L’incompatibilità totale fra cattolicesimo e capitalismo
di AMINTORE FANFANI
La concezione capitalistica della vita si basa fondamentalmente su una distinzione tra le finalità religiose e le finalità economiche dell’uomo. Non nega che vi possa o l’uomo possa credere alla esistenza di un ordine religioso, ma non concepisce che esso possa contrastare con l’ordine economico e, più ancora, debba contenerlo al fine d’armonizzare le leggi di questo con le sue leggi.
Il capitalismo ha un principio: l’utile economico individuale. La scelta dei mezzi e la selezione degli atti deve essere fatta a seconda della loro adeguatezza al raggiungimento di quella meta. E’ il principio dell’utile economico individuale che, ultimo fine o principio d’ordine, costituisce il criterio di selezione di mezzi e di atti. L’organizzazione di questi mezzi viene fatta con lo stesso criterio, ed è ancora questo che induce a creare ad una tale attività un’atmosfera sociale la quale ne faciliti la più completa esplicazione.
Date le aspirazioni e le mete capitalistiche, ambiente naturale della vita sociale in età capitalistica diviene un’organizzazione liberale e liberistica ed è proprio in tale ambiente che la legge del rischio regola automaticamente lo sviluppo del capitalismo. Apertasi una volta simile strada, per essi sembra a molti giuocoforza proseguire, ad altri ciò sembra più utile e ad altri ancora pare impossibile fermarsi o indietreggiare.
Trovare una ragione di critica di un sistema come il capitalistico nell’interno del sistema è impossibile. Una critica di esso non può trovarsi che in un altro ordine di idee, in un sistema che verso fini acapitalistici faccia convergere l’attività sociale. Ciò fa il cattolicesimo allorché nella sua etica sociale comanda una convergenza di fini nettamente acapitalista.
Non che il cattolicesimo respinga la razionalizzazione economica, non che la voglia compiere secondo principii ordinatori estranei all’ordine economico; ma si è che il cattolicesimo ritiene che tale razionalizzazione deve avere dei limiti negli altri principii ordinatori della vita. In base ai suoi principii il cattolicesimo, decisamente volontarista, non consente di abbandonare l’attività economica alla pressione degli avvenimenti, né tanto meno accoglie come ottima quella organizzazione sociale in cui riceve piena sanzione di legalità l’interesse predominante, prescindendo dalle sue relazioni positive o negative collo scopo della società, dello Stato, dell’uomo, cattolicamente inteso.
L’etica cattolica, per i fini che propone all’uomo e alla società e per il concetto della natura umana e del creato, necessariamente fautrice d’una politica interventista, non approva ad esempio che lo Stato conceda la più ampia ed illimitata “libertà di lavoro” (Codice sociale, art. 70), disinteressandosi delle conseguenze per l’operaio e per la società, anche se tale disinteresse potrebbe essere giustificato dalla convinzione, falsa per la filosofia cattolica, che automaticamente avvenga la conciliazione degli interessi in contrasto. Tale distinteresse da parte dello Stato è postulato invece dal capitalismo.
In età in cui la concezione cattolica della vita avesse avuto realmente presa sugli animi, ogni manifestazione capitalistica non sarebbe stata possibile che come erronea, riprovata, saltuaria azione peccaminosa. Il cattolicesimo non può concepire certe libertà senza le quali il capitalismo si trasforma e muore. Al capitalismo necessitano un timore della perdita, una dimenticanza della fratellanza umana, una sicurezza che nel vicino è solo un cliente da conquistare od un concorrente da abbattere, inconcepibili in una visione cattolica del mondo.
In altre parole la preoccupazione che il cattolicesimo ha per la sussistenza, il benessere e il benvivere della totalità non può conciliarsi con la preoccupazione capitalistica della migliore formula profittivistica nei confronti d’una singola azienda. Questa segna il trionfo della tecnica, quella dovrebbe segnare la signoria dell’uomo sulle formule.
[da Capitalismo, socialità, partecipazione, Mursia 1976]
Bello!
Peccato che nel ’76 il cattolicesimo era già stato infettato dal Concilio Vaticano II e la società era già stata infettata dalle idee di Francoforte…
Ognuno tira acqua alla propria setta di riferimento, ma credo che Fanfani fosse troppo colto per non sapere che i britannici (Locke, Smith, Hume, Benthan, Malthus) hanno semplicemente copiato i tomisti della scuola di Salamanca, adattandone le idee all’espansionismo imperiale anglo-protestante.
Ma il turbocapitalismo non è incompatibile con il cattolicesimo; è incompatibile con qualsiasi forma di società tradizionale.
Tra parentesi trovare “ragioni di critica del sistema capitalista al suo interno” è possibile e facilissimo. Basti pensare a un sistema che giustifica la proprietà privata sulla base del lavoro e del merito e poi ne istituzionalizza la trasmissione ereditaria. Fra esseri dotati della minima propensione a seguire un criterio di logica sradicata, anziché lasciarsi dominare integralmente dai propri istinti aggregativi, basterebbe molto meno a delegittimare il sistema.