Se il modello Merkel contagia il Giappone
di Joseph Halevi fonte: Il Manifesto
La crisi del debito pubblico europeo artificialmente creata dall'ottusità puritana della cancelleria tedesca Angela Merkel ha contagiato anche il Giappone. Infatti il neo-primo ministro Naoto Kan ha menzionato la Grecia in un discorso in cui paventava il collasso dell'economia nipponica sotto il peso di un debito pubblico lordo pari al 230 per cento del Pil. Storie. Quel peso è molto più leggero di quanto facciano credere i pregiudizi comuni, derivati dall'errata equiparazione dell'indebitamento pubblico a quello privato.
Certo, se governi e istituzioni apportano modifiche legislative e normative tali da trasformare il trattamento del debito pubblico in maniera simile a quello privato, la preoccupazione circa la solvibilità dello Stato è giustificata, sebbene anche in questo caso non debba necessariamente essere decisiva.
Ma il Giappone è lontano da una simile situazione per due ragioni. Il debito pubblico nazionale è per il 95 per cento posseduto da entità fisiche e giuridiche giapponesi, pertanto il paese è indebitato con se stesso. Inoltre il saggio di interesse nipponico è bassissimo da almeno 15 anni, quindi il servizio del debito è minimo.
L'argomento circa la gravità del debito pubblico avanzata da Kan si basa sul calo demografico che ne appesantirebbe il fardello sulla meno numerosa generazione futura. L'ottica del premier nipponico non è condivisibile perché la nuova generazione erediterà degli attivi finanziari formati dai titoli pubblici tramandati dai propri genitori. I titoli liquidati alla loro scadenza, apporteranno agli ex detentori un'accresciuta disponibilità di soldi che, in teoria, essi potranno spendere in acquisti, viaggi, nuove abitazioni, ecc..
Ma non succederà, perché il problema del Giappone risiede nell'inefficacia di tutte le pur notevoli politiche di stimolo della domanda introdotte da oltre quindici anni per combattere la crisi in cui si trova il paese. L'economia nipponica è ormai tirata esclusivamente dalle esportazioni le quali, da quando Pechino ha varato, nel novembre del 2008, l'unica vera politica di rilancio anti-crisi, galoppano verso la Cina.
Kan spera che il traino cinese rimanga talmente forte da nullificare la deflazione interna indotta dagli eventuali tagli alla spesa pubblica. Una scommessa pericolosa, perché se la domanda interna è rimasta stagnante da quasi due decenni malgrado le esportazioni e gli ampi deficit pubblici, la decurtazione di questi ultimi per ridurre il debito probabilmente riaprirà le porte quanto meno alla grande stagnazione che paralizzò il Giappone negli anni Novanta.
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