Riforma, revisione e rivoluzione dell’Unione europea: chiariamoci le idee
di STEFANO D’ANDREA
Una delle questioni più oziose e insensate delle quali si discute, soprattutto a sinistra, è quella relativa alla riformabilità dell’Unione europea. Le riforme sono sempre state attuazioni di un programma. Nel corso del trentennio glorioso furono emanate molte riforme che erano attuative del programma socialista costituzionale. Dopo Maastricht sono state emanate molte riforme, attuative del programma politico-economico liberale sancito nei Trattati europei.
Le riforme, dunque, avvengono al livello di legislazione ordinaria: riguardano le leggi ordinarie, non le leggi fondamentali o costituzioni. La nostra Costituzione, infatti, prevede la possibilità che il Parlamento emani leggi di “revisione costituzionale”: la revisione è qualcosa di diverso da una riforma: è la modifica di una parte del programma o di una parte della struttura statale che deve attuarlo.
Tuttavia, ciò che molti ciarlatani e spesso sedicenti intellettuali di sinistra considerano riforma dell’Unione europea, non è nemmeno una revisione, bensì una vera e propria rivoluzione, cosa ad alcuni di essi forse nota ma comunque taciuta, perché altrimenti essi sarebbero costretti a palesare quanto siano ridicoli tutti i loro pseudo-ragionamenti e le loro speranze.
Lo Stato pontificio non poteva essere “riformato” nella Repubblica Romana (mazziniana), come la Repubblica teocratica iraniana non potrà mai essere riformata per creare una democrazia liberale di tipo occidentale, così come una democrazia liberale di tipo occidentale non potrà mai essere “riformata” in una dittatura militare. Queste trasformazioni hanno un nome precisissimo e indiscusso che è rivoluzione.
Perciò, quando i cialtroni della morta sinistra si interrogano sulla riformabilità dell’Unione europea, che dovrebbe diventare “sociale” (ci tengono immancabilmente a dichiararsi “di sinistra” ma si astengono risolutamente dall’utilizzare il termine socialista), anziché liberale, si stanno interrogando sulla possibilità che i rappresentanti dei governi dei ventotto stati che compongono l’Unione europea si siedano a tavolino e deliberino una rivoluzione, ossia un nuovo ordine, opposto a quello vigente. E’ il delirio alcolico di chi rimuove la scoperta di non aver mai compreso nulla dei problemi dei quali parlava – di aver avuto sempre torto, anzi di aver parlato sempre a vuoto: di aver pronunciato sempre frasi insensate – ed ha deciso perciò di annegare nell’alcool. C’è molta disonestà intellettuale e morale in coloro che ancora perorano la riformabilità dell’Unione europea: perché non si tratterebbe di riforma ma di rivoluzione; e perché sanno che una rivoluzione a tavolino che richieda il consenso dei 28 stati è un miliardo di volte più improbabile di eventi assurdi come la diffusione negli Stati europei di regimi tribali governati da sciamani.
Al più, prima che l’Unione europea imploda, i rappresentanti dei governi dei 28 Stati potrebbero tentare una revisione dell’Unione europea, per salvarla. Non dubitiamo che i cialtroni che discorrono di riforma e che alludono alla rivoluzione, sarebbero pronti a sostenere la revisione, pur di sconfiggere il rischio dei “populismi”.
I sovranisti, invece, sono per la rivoluzione, per l’abbattimento dell’ordine costituito, per la distruzione dell’Unione europea: ritorno all’esercizio della sovranità e all’attuazione del programma socialista costituzionale e distruzione dell’Unione europea liberale stanno e si tengono insieme: sono la stessa cosa.
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