La lega, il M5S, Fratelli d’Italia, il FSI, il sovranismo e l’universalismo: ancora una risposta a Roberto Buffagni
Di STEFANO D’ANDREA E PAOLO DI REMIGIO
Rispondiamo alla replica di Buffagni al nostro articolo Il sovranismo è possibile e desiderabile, dividendo il nostro intervento in due parti: l’una più propriamente teorica; l’altra più strettamente politica.
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Osservando nel precedente intervento che Buffagni non spiegava i motivi per rigettare la UE volevamo solo cercare un terreno comune di discussione. Questo terreno si è evidenziato e a parte alcun precisazioni per sottolineare la complessità a volte caotica dei corsi storici, che non svolgiamo in ragione della loro irrilevanza rispetto al tema che si dibatte, siamo d’accordo con Buffagni sui danni che la UE causa: la colonizzazione degli Stati da parte del capitale e della finanza transnazionali, il depauperamento del sud dell’Europa. La rete di internet testimonia che siamo stati i primi o tra i primi a scrivere e dire che la UE fosse “un mostro” e andasse “distrutta” e che la lotta contro la UE fosse a tutti gli effetti una lotta di liberazione nazionale; nostra è anche la paternità del neologismo “sovranismo” e la rete anche di ciò è testimone. Siamo d’accordo anche con altre sue considerazioni: poiché non esiste una lingua europea e poiché la lingua è la base minima della vita di un popolo, allora non esiste un popolo europeo e non può esistere un autentico Stato europeo, semmai un impero, quale la UE difatti è.
Buffagni riporta poi l’apertura del suo primo intervento: ”In linea di principio … la strategia … della costruzione di un’alleanza – o addirittura dell’integrazione in un nuovo partito – tra forze politiche … da destra e da sinistra, allo scopo … di riappropriarsi della sovranità nazionale … sarebbe la più adeguata alla fase politica”. Questa proposizione testimonierebbe che la nostra lettura è stata superficiale, che, contrariamente alla nostra interpretazione, per lui il partito è eticamente desiderabile. Usando però la formula dell’indesiderabilità etica, non ci riferivamo a questo punto del suo intervento, ma a un passo più sotto, in cui egli imputa una tentazione totalitaria al partito che volesse rappresentare la nazione: “La nazione … non può venire identificata con un partito, che ne è per definizione una parte, senza che ne conseguano due effetti: 1) chi non appartiene al partito non appartiene alla nazione, e dunque non gode, almeno sul piano etico e culturale, della piena cittadinanza 2) la nazione e l’interesse nazionale non potranno mai più essere valori sovraordinati alle altre appartenenze e lealtà, perché la nazione è stata identificata con una parte politica, e ne condivide la transeunte relatività e parzialità: simul stabunt, simul cadent”. Da queste parole sembra evidente che Buffagni teme il partito che difende la nazione in quanto esso fa dell’avversario politico, nonostante il valore comune della cittadinanza, un nemico mortale e annulla la maestà della nazione subordinandola a un interesse particolare. Ci riferivamo a questo suo timore quando gli attribuivamo l’opinione dell’indesiderabilità etica di un partito sovranista e a questo suo timore abbiamo risposto.
Quanto al terzo punto, la definizione di sinistra che abbiamo proposto è volutamente storica, non storicistica, ossia fa capo a costellazioni fattuali singole, non a universali che devono rientrare nella filosofia della storia. Per noi è essenziale distinguere tra storiografia, che si muove nell’ordine dei decenni o al massimo dei secoli e dunque non può uscire dall’ambito della constatazione fattuale, e filosofia della storia, che riguarda i millenni e nello sviluppo del concetto di libertà, lento fino all’esasperazione, offre il criterio etico della storia. Vogliamo riscattare l’azione politica dal fatalismo ignorante che non lotta con i contenuti reali, ma li assume e li spaccia subito per contenuti di verità, e insieme vogliamo mantenere l’orientamento ai valori etici disvelati dall’approccio filosofico alla storia: anche su questo punto per noi è importante differenziarci dalla sinistra che ha sempre mescolato sconsideratamente i due piani e ha favoleggiato di necessità storiche dove c’erano scelte precise e spesso sbagliate. E vogliamo anche differenziarci da una certa destra che nella storia vede soltanto la lotta e non ha sensibilità per le regole della lotta che si sviluppano nei millenni così da realizzare la libertà attraverso il coordinamento tra gli uomini. In altri termini, nulla aborriamo più del corto circuito tra storia e filosofia della storia, per cui una filosofia della storia senza respiro risparmia la conoscenza dei fatti particolari, e li trasfigura così da consentire scelte politiche disinvolte fino al cinismo. La fascinazione che Renzi ha esercitato sul suo partito è dovuta all’aver legato il suo opportunismo alla quintessenza della filosofia della storia della sinistra, alla coppia conservazione-cambiamento, con cui può essere legittimata qualunque scelta – infatti qualunque scelta cambia. Ma ci differenziamo anche da una visione puramente polemica della realtà, che disconosce le regole comuni presenti anche negli antagonismi, e fa del coordinamento, anziché il fine supremo, una pura tattica.
La filosofia della storia di corto respiro, che ha spazio soltanto per la necessità esterna e disconosce la libertà già realizzata, il materialismo storico, determina la prospettiva della sinistra. Marx ha caratterizzato la storia come una sequenza di strutture economiche connesse a sovrastrutture giuridiche e politiche; il loro contrasto apre fasi rivoluzionarie che conducono a gradi superiori di sviluppo. Questa rappresentazione a metà strada tra filosofia della storia e storia, tra normativo e fattuale, così lontana dall’autentica filosofia hegeliana, così prossima al positivismo ottocentesco, è la base del contrasto conservazione-cambiamento a cui la sinistra, da quella rivoluzionaria, a quella massimalista come a quella riformista, riconduce ogni avvenimento: è la sua fede, la fede nella linearità della storia che non lascia nessuna scelta politica se non l’assecondare il cambiamento. A questa fede nella storia si riferiva la nostra definizione della sinistra (‘fede che la rivoluzione creerà una società superiore all’attuale’). Non abbiamo insistito sulla sua essenza storicistica nel nostro primo intervento, perché ci interessavano di più le implicazioni politiche della sua decadenza: che la storia sia soltanto lotta di classe e non anche un intreccio tra la pluralità dei popoli, è una fede divenuta dominante in una specifica costellazione storica; il tramonto di questa costellazione ci libera dal potere di questa fede, che paralizza la nostra azione in quanto determina destra e sinistra come un contrasto originario e irriducibile e la vita popolare come una guerra civile sospesa. Dopo questa liberazione dallo storicismo messianico marxista il nesso di doveri e di diritti su cui è costruito lo Stato costituzionale può diventare per gli Italiani una base sufficiente a fronteggiare la minaccia proveniente dall’estero, che smantella le strutture economiche e finanziarie, lo stato sociale, la cultura, che opera una sterilizzazione di massa negando ai giovani, attraverso la precarietà esasperata della loro esistenza, il diritto che non si negava neanche agli schiavi, quello di farsi una famiglia, che li rimpiazza invitando le masse di diseredati del terzo mondo a immigrare e a ripopolare i territori deserti.
Buffagni considera invece non decisiva la nostra caratterizzazione, e ne propone una in termini di universalismo. Qui non possiamo seguirlo. Non solo questa caratterizzazione ripropone in altra forma ciò che abbiamo già rifiutato nel precedente intervento: la natura totalitaria del partito-nazione qui diventa la natura totalitaria della politica universalistica; ma contiene un peccato più grave, sacrifica un concetto cardine della filosofia della storia legandolo troppo strettamente agli abusi che può subire nella prassi politica. L’universalismo politico è un ideale del tutto legittimo, è l’ideale della pace, che solo i sanguinari possono disprezzare e che è compito di ogni azione politica assicurare per quanto possibile. Non è l’ideale supremo, è vero: senza la libertà la pace sarebbe vergogna; ma per lo più si può avere entrambe e la politica deve avere questo obiettivo. Poiché entra in ogni concezione politica che vada oltre il bellum omnium contra omnes, l’universalismo non può offrire la differenza specifica della sinistra.
Per chiarirci: “universalismo” è il concetto entrato nella storia con la religione cristiana. Unica tra le religioni monoteistiche essa si dichiara cattolica, in quanto la pace che promana dalla morte e dalla resurrezione del Cristo non è offerta a un popolo, ma a tutti gli uomini. Il rifiuto del razzismo, del sessismo, il desiderio di apertura culturale si radica nella parola di S. Paolo in Galati 3, 28: ”Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Il greco, invece, ringraziava i suoi dèi per averlo fatto greco anziché barbaro, libero anziché schiavo, uomo anziché donna, e il genio immortale di Aristotele concepì nondimeno la schiavitù come naturale e giusta, in particolare quella esercitata sui non-greci.
L’universalismo cristiano ha influito sulla storia del mondo in misura infinita, al punto da rendere ogni affermazione diretta del particolarismo una ricaduta nella barbarie. I movimenti polemici nei confronti del cristianesimo, la religiosità neoplatonica rinascimentale ma ancora di più l’illuminismo, consistono in realtà in una sua rigorizzazione: ne criticano il particolarismo e ne ampliano l’universalismo. Da parte sua il socialismo è erede dell’illuminismo, è l’idea che l’uguaglianza giuridica e politica, in cui l’universalismo da ideale religioso è diventato diritto positivo di popoli effettivi, si vanifica se manca l’uguaglianza economica; il socialismo è dunque un approfondimento dell’universalismo.
La critica della sinistra che colpisce l’universalismo respinge dunque duemila anni di storia, scivola cioè, senza accorgersene, dalla critica del suo possibile abuso politico, oltre la storia, su un piano di filosofia della storia, così da riuscire a compromettere la considerazione filosofica non meno dell’azione politica. Scrive infatti Buffagni: “… chi si sente all’altezza può parlare in nome dell’umanità, ma non può agire politicamente in nome dell’umanità senza incorrere in una contraddizione insolubile, perché l’azione politica implica sempre il conflitto con un nemico/avversario”. Si tratta di una posizione che rischia di cancellare ogni pregnanza etica dell’azione politica così da dissolvere la stessa possibilità di giudizio di fronte al male.
Il suo difetto filosofico è l’attenersi a una logica binaria: amico/nemico; bene/male; posizione/negazione – dove il fatto di essere in contrasto riverbera l’inimicizia sull’amico, il male sul bene, la negazione sulla posizione; in questa prospettiva il mondo è l’inferno. La natura della logica è però ternaria: posizione – negazione – negazione della negazione (verità); bene – male – male del male (virtù); nel nostro contesto: amico – nemico – nemico del nemico (alleato). “Universale” ha dunque due significati: non solo “posizione”, “bene”, “amico”, ma in maniera più originaria e profonda è negazione della negazione, male del male, nemico del nemico; da una parte indica l’identità virtualmente totalitaria, abusiva, dall’altra, in quanto la negazione è sempre negazione determinata, presuppone e conserva l’esistenza di ciò che nega, è la composizione delle differenze, nel senso del logos di Eraclito. Nel nostro caso, mentre la società comunista senza più antagonismi è un modello del primo universalismo, quello astratto che si tiene in opposizione contro il particolare, pagando il prezzo di rinunciare alla realtà e di ridursi a una proiezione utopica per amore della quale tutto può essere sacrificato – questo è l’universalismo che Buffagni scorge e che giustamente rifiuta –, lo Stato, in quanto nega non gli interessi, ma l’esclusività degli interessi particolari delle diverse classi e dei diversi individui e li rende compatibili in una unità, è universale nel secondo senso; e in quanto è individuo, la sua azione politica non “implica sempre il conflitto con un nemico/avversario”, come dice Buffagni, no, gli Stati si rapportano come individui sovrani coordinandosi e in caso di fallimento del tentativo di coordinazione come nemici; e anche in guerra continuano a considerare la guerra come uno stato da cui di deve uscire, si lasciano dunque la possibilità di cessarla attenendosi a uno jus belli – a meno di non aver gettato alle ortiche ogni universalismo e mirare allo sterminio e allo schiavismo, a meno cioè di venir meno alla propria natura.
Il secondo significato dell’universalismo, a cui non possiamo rinunciare, indica un preciso criterio di giustizia storica. Spesso la violenza è ipocrita, spesso non si può distinguere tra aggressore e aggredito; ma altrettanto spesso non è così, altrettanto spesso la volontà del male è dichiarata, anzi vantata. Hitler, Mussolini, per esempio, non hanno certo mandato a dire le loro intenzioni aggressive. È impensabile poter buttare la difesa di chi è aggredito nel calderone dell’”amico/nemico”: in quanto si difende dall’aggressore il bene è male del male, ossia nel conflitto con cui si oppone al particolare (gli è nemico) resta universale (gli è amico in quanto lo libera dal male), è virtù. La politica non è dunque solo rapporto ostile, ma anche, e allo stesso titolo, rapporto amichevole; e né l’ostilità né l’amicizia la esauriscono, ma la loro unità: il libero riconoscimento – l’unità nella differenza, che è tutt’altro dall’amministrazione.
Quando noi identifichiamo la sinistra con l’alone lasciato dalla rivoluzione russa diciamo qualcosa che contiene anche ciò che Buffagni intende con universalismo, senza però esporci ai pericoli che un rifiuto adialettico del termine comporta. È vero anche per noi: nel socialismo è contenuto l’illuminismo e nell’illuminismo il cristianesimo e tutto questo è anche universalismo; ma con ciò non è ancora deciso il valore etico dei fenomeni storici legati a quei grandi movimenti; la decisione dipende invece da quale sia l’universalismo che ispira il concreto fenomeno storico, se sia quello che annulla il particolare oppure quello che lo compone.
La sinistra novecentesca fa capo all’universalismo astratto. Essa sorge all’incrocio tra messianismo e positivismo, dove germina la fede negli stadi economici dell’umanità che le rivoluzioni mettono in sequenza finché le forze produttive permettono l’ultima, quella che realizza l’universalismo socialista, il messianico regno di Dio senza più antagonisti – per realizzare il quale è ammesso il loro sterminio. Se si vuole evitare ogni fraintendimento, è bene chiamare tutto questo non universalismo, ma storicismo messianico, che disprezza la complessità del presente e aspira a un’altra realtà; questa congiunzione di storicismo e messianismo porta la sinistra a credere nella globalizzazione, a trascurare per principio i dati economici, a rapportarsi all’uscita dalla UE in forma apocalittica. Questo è lo schema della sinistra – ancora in Renzi e nel suo seguito, che si sono proclamati partito della ‘rottamazione’ e del ‘cambiamento’, senza timore che si potesse rottamare ciò che era sacro e si potesse cambiare in peggio. La loro terminologia orbita ancora nell’alone rivoluzionario. E D’Attorre, quando vuole cacciare Renzi dal PD per costruire un’alleanza contro la destra, dimentica che Renzi è il sicario della UE, che, cacciato Renzi, la UE, avendo piantato il suo artiglio nella Costituzione, resta come e più di prima e la si può cacciare solo con la composizione di un fronte che non fa distinzione tra destra e sinistra, ma tra globalismo e sovranità – D’Attorre, dicevamo, orbita ancora nell’alone della guerra fredda civile per cui il nemico interno è in ogni caso più pericoloso del nemico esterno, e questo fa di lui un politico di sinistra.
Universalismo ci sembra poco adatto anche in riferimento alla UE. La propaganda europeista, infatti, ha invocato non solo il mito dell’abbattimento delle frontiere e la libera circolazione di tutto, ma ha anche cercato di creare un nazionalismo europeo, dapprima contro gli Stati Uniti e poi contro la Cina. Ancora oggi gli europeisti più sprovveduti vogliono che restiamo in gabbia per fronteggiare il pericolo di quest’ultima. Inoltre, se si determina la sinistra come semplice universalismo, i due termini si allargano a tal punto che vi può scivolare di tutto, anche il M5S. La sinistra è politica, il M5S è essenzialmente pre-politico; estraneo allo storicismo, si riduce a un messianismo anarchico cui mancano percezione della storia e programma politico, dunque si presta magnificamente all’eterodirezione: si limita a credere che ci sia un popolo che geme sotto il tallone di uno Stato corrotto, che l’avvento di Casaleggio, Grillo e della democrazia diretta in formato elettronico siano sufficienti a eliminare la separazione tra governanti e governati e a risolvere così ogni problema. Viceversa, il particolarismo di Lega e Fratelli d’Italia non è solo il loro vantaggio, ma nella stessa misura il loro svantaggio, non la premessa della soluzione ma parte del problema. Il particolarismo della Lega non è nazionale, tanto che Salvini, non meno opportunista di Renzi – diversa è la posizione e quindi diverso è il contenuto opportunistico delle proposte ma sempre di opportunismo si tratta -, pur dopo l’incontro con Borghi e quindi dopo aver sposato l’idea di abbandono dell’euro, ha dichiarato che la Lega è europeista, che è più europeista di tutti e che è soltanto contro “questa Europa”, perché l’Europa sarebbe “un grande sogno”: il sogno della lega resta l’Europa delle regioni; è un partito antimeridionale e antinazionale. Il nazionalismo di Fratelli d’Italia non comporta la volontà di rompere con la borghesia delocalizzatrice e di aprire una nuova stagione di politiche economiche interventiste.
Noi e Roberto Buffagni, come dice Alessandro Visalli in un interessante intervento, siamo convinti che dalla crisi presente si esca soltanto attraverso “simultanei ‘rovesciamenti gestaltici’”. La sinistra ha avuto in Marx un vigoroso critico del capitalismo e un mediocre filosofo della storia; ma finora ha sacrificato la critica del capitalismo alla filosofia della storia. Il rovesciamento gestaltico che qui è richiesto è la liquidazione definitiva del materialismo storico e la riconquista intellettuale della separazione tra filosofia della storia, che è scienza della verità della storia in cui è abolita la separazione tra fatto e valore, in cui cioè i fatti, in virtù della loro universalità sono anche normativi, e storiografia, che è scienza del meccanismo politico della storia. In questo modo la politica cessa di essere semplice esecutrice di piani settari creduti necessità storiche e torna a lottare per il suo fine etico, il perseguimento dell’unità nella differenza qual è contenuta nello Stato democratico costituzionale. Per Buffagni l’unità nella differenza ha un significato soltanto tattico: è lo strumento per abbattere la UE; poiché lo sgretolamento della UE è un processo già in atto e non richiede nessuno sforzo speciale, l’unità nella differenza è per noi una strategia di limitazione definitiva dei poteri transnazionali di cui la UE è veicolo soltanto temporaneo, e implica la formazione di un partito vincolato all’idea costituzionale.
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Alla resa dei conti, il dissenso politico tra noi e Buffagni, che ci colloca, per ora, in parti contrapposte, risiede nel giudizio che egli dà, nel suo primo intervento, sulla Costituzione. Scrive Buffagni: “Davvero la Costituzione italiana può far da base all’alleanza politica che darà vita al Fronte Nazionale di Liberazione dall’euro e/o dalla UE? Io penso di no. Spiego perché. La Costituzione antifascista non è un valore o una piattaforma che possa accomunare destra e sinistra italiane antiUE/antieuro e farle ritrovare intorno a un programma minimo comune. L’aggettivo “antifascista” non è un fatto accessorio, è una qualificazione decisiva. Nella destra italiana, il fascismo è un residuo minimo, e dunque non è questo l’ostacolo. L’ostacolo principale è invece un fatto storico molto rilevante: che dopo il 1945, con la (benemerita) decisione di Togliatti e di Stalin di conformarsi a Yalta, e cioè di non perseguire anche qui la linea della guerra civile in vista dell’instaurazione di una “democrazia popolare” (come invece fu tentato proprio in Grecia), il PCI ha sostituito la linea “rivoluzionaria di classe” con la linea “antifascista e interclassista” e il mito (sottolineo due volte mito) della Resistenza. Cioè a dire, la linea del CLN. Quando si proclamano “i valori della Costituzione” a un elettore di destra, automaticamente egli intende “valori di sinistra”. Non conta, qui, se l’elettore di destra sia un liberale, un leghista, un fascista, un cattolico tradizionalista, un nazionalista, etc.: conta che “la Costituzione più bella del mondo” per l’elettore di destra è anzitutto la Costituzione di una parte politica (non la sua). Quando la sente nominare, assocerà mentalmente cose diverse, a seconda dei suoi interessi e della sua ideologia: assistenzialismo e Roma ladrona se è leghista, sindacati e tasse se è un liberale, divorzio e aborto se è un cattolico tradizionalista, stragi partigiane e tradimento dell’alleato se è un fascista, occupazione americana e perdita dell’indipendenza se è un nazionalista, etc.: non assocerà mai “la preziosissima carta fondamentale della nostra patria”. La realtà a lui più simpatica a cui la potrà associare è la Prima Repubblica, per la quale alcuni (non tutti) gli elettori di destra provano una certa nostalgia, specie se non sono più giovani”.
Ora, intanto la Costituzione nulla dice circa aborto e divorzio, ma soprattutto la Costituzione fu approvata dall’Assemblea Costituente quasi all’unanimità e allora c’erano più cattolici tradizionalisti rispetto ad adesso. Non esiste alcuna opposizione della Costituzione alle tradizioni cattoliche. La Costituzione impone semplicemente uno Stato laico e persino con qualche limite.
In secondo luogo, l’Assemblea Costituente discusse se introdurre o no una norma che qualificasse la Costituzione come antifascista e a maggioranza prevalse l’opinione contraria, perché siccome democratica, la Costituzione è contraria ad ogni dittatura e sistema politico che non riconoscano il pluralismo delle opinioni politiche, il pluripartitismo e le libertà fondamentali. La Costituzione dunque non è soltanto antifascista ma è anche anti-dittatura del proletariato, antiteocratica, e così via.
Anzi, sempre in Assemblea Costituente, l’economista comunista Antonio Pesenti sottolineò gli elementi di continuità con il fascismo, sotto il profilo della politica economica: “La prima limitazione effettiva è che oggi tutta la proprietà – e quindi qualsiasi impresa economica – deve sottostare alle limitazioni poste dalla politica economica nazionale, si esplichi essa in un piano organico di produzione cioè in un piano economico oppure soltanto in piani di intervento parziali. Di ciò del resto abbiamo esempio anche nella realtà economica italiana – e fossero essi maggiori e più efficienti per il bene del Paese – nel C.I.C.R., nel “Piano di importazioni”, nella “Commissione centrale per l’industria …” (corsivo aggiunto). Si voleva conservare e superare l’interventismo produttivista in un interventismo finalizzato alla piena occupazione, ossia fondamentalmente socialista: “Il principio del diritto al lavoro in una società in cui sia ammessa la libertà di investimento dei mezzi di produzione diventa obbligo generico, una indicazione in favore di una politica economica di piena occupazione e di spesa pubblica, cioè di intervento dello Stato nella vita economica, con varie forme tendenti, nel loro complesso, al raggiungimento di tale meta per quanto ciò sia possibile nel sistema capitalistico di produzione e ciò in netto contrasto con i criteri informatori della politica economica della società capitalistica di concorrenza che hanno ovunque prevalso in passato”. E per anni in dottrina, prima che l’adesione al programma liberale europeo spingesse a fare i salti mortali e a ricorrere a un “uso alternativo del diritto” per sostenere il contrario, fu opinione pacifica, confermata dai lavori dell’Assemblea Costituente, che l’art. 47 della Costituzione avesse costituzionalizzato la riforma bancaria del 1936.
Se dunque la Costituzione è “antifascista” (ma in realtà contraria a ogni regime dittatoriale), sotto il profilo delle libertà non economiche e della democrazia, essa è antiliberale, per quanto riguarda la politica economica interventista dello Stato.
Il problema allora sono i liberali. Se il despota esterno sono le élite globaliste e gli stati interessati a mantenere il liberalismo forzato imposto dall’Unione europea, il nemico interno sono i liberali. In assemblea costituente i liberali erano “quattro noci in un sacco” e non influirono minimamente (Einaudi se ne lamentò) sulla Costituzione economica, che recepì pressoché integralmente le indicazioni provenienti da Fanfani e Pesenti, i quali avevano lavorato nella sotto-commissione relativa ai “rapporti economici”. Poi, dal 1992, costretti ad attuare il liberalismo dell’Unione europea, tutti i politici italiani sono stati, consapevolmente o meno, felicemente o ipocritamente, liberali. In questo modo il liberalismo economico si è diffuso nel popolo come ideologia, come frasario, come valori, come slogan, che tuttavia sono europei non nazionali; derivano dai Trattati europei, non dalla Costituzione.
Ma la sovranità non è un guscio vuoto, non è libertà di politica economica, è dovere politico di attuare il programma costituzionale, con il quale nulla hanno a che vedere la flat tax, la promozione del commercio internazionale come fine (il fine sono la produzione interna e la piena occupazione, che generano, eventualmente, come effetto, un certo aumento delle esportazioni) o la possibilità di non colpire la rendita finanziaria. Invece, qualche anno fa Claudio Borghi polemizzò con uno degli autori di queste note, contestando il programma (allora dell’ARS ora del FSI) di repressione della rendita finanziaria, repressione che, ad essere onesti, fu attuata dal fascismo dopo il 1936 in modo ancora più stringente di quanto avvenne dopo il 1948 e specialmente dal 1959 (quando finalmente si spense la luce tenebrosa di Einaudi) al 1981: il fascismo, con un decreto successivo alla legge bancaria, aveva previsto un conto corrente di tesoreria del Governo presso la banca d’Italia con scoperto illimitato e interessi fissi all’1%, qualsiasi fosse il livello dell’inflazione (Einaudi nel 1947 volle fissare un tetto allo scoperto del Governo nel 15% della spesa pubblica; per ulteriore ricorso allo scoperto sarebbe servita una legge).
Lega e Fratelli d’Italia non vogliono la riconquista della sovranità: per ora vogliono sostituire al programma dell’Unione europea un programma liberale nazionale anticostituzionale che, dopo il recesso dall’Unione europea, non avrebbe alcun fondamento: né nei Trattati europei che, ipoteticamente, non sarebbero più vigenti; né nella Costituzione. Non dubitiamo, perciò, che quando arriverà il giorno del giudizio per l’Unione europea, queste due forze politiche si adopereranno per la semplice revisione di questa Europa (tornando ad un serpente monetario ma lasciando vincoli al finanziamento della spesa statale, libertà di circolazione dei capitali, principio della concorrenza, divieto di aiuti di Stato, IVA e molto altro): si tratta di due forze radicalmente anti-sovraniste e ben presto (ma ci vorrà ancora qualche anno) ciò che ora noi sappiamo e scriviamo sarà noto a tutti. Intanto il Fronte Sovranista Italiano proseguirà nella costruzione di quella che sarà una delle forze politiche che costituiranno l’alleanza sovranista. Il futuro dell’Italia non passa né per la Lega, né per Fratelli d’Italia, né per la semplicioneria pre-politica pentastellata.
Ogni rivolgimento sociale ha bisogno di una metafisica legittimante e se voi avete scelto quella hegeliana rivisitata in chiave sinistrorsa — a buon pro!
Per quanto riguarda l’universalismo evangelico e la sua pappina secolarizzata, quella dei diritti umani, Carl Schmitt sosteneva ch’essa poteva fungere da motore di energie politiche a partire dal punto in cui i sostenitori della pace universale lanciano una guerra di sterminio contro i bellicisti. Beninteso intesa come la guerra che concluderà tutte le guerre.
Se e quando sarà debellato il regime mondialista ci arriveremo sicuramente. Il rimedio del disordine sarà il dolore (chi lo diceva?).