Annunci del nuovo
di Giorgio Mascitelli fonte alfabeta2
Josephine, la cantante del popolo dei topi nell’omonimo racconto di Franz Kafka, canta in una maniera sublime e la sua arte, benché non sia capita, serve al suo popolo di aiuto e di salvezza nei momenti difficili. O meglio Josephine è convinta che sia così, perché, ad un’analisi distaccata, il suo canto non è diverso dal fischio di un qualsiasi topo, forse un po’ più debole, e la convocazione ad assistere ai suoi concerti quando la minaccia incombe ha spesso esposto molti topi a gravi pericoli. La cosa curiosa è che il suo popolo, pur avendo presenti questi dati di fatto, si comporta con Josephine come se le sue convinzioni fossero fondate e così facendo finisce col darle la funzione che lei crede di avere.
Un ruolo simile a quello di Josephine mi sembra occupato da tutti quegli annunci del nuovo o di cambiamento che costellano la nostra società. Non si tratta dell’annuncio del nuovo solo nell’ambito dei grandi giochi politici o economici, ma è qualcosa di più sistematico che tocca i gangli quotidiani della nostra esistenza: non sono solo le grandi riforme a essere annunciate, ma nuovi modelli, nuove uscite, nuovi viaggi, nuove relazioni. E noi, come i membri del popolo dei topi, ci comportiamo come se Josephine fosse veramente la sublime cantante che dice di essere e così accettiamo con entusiasmo o con acquiescenza, per esempio, l’uscita di un nuova versione del programma di scrittura per i nostri calcolatori, che avrà come risultato principale quello di rendere illeggibili i nostri documenti di cinque anni fa.
Josephine è destinata a invecchiare e a morire, ma per effetto dell’atteggiamento del suo popolo è anche destinata a entrare nel novero degli eroi del popolo dei topi e in questa maniera come tutti i suoi omologhi verrà onorata e dimenticata. E’ questa la carriera di ogni novità annunciata, che verrà dimenticata per lasciar spazio a un’altra novità anche nella memoria degli annunciatori. Vi è però una grandeur che è preclusa al popolo di Josephine ed è appannaggio del nostro: la grandeur del grottesco. Infatti, da noi gli annunci del nuovo si moltiplicano a dispetto del fatto che sempre meno sono le facce nuove e sempre di più quelle vecchie.
Questo continuo stato di novità annunciata non significa nient’altro che vivere sul promontorio estremo dei secoli, ma sia tra i più, che soltanto si comportano come se credessero a questi annunci, sia tra i meno, che per professione o per fede vi credono effettivamente, non regna l’entusiasmo quanto il timore che qualcuno piombi all’improvviso alle spalle e dia loro uno spintone per farli cadere giù. Questo qualcuno per forza di cose non potrà che essere un nemico del nuovo; i nemici del nuovo perlopiù amano vivere nella penombra, dove si può tramare meglio, ma ogni tanto vengono allo scoperto e sono additati. Se questo fosse uno scritto di carattere politico si potrebbe dire che numerosi nemici del nuovo si sono materializzati nei mesi scorsi a Cassino, ma siccome è uno scritto di carattere allegorico non bisogna tenere conto di simili precisazioni.
La cosa che potrebbe sorprendere i meno avvertiti a proposito di nemici del nuovo è che tra essi si annoverano anche coloro che desiderano solo un determinato numero di novità, un numero magari alto ma finito. Ciò è male e anzi peggio di ogni altra opposizione perché costoro pongono così un limite al loro entusiasmo per il nuovo. Ma laddove è illimitato l’annuncio del nuovo, illimitato deve essere anche l’entusiasmo. L’annuncio del nuovo ovviamente non è infinito, come un giorno è iniziato, così un giorno finirà, ma proprio per mascherare questa finitudine è necessario l’entusiasmo che nasce solo dalla fede che esso sia infinito.
Ma anche questo non è un problema irresolubile perché la maggior parte dei membri della nostra società sa benissimo che gli annunci del nuovo non annunciano alcuna novità; continua a comportarsi come se vi credesse unicamente perché non sa comportarsi altrimenti ed è anche questa una forma di fede tra le più efficaci. E quando torniamo a casa la sera dalle nostre giornate di lavoro o al mattino dalle nostre notti di piacere, ci prende quell’identica malinconia che deve aver preso i topi allorché rientravano alle loro tane dopo aver assistito ai concerti di Josephine.
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