parentesi” o è “quiescente” (come pressoché pacificamente riconosce la dottrina), a causa del fatto che, negandosi che l’art. 41 esprima un principio fondamentale della nostra Costituzione, su di esso prevalgono (io scriverei “prevarrebbero” ma purtroppo la realtà di fatto è che prevalgono) i Trattati europei.
Tutti coloro che invocano la difesa della Costituzione della Repubblica Italiana dovrebbero sapere che la nostra Costituzione economica è “quiescente” da almeno venti anni e che la difesa integrale della Costituzione Italiana implica che essa debba integralmente prevalere, compresa la Costituzione economica, sui Trattati europei e che quindi il grande mercato europeo debba essere distrutto con riconquista della sovranità e quindi della libertà di programmare la vita nostra e delle generazioni future. E sia chiaro che la tutela dell’infanzia, dalla quale ho preso spunto, è soltanto uno dei molteplici sommi beni tutelabili soltanto dando attuazione all’art. 41, 2° e 3° co. della Costituzione.
Se Tremonti vorrà dar seguito alla proposta di modificazione dell’art. 41 della Costituzione, saremo certamente in molti a combattere la battaglia per mantenere nella Carta fondamentale una norma “quiescente”. Tuttavia, al di là di questa battaglia “difensiva”, è necessario passare all’offensiva con un chiaro programma: la Costituzione, nella sua interezza, compresa la costituzione economica, deve prevalere sui Trattati europei e quindi l’Italia deve recedere dai Trattati, essendovi tra questi e la nostra costituzione economica un insanabile contrasto. Coloro che auspicano l’obiettivo (difesa della Costituzione) ma sono contrari al recesso dai Trattati europei mi facciano sapere, per cortesia, in quale altro modo l’obiettivo possa essere realizzato. Se non sono in grado, come io credo, nemmeno di ipotizzare una strategia alternativa, abbandonino la prospettiva del mercato unico europeo, pena l’incoerenza più assoluta, che è il difetto peggiore che un politico possa avere. Quando la Costituzione economica avrà riconquistato la giusta posizione di legge fondamentale del popolo italiano, è dato sperare che noi torneremo a programmare il nostro futuro, sottraendolo alle forze nichiliste del mercato. E allora saranno emanate norme giuridiche che assumeranno come destinatari e come soggetti tutelati i cittadini e non più i consumatori nichilisti. Se invece modificassero l’art. 41, 2° e 3° co., allora vorrà dire che sarà stata dichiarata una guerra ai socialisti e agli umanisti italiani, di tutte le specie e tradizioni. A quel punto, continuare a giocare alla democrazia sarebbe da imbecilli.
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