La storia lagnosa, la storia orgogliosa e la storia vera*
di STEFANO D’ANDREA
Ecco, in sintesi, la narrazione ormai dominante della storia d’Italia. Il risorgimento fu una conquista. L’Italia liberale fu un’italietta dai mille difetti. Il fascismo fu una dittatura che instaurò un sistema politico autoritario e imperialista e che condusse il popolo italiano alla catastrofe della seconda guerra mondiale. Alcuni resistenti non erano democratici e volevano instaurare la dittatura del proletariato; inoltre, dopo la fine della guerra, una parte di essi si vendicò nei confronti dei vecchi aguzzini. La democrazia cristiana generò un sistema sempre più corrotto e non seppe edificare spirito pubblico e rigore statale; i comunisti e i socialisti stettero al gioco, in parte spinsero e costrinsero la DC al lassismo e si spartirono il potere con essa. Infine, i governi tecnici e poi il partito unico delle due coalizioni hanno cercato e stanno cercando in tutti i modi di distruggere la nazione, regredita sotto ogni punto di vista: economico, sociale, civile, culturale, istituzionale e della sovranità.
Definiamo quella ormai dominante come la storia lagnosa. Essa è disgustosa, più della storia orgogliosa, che in Italia cessò con la caduta del fascismo e che è sempre malefica, perché, omettendo di considerare i limiti e i difetti, conduce in modo sistematico, prima o poi, alla morte, come in effetti accadde in Italia.
Tra la storia orgogliosa e la storia lagnosa, però, si colloca la storia vera o storia critica, che è una storia complessa e, crediamo, assai dignitosa in un giudizio relativo – l’unico giudizio che ha un senso storico –, il quale proceda al paragone con le storie reali delle altre nazioni (e non con la storia desiderata dagli ingenui).
Il Risorgimento fu una conquista. E’ vero: il Risorgimento fu anche una conquista. E allora? Quasi tutti gli stati unitari derivano da conquiste.
L’Italia liberale fu un’italietta ed ebbe mille difetti. Può darsi che sia vero; ma guai a giudicare il passato con criteri sorti o concepiti dopo gli eventi che si giudicano: è tipico degli idioti. E comunque, per recare soltanto un esempio, l’estensione della legge Casati all’intero Stato italiano vi sembra poca cosa? Perché guardare a ciò che la legge non prevedeva e tacere che essa affiancò la scuola pubblica alla scuola della chiesa, la quale fino ad allora e da secoli aveva detenuto il monopolio dell’istruzione? Già soltanto per questa ragione si tratta di un evento epocale che una nazione seria – non depressa – festeggerebbe ogni anno in tutte le scuole.
Il fascismo fu una dittatura che instaurò un sistema politico autoritario e imperialista, il quale condusse il popolo italiano alla catastrofe della seconda guerra mondiale. E’ vero. Ma non è il momento di cominciare a valutare, non soltanto l’imperialismo, la guerra e la legislazione dei rapporti politici, bensì anche la legislazione dei rapporti civili e di governo dell’economia? Non è il momento di considerare con obiettività i meriti che il fascismo ebbe nell’emanare una legislazione tecnicamente perfetta (allora le leggi, prima di essere emanate, erano sottoposte all’esame dei migliori linguisti), come, per esempio, il codice civile, e per molti versi socialmente avanzata (IRI e legge bancaria per fare due esempi mastodontici), la quale fu in gran parte mantenuta fino al 1990 dai democristiani, dai comunisti e dai socialisti, e che oggi dobbiamo invidiare, perché sarebbe un’ottima soluzione reintrodurla interamente?
Alcuni resistenti non erano democratici e volevano instaurare la dittatura del proletariato; inoltre una parte di essi, dopo la fine della guerra, si vendicò nei confronti degli aguzzini di un tempo. Vere entrambe le cose. Ma che senso ha giudicare negativamente la resistenza, come si è cominciato a fare? I non democratici erano la maggioranza (almeno l’80% degli italiani era stato consapevolmente fascista), non soltanto in Italia ma in moltissime altre nazioni e chi che era stato fascista di sinistra (risorgimentale, garibaldino e socialista) non poteva certo diventare liberale o democristiano. Infatti moltissimi degli intellettuali che scrivevano sulla rivista “Primato”, fondata da Bottai nel 1940 (tra gli altri, Walter Binni, Renato Guttuso, Galvano Della Volpe, Cesare Pavese, Cesare Zavattini e Gaime Pintor) diventarono comunisti o socialisti, prima o dopo la repubblica sociale o comunque si rivelarono comunisti (per esempio, Mario Alicata era un “entrista” già iscritto al pci fin dal 1935). Quanto ai crimini, sui quali si soffermano Panza e altri, essi si sono verificati e sempre si verificheranno in situazioni analoghe (l’ultimo caso noto è quello dei crimini contro i Baathisti). Io personalmente, se qualcuno per anni mi avesse offeso e umiliato, eventualmente davanti ai figli, e sbattuto in galera ogni volta che un gerarca veniva a visitare la mia cittadina e magari, così facendo, avesse causato problemi economici gravi a me e alla mia famiglia, credo che mi sarei vendicato severamente, anche a guerra conclusa. Non ci trovo nulla di strano (anzi è “normale”, visto che accade sempre).
La democrazia cristiana generò un sistema sempre più corrotto; e non seppe edificare spirito pubblico e rigore statale. Comunisti e socialisti stettero al gioco e in parte (per certi versi in gran parte) lo provocarono. Vero. Ma perché non soffermarsi sulla legislazione sociale che fu emanata dalla democrazia cristiana in pieno accordo con il partito socialista e con il partito comunista, il quale talvolta si asteneva soltanto perché pretendeva “di più” (espropriazioni e distribuzioni delle terre, abolizione della mezzadria, piano casa, statuto dei lavoratori, riforma del diritto di famiglia, equo canone, ecc.)? Perché non sottolineare che negli anni cinquanta, nel pieno della guerra fredda, circa il 90% delle leggi era votato dal nostro Parlamento quasi all’unanimità?
L’unica proposizione assolutamente e totalmente vera della sintesi della storia lagnosa con la quale ho iniziato l’articolo è che “I governi tecnici e poi il partito unico delle due coalizioni hanno cercato e stanno cercando in tutti i modi di distruggere la nazione, regredita sotto ogni punto di vista: economico, sociale, civile, culturale, istituzionale e della sovranità”. E’ contro questo tentativo in atto che dovrà ergersi il partito alternativo al partito unico delle due coalizioni. Lo scontro ci sarà; è soltanto il momento ad essere incerto. Il nuovo partito, che prima o poi sorgerà, oltre a dover far fronte alle sfide nuove, che la crisi del sistema produttivistico e consumistico pone, dovrà anche narrare e narrarsi la storia vera, che è complessa e dignitosa, perché chi non ha storia non ha futuro. D’altra parte, la depressione grave – la storia lagnosa – conduce sovente al suicidio.
* Articolo pubblicato su Appello al Popolo il 18 aprile 2010
Una simile ammissione, per un comunista, è già molto.
Onore a te.
Grazie.
Preciso che io sono stato comunista comunista dai 3 ai 19 anni. Poi sono stato “di sinistra” dai 19 ai 28 anni. Poi sono stato astensionista – sostenendo che in Itala avevamo il partito unico capitalista, globalista ed europeista che andava da Storace a Ferrero – e antiglobalista e antieuropeista dai 29 ai 39 anni, infine nel 2009 ho deciso che sarei stato tutta la vita sovranista e il 2 giugno 2009 sono sceso in rete con una e-zine risorgimentale, organo del partito che non c’è: Appello al Popolo, appunto.