La prossima rivoluzione francese?
Su Foreign Affairs è apparsa la seguente intervista in cui Marine Le Pen, in vista delle elezioni presidenziali in Francia del prossimo anno, si propone come rappresentante degli interessi di tutti i francesi e fa proprie molte delle analisi e delle scelte che sarebbero state delle sinistre, se queste, per tradimento o per stupidità, non fossero state cooptate dal disegno globalista.
L’intervista è qui.
Traduzione di PAOLO DI REMIGIO del FSI di Teramo.
La prossima rivoluzione francese?
Conversazione con Marine Le Pen
Marine Le Pen è cresciuta in politica. Dall’età di tredici anni ha partecipato alla campagna elettorale di suo padre, Jean Marie Le Pen, fondatore del Fronte nazionale. Avvocato, vince la sua prima elezione ed è eletta consigliere regionale nel 1998. Nel 2011 succede a suo padre alla guida del Fronte nazionale e comincia a prendere le distanze dalle posizioni più estreme. Infine espelle suo padre dal partito dopo che egli ha riaffermato che l’Olocausto sia un «dettaglio della storia della seconda guerra mondiale». In questi giorni, di fronte alla crisi dei migranti in Europa, agli attentati terroristi a Parigi e a Nizza e al Brexit, il messaggio nazionalista, euroscettico e anti-immigrazione di Marine Le Pen ha una forte risonanza. Secondo i sondaggi di opinione, ella è tra gli aspiranti alla presidenza francese del 2017 con il doppio dei consensi del presidente uscente François Hollande. In settembre, a Parigi, Marine Le Pen ha concesso un’intervista a Stuart Reid, giornalista del Foreign Affairs.
In Europa i partiti contro l’establishment, tra cui il Fronte nazionale, guadagnano terreno. Come lo spiega?
Credo che la libertà sia un’aspirazione dei popoli e che dopo troppi anni i popoli dei paesi dell’Unione europea, ma forse anche il popolo americano, abbiano l’impressione che i responsabili politici non difendano più i loro interessi, ma difendano interessi particolari. C’è una forma di fronda da parte dei popoli verso un sistema che non è più al servizio dei popoli, ma al servizio di se stesso.
Pensa che ci siano fattori comuni al successo di Donald Trump negli Stati Uniti e al suo qui in Francia?
Sì. Trovo soprattutto che ci siano punti comuni nell’ascesa di Donald Trump e di Bernie Sanders. Entrambi sono emersi dal rigetto di un sistema che appariva profondamente egoista e perfino egocentrico e che ha messo da parte le aspirazioni del popolo. Traccio dunque un parallelo tra questi due successi, perché si tratta di due successi. Anche se Bernie Sanders non è stato designato, il suo emergere non era previsto. Dunque sì, credo che in molti paesi del mondo ci sia veramente una corrente innanzitutto di attaccamento alla nazione, di rifiuto di una mondializzazione selvaggia, un rifiuto di questa perché oggi è sentita come una forma di totalitarismo. È imposta a tutta forza la guerra di tutti contro tutti a vantaggio di qualcuno soltanto
Ha dichiarato «tutto eccetto Hillary». Questo significa che sostiene Trump?
Sono stata molto chiara. Penso che ogni eletto sia, a mio avviso, migliore di Hillary Clinton. Miro ad essere presidente della Repubblica francese, dunque mi preoccupo esclusivamente dell’interesse della Francia. Non devo mettermi nei panni di un americano per sapere se la politica interna proposta dall’uno o dall’altro sia di mio gradimento. Mi interessa quali possano essere le conseguenze delle scelte politiche portate da Hillary Clinton o da Donald Trump sulla situazione della Francia, economicamente, in materia di sicurezza.
Ora, noto che la signora Clinton è per il TAFTA (trattato di libero scambio transatlantico). Il signor Trump è contro. Anch’io sono contro. Noto che la signora Clinton è portatrice di guerre nel mondo, che ella ha distrutto l’Iraq, la Libia, la Siria e che questo ha avuto conseguenze estremamente pesanti per il mio paese, in termini, com’è noto, di destabilizzazione, di ascesa del fondamentalismo islamista e di queste ondate gigantesche di migrazioni che sono sul punto di sommergere l’Unione europea. Il signor Trump auspica una forma di ritorno degli Stati Uniti nella loro cornice naturale. La signora Clinton spinge verso questa forma di extraterritorialità del diritto americano, che credo sia un’arma inammissibile per i popoli che intendono restare indipendenti. Tutto ciò mi fa dire dunque che tra Hillary Clinton e Donald Trump l’interesse della Francia oggi è la politica che Trump promette.
Il tasso di disoccupazione in Francia supera il 10%. È il secondo tasso più elevato tra i membri del G7. Quali sono, secondo lei, le radici del malessere economico in Francia? Quali soluzioni propone?
Oggi tutti propongono esattamente le soluzioni del Fronte nazionale. Abbiamo registrato una bellissima vittoria ideologica dal momento che sento il signor Montebourg (ex ministro dell’economia) difendere il «made in France», che è uno dei assi portanti difesi dal Fronte nazionale.
Il tasso di disoccupazione è molto più elevato del 10%, perché c’è tutta una serie di maneggi statistici messi in opera – gli stage, i prepensionamenti, il lavoro parziale – che permettono di non fare entrare i francesi nelle statistiche della disoccupazione.
Ci sono molte ragione (della disoccupazione elevata). La prima ragione è il libero scambio totale che ci mette in concorrenza sleale con paesi che effettuano nei nostri confronti un dumping sociale e un dumping ambientale, senza che noi ci diamo i mezzi per proteggerci e per proteggere le nostre imprese strategiche, a differenza di quello che fanno gli Stati Uniti. Quando le parlo di dumping sociale, la direttiva sul distacco dei lavoratori che permette di andare a cercare lavoratori a bassissimo costo da portare a lavorare in Francia è ugualmente una ragione.
La seconda è il dumping monetario che subiamo. L’euro – il fatto di non avere una nostra moneta – ci mette in una situazione economica estremamente difficile. Il FMI ha appena detto che l’euro sarebbe sopravvalutato del 6% in Francia e sottovalutato del 15% in Germania. Questo fa una differenza del 21% di competitività che perdiamo di fronte al nostro principale concorrente in Europa.
E poi c’è anche la scomparsa dello Stato stratega. Questo Stato molto gollista che guidava le nostre imprese industriali e che è stato completamente abbandonato. Lei sa, la Francia è un paese di ingegneri. È un paese di ricercatori. Ma è vero che non è un paese di commercianti. E che dunque molto spesso si percepisce nella storia che le nostre grandi imprese industriali non hanno potuto realmente svilupparsi che in virtù dell’impulso apportato dallo Stato stratega; abbandonandolo ci si priva di una leva di sviluppo molto importante.
Parliamo dell’euro. Su un piano pratico, se lei ottiene il sostegno popolare, come agirà?
Quello che auspico è un negoziato. Quella che auspico è un’uscita concertata dall’Unione europea nella quale tutti i paesi siano attorno al tavolo e decidano di tornare al meccanismo del serpente monetario europeo (una politica degli anni ’70, concepita per limitare le variazioni dei tassi di cambio) che permette a ogni paese di poter adattare, in un spazio limitato, la moneta alla sua economia. Questo è quello che auspico. Auspico che lo si faccia dolcemente, nella concertazione.
Oggi molti paesi prendono coscienza che non possono continuare a vivere con questa moneta perché la contropartita dell’euro è la politica di austerità, che contribuisce evidentemente ad aggravare la recessione nei paesi. La rinvio al libro che ha appena scritto (l’economista Joseph) Stiglitz e che è molto chiaro su questo tema. Questa moneta è totalmente inadatta alle nostre economie, ed è una delle ragioni della situazione di disoccupazione che vivono i paesi dell’Unione europea. Allora o si arriva a una concertazione o anche noi faremo un referendum come la Gran Bretagna, e si deciderà di riprendere il controllo della nostra moneta.
Pensa che un referendum su un «Frexit» possa essere preso in considerazione?
In ogni caso io lo prendo in considerazione. Il popolo francese è stato tradito nel 2005. Ha detto no alla costituzione europea; gli eletti di destra e di sinistra hanno imposto contro la sua volontà questa costituzione europea. Io sono democratica. Penso che stia al popolo francese decidere il suo avvenire e che tutto quello che tocca la sua sovranità, la sua libertà, la sua indipendenza debba essere deciso da lui e da nessun altro.
Dunque sì, indirò un referendum su questo tema. E secondo i negoziati che avrò effettuato dirò ai francesi: «Ascoltatemi, ho ottenuto quello che volevo, penso che possiamo restare nell’Unione europea», oppure: «Non ho ottenuto quello che speravo e credo che non ci siano altre soluzioni che di uscire dall’Unione europea».
Quali insegnamenti trae dal successo della campagna britannica sul Brexit?
Due lezioni principali. Innanzitutto, quando il popolo vuole, nulla è impossibile. In secondo luogo, ci hanno mentito. Ci hanno spiegato che questo Brexit sarebbe stata la catastrofe, che le borse sarebbero affondate, che l’economia si sarebbe arrestata, che la disoccupazione di massa sarebbe esplosa. In realtà nulla di tutto questo è accaduto. Le banche oggi ci vengono a dire penosamente: «Ah, ci siamo sbagliate». No, ci avete mentito. Ci avete mentito per cercare di influenzare il voto, ma i popoli cominciano a conoscere i vostri metodi che consistono nel terrorizzarli quando hanno da fare una scelta. In occasione di questo voto il popolo britannico ha dato una grande prova di maturità.
Non teme che la Francia si ritrovi isolata economicamente se esce dall’euro?
È esattamente la critica che si faceva al generale De Gaulle quando nel 1966 voleva di uscire dal comando integrato della NATO. La libertà non è l’isolamento. L’indipendenza non è l’isolamento. E quello che io noto è che la Francia è sempre stata molto più potente stando da sola che da quando è una provincia dell’Unione europea. Spero di ritrovare questa potenza.
Molti pensano che l’Unione europea abbia permesso di preservare la pace dopo la seconda guerra mondiale. Perché hanno torto?
Perché non è l’Unione europea che ha fatto la pace; è la pace che ha permesso l’Unione europea. Questo argomento, che è stato ripetuto a molte riprese, non ha senso. La pace, d’altra parte, non è stata perfetta nell’Unione europea – il Kosovo, l’Ucraina alle porte – tutto questo non è così semplice.
Di fatto, l’Unione europea si è trasformata progressivamente in una sorta di unione sovietica europea, che decide tutto, che impone i suoi punti di vista, che rompe con il processo democratico. Basta ascoltare la dichiarazione del signor Juncker (presidente della Commissione europea); dice: «Non ci può essere scelta democratica contro i trattati europei». In questa formula è detto tutto. Non ci siamo battuti per essere un popolo libero e indipendente nella prima guerra mondiale, nella seconda, per accettare oggi di non essere più un popolo libero perché certi nostri dirigenti hanno deciso al posto nostro.
Che pensa della leadership tedesca in Europa nel corso degli ultimo anni?
Era inscritta nella costruzione dell’euro. In realtà l’euro è una moneta che è stata costruita dalla Germania per la Germania ed è un abito che va bene soltanto alla Germania. La signora Merkel ha avuto poco a poco l’impressione di essere la guida dell’Unione europea. Ha imposto i suoi punti di vista. Li ha imposti in materie economiche, ma li ha imposti anche accettando di accogliere un milione di migranti in Germania e sapendo bene che la Germania avrebbe fatto una selezione tra questi migranti. Essa avrebbe conservato i migliori e avrebbe lasciato andare gli altri negli altri paesi dell’Unione europea. Non ci sono più frontiere interne tra i nostri paesi e dunque questa situazione è assolutamente inammissibile. Il modello imposto dalla signora Merkel è sicuramente un modello che piace ai tedeschi, ma è un modello che uccide i paesi vicini alla Germania. Io sono l’anti-Merkel.
Che pensa dello stato delle relazioni tra la Francia e gli Stati Uniti, e come pensa che debbano essere?
Oggi i dirigenti francesi si sottomettono molto facilmente alle esigenze fatte valere sia dalla signora Merkel sia dal signor Obama. La Francia ha dimenticato di difendere i suoi interessi, compresi i suoi interessi commerciali e industriali, di fronte alle esigenze degli Stati uniti. Io sono per l’indipendenza. Voglio che la Francia resti equidistante, senza ostilità, ma anche senza sottomissione, rispetto alle due grande potenze, che sono la Russia e gli Stati Uniti. Abbiamo il diritto di difendere i nostri interessi come gli Stati Uniti hanno il diritto di difendere i loro, come la Germania ha il diritto di difendere i suoi, come la Russia ha anche il diritto di difendere i suoi.
Perché pensa che la Francia debba avvicinarsi di più alla Russia di Vladimir Putin?
Innanzitutto perché la Russia è un paese europeo. La Francia e la Russia hanno una storia condivisa, una vicinanza culturale molto forte. E strategicamente non abbiamo ragione di non approfondire le nostre relazioni con la Russia. La sola ragione per la quale non lo facciamo è che gli americani ce lo proibiscono. Questo urta la mia speranza di indipendenza. Inoltre penso che gli Stati Uniti commettano un errore nel ricreare una forma di guerra fredda con la Russia, perché spingono la Russia nelle braccia della Cina e oggettivamente non credo che l’ultrapotenza costituita da una associazione Cina-Russia sia un vantaggio, né per gli Stati Uniti né per il mondo.
Gli ultimo sondaggi danno il Fronte nazionale al secondo turno contro il partito repubblicano. In passato, precisamente nel 2002, i partiti si sono uniti per fare barriera. Da parte sua, lei è pronta a concludere alleanze e, in questa prospettiva, con chi?
Non spetta a me deciderlo. L’elezione presidenziale sarà un’elezione in cui si dovrà fare una grande scelta: difendiamo questa scelta di civiltà o l’abbandoniamo? Di conseguenza, penso che ci siano persone che possono venire da ogni orizzonte politico, di destra e di sinistra, che sono d’accordo con me e che possono unirsi a noi.
Il Fronte nazionale che lei dirige è cambiato molto rispetto a ciò che suo padre ha fondato. In quale momento della sua carriera politica ha compreso che il Fronte nazionale doveva prendere le distanze da questa immagine estremista se voleva concorrere con gli altri partiti?
Il Fronte nazionale era in passato un partito di protesta. Era un partito di opposizione. È l’ascesa del Fronte nazionale che in modo naturale l’ha trasformato in partito di governo, cioè in partito che cerca di accedere alle più alte responsabilità per applicare queste idee. È vero inoltre che un movimento politico è sempre influenzato dalla personalità del suo dirigente. Non ho lo stesso percorso di mio padre. Non ho la sua età, non ho lo stesso profilo, è un uomo, sono una donna. Tutto ciò ha fatto sì che abbia forse impresso al Fronte nazionale una immagine che corrisponde più a quello che sono che a quello che lui era.
Come può la Francia proteggersi da altri attacchi terroristici come quello di Nizza nel giugno scorso?
Per ora la Francia non ha fatto niente. Occorre che essa metta fine all’arrivo dei migranti tra i quali sappiamo che si infiltrano i terroristi. Occorre che metta fine allo jus soli, l’acquisizione automatica della nazionalità francese senza alcun criterio, che ha prodotto francesi come Coulibaly e Kouachi (i terroristi dietro gli attentati di Parigi nel gennaio 2015) con un lungo passato di delinquenza o di ostilità verso la Francia. Non vale per tutti; non generalizzo, ma è bene avere un apparato di sorveglianza. Occorre che esso metta in atto la decadenza della nazionalità per quelle doppie nazionalità che abbiano un qualunque legame con queste organizzazioni terroristiche.
Occorre soprattutto che la Francia lotti contro lo sviluppo del fondamentalismo islamista sul nostro territorio, perché, per ragioni elettorali, la classe politica francese ha srotolato il tappeto rosso a questo fondamentalismo islamista che si è sviluppato tramite l’intermediario delle moschee, dei centri culturali, dei centri che si dichiarano di culto, finanziati non soltanto dalla Francia, ma anche da paesi di cui sappiamo che sostengono il fondamentalismo islamista. Occorre ritrovare il controllo delle nostre frontiere, perché non vedo come si possa lottare contro il terrorismo avendo le frontiere aperte a tutti i venti.
Lei ha dichiarato che, a parte l’Islam, nessun’altra religione pone problemi. Perché pensa che questo sia vero?
Perché l’insieme delle religioni in Francia sono sottomesse alle regole della laicità. Anche molti musulmani lo hanno fatto – diciamolo chiaramente. Ma alcuni all’interno dell’Islam, penso al fondamentalismo islamista, non possono accettare la laicità per una ragione semplice, cioè perché ritengono che la sharia, vale a dire la legge religiosa, sia superiore a tutte le altre forme di legge o di norma, compresa la costituzione francese. Questo non è accettabile.
Da un secolo, dalla legge sulla laicità, nessuno ha cercato di imporre una legge religiosa facendo piegare le leggi del paese o facendo piegare la costituzione del paese. Questi gruppi di fondamentalisti islamisti cercano di farlo. Occorre dunque dirlo, perché non si può lottare contro un nemico se non lo si nomina. Occorre essere intransigenti sul rispetto della nostra costituzione e delle nostre leggi. E onestamente, la classe politica francese ha avuto lo spirito degli accomodamenti ragionevoli alla canadese, anziché lo spirito di questa intransigenza che permette di proteggere le nostre grandi libertà pubbliche. Lo si vede con le gigantesche regressioni dei diritti delle donne vissute oggi sul territorio francese. Le donne che in certi distretti non possono più vestire come vogliono.
Sostiene la proibizione del burkini. Qual è il problema del burkini?
Il problema è che non è un costume da bagno. È una uniforme islamista. È uno dei tanti mezzi grazie ai quali il fondamentalismo islamico effettua un braccio di ferro con noi. Quando si accetterà che le donne siano sottomesse a questa uniforme islamista, la seconda tappa sarà che si accetti la separazione negli spazi pubblici, nelle piscine, e poi che si accetti la differenziazione dei diritti tra gli uomini e le donne. Se non si vede tutto questo, allora non si è compresa la battaglia con la quale oggi siamo messi a confronto con i fondamentalisti islamici.
Ma questa misura favorirà veramente un’integrazione dei musulmani di Francia?
Cos’è l’integrazione? È vivere l’uno accanto all’altro, ciascuno con il nostro modo di vita, i nostri codici, i nostri costumi, la nostra lingua? Il modello francese è il modello dell’assimilazione. La libertà individuale non permette di rimettere in causa le grandi scelte di civiltà che sono quelle della Francia.
In Francia non si accetta il concetto della vittima consenziente. Nel diritto penale francese, per esempio, non si accetta che le persone facciano del male a se stesse per il motivo che ne hanno diritto poiché si tratte di loro stesse. Non lo si accetta perché rimette in causa le nostre grandi scelte di civiltà, l’uguaglianza della donna, il rifiuto del comunitarismo, cioè di comunità organizzate internamente che vivono secondo leggi che sono leggi proprie. È il modello anglo-sassone. Non è il nostro. Gli anglo-sassoni hanno il diritto di difendere il loro modello, ma noi abbiamo il diritto di difendere il nostro.
Pensa che il modello di integrazione negli Stati Uniti sia più o meno efficace che in Francia?
Non devo giudicarlo. È un problema degli americani. Io non voglio quel modello. Ma questo modello è la conseguenza della storia degli Stati Uniti: comunità provenienti da un certo numero di paesi sono andate in questa terra vergine che era gli Stati Uniti, per creare una nazione costituita da persone che venivano da ovunque. Questo non è il caso della Francia. La Francia è una lunga elaborazione umana e giuridica molto antica. Nulla vi è per caso. La laicità è la maniera che abbiamo avuto di gestire i conflitti religiosi che hanno messo il nostro paese a ferro e fuoco.
Non chiedo di imporre il mio modello agli altri, ma non auspico che gli altri possano decidere che il mio modello non sia buono. Sono spesso scossa dal vedere che paesi stranieri condannano il modello francese. Io non condanno il modello americano. Ma non voglio che si condanni il mio. Io penso che il comunitarismo porti in germi i conflitti tra le comunità e non desidero che il mio paese sia messo alle prese con conflitti tra comunità. Io non riconosco che gli individui. Sono gli individui ad avere diritti. Sono gli individui che hanno il libero arbitrio. Sono gli individui che si assimilano. In qualche caso sono le comunità.
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