Nord e Sud dell’Europa, il connubio impossibile
di GIAMPIERO MARANO (FSI Varese)
22 settembre 2013: Angela Merkel è cancelliere della Germania per la terza volta in appena otto anni. Lo diventa in modo imprevisto ma senza dubbio trionfale, come titolano giustamente i giornali. Secondo qualche commentatore la vittoria elettorale dipende, fra l’altro, dalla capacità della Merkel di presentare all’opinione pubblica il suo paese nei panni della vittima virtuosa e laboriosa del lassismo scriteriato a cui, di contro, indulgerebbero colpevolmente le pigre nazioni mediterranee, i “maiali”.
Una simile semplificazione caricaturale costituisce, con ogni evidenza, un argomento che a nord delle Alpi genera un consenso analogo nei presupposti, anche se ben superiore per dimensioni e ricadute politico-economiche, a quello garantito dall’antimeridionalismo all’epoca dei primi successi leghisti in Italia settentrionale.
La vittoria della CDU svela quindi una forte matrice egoistica e identitaria: mutti (“mamma”) Merkel ha saputo sottilmente lusingare e stimolare nella sua gente il senso di appartenenza, appunto, a una stessa famiglia – o in altre parole l’orgoglio di “razza”, come direbbe “Der Spiegel”, il settimanale più venduto in Germania. Il filosofo Oswald Spengler, che pure non amava Hitler, considerava gli Europei del Sud una razza inferiore e gli Italiani un popolo di colore: dopo il tragico incidente dell’isola del Giglio, anche lui avrebbe pensato che un capitano tedesco o inglese non si sarebbe mai comportato come Schettino.
Il meridionale è vile e corrotto, il nordico ha etica e senso del dovere: questi luoghi comuni, anche se volgari e banali, esercitano ed eserciteranno un’influenza enorme nei rapporti fra i popoli europei. La storia, del resto, racconta molte cose a chi abbia orecchie per intendere. Vale la pena soffermarsi su due di esse in particolare.
La prima: ogni volta che il continente ha conosciuto periodi più o meno duraturi di unità politica, ciò è accaduto con la forza delle armi. Non c’è di che stupirsi. Anche oggi sarebbe ingenuo pensare che innumerevoli differenze di qualsiasi genere siano eliminabili con un colpo di spugna dal comune sentire democratico (affermatosi soltanto in tempi recenti ma ormai messo a dura prova dall’autoritaria, fanatica oligarchia di Bruxelles) oppure dalla presunta e più prosaica necessità di fare blocco per reggere il peso della competizione globale: il risveglio dal sonno dogmatico è quanto mai penoso. Lo stiamo sperimentando in questi anni decisivi, per riprendere il titolo di un libro famoso dello stesso Spengler, messo al bando dal regime nazista.
La seconda: un solco incolmabile separa i paesi atlantici e settentrionali dal mondo mediterraneo. Il mainstream ci ha ormai assuefatti al trionfalismo sulle magnifiche sorti e progressive dell’Unione, in costante espansione come l’universo, ma è buffo scoprire che la realtà è rimasta ferma… all’Impero romano. Come venti secoli fa, il Reno e il Danubio continuano a segnare il confine fra due civiltà estranee (ma non per questo, sia chiaro, fatalmente ostili): due universi paralleli, incapaci di comunicare e di comprendersi perfino nell’epoca dell’omologazione e dell’appiattimento planetario. L’impossibilità della sympatheia conferma una volta di più il carattere chimerico delle speranze di unificazione politica del continente nella quale alcuni ingenui ravvisano il contraltare all’Europa dei banchieri e della finanza.
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