Democrazia
di Tonguessy
Troppo spesso si parla di democrazia come valore assoluto, come bene inalienabile dell’uomo moderno, ma quasi sempre ci si dimentica cosa la democrazia abbia significato e significhi tuttora.
Nella realtà la Democrazia (Demos=Popolo e Kratos=Governo) è stato (e rimane) il modo migliore per mettere gli imprenditori al potere. Nell’antica Grecia (culla della nostra “Civiltà”) chi lavorava erano gli schiavi ed il loro lavoro permetteva ai padroni di godersi le giornate, magari con qualche fanciullo (oggi si chiamerebbe pedofilia omosessuale).
Nella tanto acclamata democrazia ateniese del periodo classico (V-IV sec AC) solo i padroni potevano partecipare attivamente alla ecclesia (l’assemblea con poteri legislativi e giudiziari). Erano escluse le donne, i meteci (gli stranieri residenti) e, ovviamente, gli schiavi. Addirittura chi non aveva entrambi i genitori ateniesi non poteva parteciparvi.
In quel periodo la popolazione di Atene si aggirava intorno alle 500.000 persone; di queste, circa 300.000 sono schiavi. Se togliamo i 70.000 meteci restano 130.000 persone, tra maggiorenni e minorenni, uomini e donne. Queste ultime non avevano diritto di voto, e rimaniamo a quota 65.000. Quanti saranno stati i minorenni? Facciamo il 20%? Restano quindi all’incirca 50.000 persone che si fregiano del titolo di Demos (popolo), pur essendo il 10% della popolazione. Cioè la parte ricca e maschile della società. [1][2]
Cominciamo bene…..
Nel 411 AC Atene fu governata dal regime oligarchico dei Quattrocento. Ora è pur sempre vero che 400 son ben di meno rispetto a 50.000. Ma di questi 50.000 chi si dedicava attivamente alla politica era una stretta minoranza. Quindi le persone che governavano Atene erano sostanzialmente uguali: che si trattasse di oligarchia o di democrazia non c’era una grande differenza numerica. Resta da comprendere il motivo per cui si fosse chiamato “popolo” il 10% degli abitanti. Bisognerebbe conseguentemente capire quale nome affibbiare al restante 90%. E capire anche cosa si intendesse per oligarchia.
Sicuramente oligarchia e democrazia non avevano il significato numerico che usiamo oggi.
Facciamo un passo indietro: prima che venisse introdotta la democrazia esisteva in Grecia la cultura Micenea (costituita da una quantità di piccoli o piccolissimi stati) dove il re patriarca (wanax) condivideva la vità quotidiana e l’attività dei sudditi (agricoltura, pastorizia, artigianato). Non è esattamente l’idea attuale che abbiamo di un Re. Non aveva vita facile, continuamente minacciato com’era dall’aristocrazia fondiaria che voleva scalzarlo tramite congiure di palazzo oppure fomentando il malcontento popolare.
Per impedire rivolte popolari, il re manteneva un rapporto diretto con il popolo e schiavi, agricoltori, allevatori e artigiani avevano un grado di libertà superiore rispetto ad altre civiltà contemporanee.
Nel corso del VIII secolo AC in quasi tutti gli stati greci i poteri del sovrano miceneo passarono progressivamente nelle mani dei capi delle famiglie nobili che si spartirono le competenze e le funzioni del monarca e gli insediamenti urbani rinnovati assunsero il nome di Polis.
Il latifondo che dava sostentamento all’organizzazione politica degli aristocratici era però una risorsa statica, spesso limitata. Ecco quindi nascere una nuova classe sociale che fa affidamento non più sull’agricoltura ma sul commercio. E’ il periodo delle colonie greche. A rendere ancor più agevoli i commerci fu l’introduzione della moneta come mezzo di scambio.
Il conflitto di classe tra l’aristocrazia e le classi emergenti di commercianti e artigiani portò in quasi tutte le Polis nel VII-VI secolo alla creazione delle tirannidi.
I tiranni erano in genere nobili passati dalla parte del popolo. Furono generalmente favorevoli alle istanze di quest’ultimo e cercarono di conquistarne il favore con la distribuzione di terre ai contadini e con politiche favorevoli ai commercianti e agli imprenditori marittimi. Cioè quel 10% di cui si parlava sopra.
Nonostante la politica positiva dei tiranni, questi non resistettero a lungo, presto sostituiti dal governo diretto del Demos, il popolo del 10% di padroni che aveva preso coscienza del proprio potere. E che ne reclamava la gestione.
Pisistrato ad esempio instaurò un governo buono, ma le classi medie emergenti volevano più potere. Segui così un periodo di guerre civili che portò infine al potere Clistene, il vero fondatore della democrazia ateniese.[3]
Arrivò successivamente Pericle che governò Atene sfruttando la sua grande popolarità e ricoprendo numerose volte la carica di stratega (dal 443 al 430 ininterrottamente). Formulò proposte di legge riguardanti l’ecclesia, il diritto di decidere il destino di Atene, senza limiti se non quelli che imponeva lei stessa.
Pericle riteneva che la democrazia fosse la forma più evoluta di governo e fu sotto la sua democrazia che si svilupparono le figure del Demagogos (capopopolo) e del Rhetor, ovvero il politico professionista formatisi presso le scuole di retorica. Fu lui a far approvare una legge che istituì la mistoforia, cioè il pagamento di un’indennità giornaliera a coloro che ricoprivano cariche pubbliche.
Nella sua ottica la democrazia e l’economia di mercato rappresentavano le due facce della stessa medaglia.[4]
A quell’epoca un’autentica novità.
Ricorda molto da vicino la storia di Zhu Di ed il suo tentativo di far avvicinare al potere la classe borghese. Invece le cose in Cina andarono diversamente, come spiegato nel mio articolo “Nobiltà o Borghesia?”[5]
Questo è un aspetto ricorrente della borghesia di qualsiasi tempo e latitudine: dove si sviluppa la classe borghese cresce il mercato e l’aristocrazia viene messa ai margini del potere. Succede nell’Europa del XV secolo come in America del nord del XVIII secolo o nella Atene del V secolo AC (in Cina i mandarini la scamparono per un pelo, come abbiamo già detto).
Ed infatti nella Grecia antica si passò dal regime monarchico alla repubblica aristocratica che durò finchè il ceto borghese, arricchitosi grazie ai commerci, cominciò ad avanzare pretese di partecipazione politica.
A tale scopo fu introdotta la democrazia.
[1]http://it.wikipedia.org/wiki/V_secolo_a.C.
[2]http://riassumendo.blogspot.com/2008/08/le-grandi-civilta-i-greci.html
[3]http://www.tuttitemi.altervista.org/Storia/StoriaA/StoriaAntica.htm
[5]https://www.appelloalpopolo.it/?p=2330
[4]http://ospitiweb.indire.it/~copc0001/demo/politica.html
bravo Tonguessy
era ora di cominciare ad aprire un po' gli occhi su questa fantomatica "democrazia" di cui troppi si riempiono la bocca ( e le tasche).
comincia ad essere ora di decidere se attuarne la tanto sbandierata teoria (potere del popolo) o continuare ad attuarla sulla falsa riga del passato (potere della borghesia), almeno senza più mascheramenti.
Caro Tonguessy,
ti segnalo, nel caso tu non lo conoscessi, il libro di Luciano Canfora, "Critica della retorica democratica", Laterza, Bari, 2002, pp. 112. Vi si legge, tra l'atro, che Platone definì "teatrocrazia" la democrazia Ateniese: il teatro formava l'opinione pubblica (corrispondeva ai moderni media) e fu così che nel 423 Aristofane rappresenta le nuvole, dove viene incendiata la casa di Socrate e nel 399 l'assemblea manda a morte socrrate. Che l'accusa di empietà mossa contro Socrate nascondeva l'accusa politica di essere stato maestro di Alcibiade e Crizia (capo dei trenta tiranni, quindi antidemocratico). Si sottolinea ppure come la democratica Atene oltre a mandare a morte Socrate, costrinse all'esilio Annassagora e Aristotele (meteco). Se consideriamo che Platone non era democratico ci rendiamo conto che il pensiero greco fondativo della moderna filosofia o non fu democratico o fu guardato con sospetto (e anche più) dai democratici. C'è da riflettere.
Caro Stefano,
è mia convinzione che il tanto il processo a Socrate che quello a Galilei abbiano parecchi e controversi punti di contatto.
Ce ne sarebbero di dire di cose….comunque grazie per la segnalazione. Sarà mia cura ordinare quel libro.
“Qui ad Atene, noi facciamo così. Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi, per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si avvale delle pubbliche cariche per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così. Ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e ci è stato insegnato a rispettare le leggi, anche quelle non scritte la cui sanzione risiede soltanto nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso. La nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.”
La democrazia non sarebbe una cosa così terribile, se fosse praticata.
La verità, come dice Tonguessy, è che si abusa spesso di questa parola, distorcendone il significato. Lo vediamo tutti i giorni, i paesi dove vige una dittatura invisibile vengono chiamati "democratici" mentre quelli (pochissimi) con governi legittimamente eletti dal popolo, vengono chiamati (con la complicità della stampa): "Regime"!
In Italia c'è democrazia? Chi è stata la prima persona a cui avete pensato leggendo le parole di Pericle?
Come ci ricorda Lucien Levbre la parola democrazia non è stata sempre così universalmente popolare. La parola è arrivata al suo uso comune politico moderno durante la prima metà del XIX secolo, principalmente in Europa occidentale. A quel tempo, aveva le tonalità, che oggi ha il terrorismo…
Oltre a questo bisogna riflettere sul fatto che il compito della democrazia non è solo quello di soddisfare la maggioranza, ma anche di proteggere le minoranze, e forse cosa più importante rispettare coloro che sono al di fuori di entrambe.
Nulla di nuovo sotto il sole. Come osservavano Baran e Sweezy
"le oligarchie finanziarie, in generale, preferiscono i governi democratici a quelli autoritari. La stabilità del sistema è consolidata da periodiche consultazioni popolari che ratificano l’operato dei governi autoritari – questo e non altro è il normale significato delle elezioni parlamentari democratiche – ed evitano all’oligarchia alcuni pericoli molto reali di dittatura personale o militare".
E’ una verità già enunziata quarant'anni prima dai Mosca, dai Pareto, dagli Spengler: la democrazia è pura espressione della decadenza; governo dei pochi al pari di ogni altro, ma inefficiente ed irresponsabile, perché espressione di "potestà indirette" (C. Schmitt) interessate a governare tramite la velina della "volontà popolare" senza identificare le proprie sorti con quelle della comunità.
Ogni democrazia è demagogia: la "massa", scrive, è "mancanza assoluta di forma": "la stampa […] non serve a diffondere la "libera opinione" bensì a fabbricarla".
"Cos'è la verità? Per la massa è ciò che sente ripetere continuamente […]. Chi controlla la stampa crea, trasforma, cambia le verità. Bastano tre settimane di lavoro giornalistico e tutto il mondo conosce la "verità". Gli argomenti così propalati rimarranno inconfutabili finché vi sarà denaro per ripeterli senza posa […]. Ma verranno ripudiati nel momento in cui una più cospicua potenza finanziaria si schieri a favore di argomenti opposti, facendoli circolare in maniera più insistente".
E quindi l’alternativa è fra dominio di élites economiche o dominio di élites politiche: se "democrazia e voto universale sono sperimentati metodi di governo del capitale" l’alternativa non consisterà nella funambolica elaborazione di rinnovate formule di autogoverno delle masse, ma nella sostituzione della "dittatura" del "capitale finanziario" con quella dei "nuovi Cesari".
Ciascuno è libero di valutare l'attualità di questa prospettiva, enunziata quasi un secolo fa da un grande precusrsore del nazionalsocialismo.
Non so se la prospettazione dell'avento dei "nuovi cesari" sia citazione di Schmitt o sia una tua previsione. Che l'alternativa sia quella che indichi se ne può dubitare. Molti regimi dell'est europeo non erano democrazie ma non erano legati inscindibilmente ad un capo e al culto di un capo (così è oggi per la Cina).
In ogni caso, il capo ha sempre una funzione propagandistica. Sia in senso favorevole al regime sia in senso sfavorevole. Prende meriti e si accolla demeriti non suoi. Quando è un gigante, le cose stanno allo stesso modo, anche se riesce a influenzare direttamente o indirettamente molte decisioni, anche perferiche. Cosa sarebbe stato il fascismo senza Gentile, Rocco, Grandi, Bottai, Beneduce (non fascista ma onnipresente nell'organizzazione), e decine e decine di altri di altissimo livello? Sarebbe durato venti anni? Non sarebbe stato nulla. Sarebbe durato pochi anni. Il medesimo discorso credo valga per Hitler, Staliin e ogni altro "duce" (ma Stalin fu piuttosto un maestro che un duce)
Il merito di un capo è di saper scegliere le persone migliori tra i collabooratori di primo livello e di amare più il potere che il denaro, dedicandosi a conoscere e valutare i collaboratori di secondo livello, spesso presentati da quelli di primo livello. Ovviamente questo è il secondo merito. Il primo è di avere idee profonde e giuste.
Io non avrei alcuna esitazione a giurare fedeltà ad un capo che abbia idee profonde e guste e che sia attaccato al potere e non al denaro e che dimostri di saper scegliere i collaboratri di primo e secondo livello. Comunque, conservo la preferenza per una organizzazione elitista ma non ducista, come era quella dei regimi dell'est (e in fondo come è quella della Cina). Prescindo in questa sede dai contenuti di governo che desidererei.