Un confronto tra Krugman e Sapir
Il primo dei seguenti articoli è un intervento con cui Paul Krugman prova a fare della propaganda elettorale in Francia. Intervenendo da economista, egli si prende la libertà di trattare l’appartenenza della Francia all’euro e alla UE in termini soltanto economici, non come una questione politica entro la questione geopolitica del ruolo dell’Europa nell’attuale scontro tra l’impero anglosassone da un lato e l’asse russo-cinese-iraniano dall’altro. Così, mentre l’oligarchia di cui egli è esponente non sembra atterrita dalla prospettiva di una ecatombe nucleare, Krugman riduce la scelta degli elettori francesi a una risibile questione di prosperità e di varietà dell’offerta di merci. A questa prima libertà ne segue una seconda, di carattere economico, quella di confrontare il costo del lavoro della Francia non con quello della Germania, ma con quello medio europeo, come se il partner commerciale della Francia non fosse la Germania ma l’Europa. È questa la giusta obiezione contenuta nel secondo articolo che proponiamo, di Jacques Sapir. Forse ce n’è però una terza: finora la Francia non si è affatto imposta l’austerità così terribile di cui parla Krugman, dal momento che ha regolarmente infranto i parametri fissati a Maastricht; la sua vera austerità comincerebbe dalla vittoria dell’europeista Macron.
L’Europa ha problemi, ma Le Pen non è la soluzione
di Paul Krugman, 11 aprile 2017
L’articolo originale è disponibile al seguente indirizzo:
https://krugman.blogs.nytimes.com/2017/04/11/europe-has-problems-but-le-pen-is-not-the-answer/?_r=0
Traduzione di Paolo Di Remigio
Tra poche settimana in Francia ci saranno le elezioni presidenziali e ci sono comprensibili preoccupazioni che possa esserci uno scossone simile a quello di Trump. In particolare, i tormenti dell’euro hanno macchiato la reputazione del progetto europeo – la lunga marcia verso pace e prosperità tramite l’integrazione economica – e hanno giocato a favore dei politici anti-europeisti. E i miei contatti francesi mi dicono che la campagna della Le Pen cerca di presentare le critiche delle politiche europee provenienti da eminenti economisti come sostegni impliciti al programma del FN.
Non lo sono.
Dal 2010 sono stato un critico severo tanto dell’euro quanto delle politiche di austerità seguite nell’area euro. La Francia potrebbe e dovrebbe fare molto meglio di quanto faccia. Ma i generi di politiche di cui il FN parla – uscita unilaterale non solo dall’euro ma dalla UE – danneggerebbero l’economia francese, anziché aiutarla.
Iniziamo dall’euro. La moneta unica è stata ed è un progetto difettoso, e i paesi che non vi sono mai entrati – Svezia, Regno Unito, Islanda – hanno beneficiato della flessibilità che viene dalle monete indipendenti. C’è però una differenza enorme tra la scelta di non entrare sin dal primo momento e di lasciarla una volta che si è dentro. I costi di transizione dell’uscita dall’euro e del ritorno alla moneta nazionale sarebbero enormi: fughe massicce di capitali causerebbero crisi bancarie, si dovrebbero imporre controlli di capitali e festività bancarie, i problemi di come valutare i contratti creerebbero una palude legale, gli affari sarebbero arrestati per un lungo periodo intermedio di confusione e incertezza.
Questi costi potrebbero certo essere sopportati in circostanze estreme, come quelle riguardanti la Grecia: per un’economia molto depressa, che ha bisogno di una riduzione radicale nei costi relativi ai suoi partner commerciali, anche un’uscita costosa dall’euro seguita da svalutazione potrebbe essere preferibile ad anni di insostenibile deflazione.
Questa descrizione non si adatta però alla Francia. I livelli occupazionali in Francia potrebbero essere migliori, ma non sono terribili – gli adulti di fascia intermedia hanno più probabilità di trovare occupazione di quanto l’abbiano negli Stati Uniti. E dalla creazione dell’euro, i costi del lavoro hanno grosso modo seguito la media dell’area euro presa come un tutto. Così ci sono pochi motivi per credere che il franco ripristinato possa o debba subire una forte svalutazione:
(Fonte OCSE)
In breve, per la Francia uscire dall’euro comporterebbe tutti i costi che la Grecia dovrebbe affrontare, senza nessun beneficio.
E che dire della UE in generale? Ci sono tutte le ragioni di credere che l’appartenenza alla UE, aprendo alla Francia un mercato molto maggiore di quello che potrebbe darsi da sola, renda l’industria francese più produttiva e offra ai cittadini francesi una gamma di prodotti convenienti più ampia di quanto potrebbero acquistare altrimenti. Spiacente, ma la Francia non è abbastanza grande da poter prosperare con politiche economiche nazionaliste ed orientate all’interno. E dati i benefici di appartenere a un’entità economica maggiore, appartenere a Schengen – che riduce le frizioni e fa funzionare meglio l’integrazione – dovrebbe essere considerato un privilegio, non un peso.
Non sto sostenendo a tutti i costi che la UE sia bella o che la politica francese sia grande. Il consensus europeo a favore dell’austerità è infinitamente errato e distruttivo – e la Francia è stata troppo diligente nell’imporsi un’austerità non necessaria. A volte dico che il malanno economico più serio che di cui soffre la Francia è l’ipocondria, una volontà di credere alla propaganda che l’ha rappresentata come il malato d’Europa per più di tre decenni, anche se continua a esibire alta produttività e livelli occupazionali decenti.
Il punto è, tuttavia, che nulla di ciò che il FN ha da offrire muoverebbe la Francia nella direzione giusta. Che Le Pen ed economisti come me siano entrambi critici della politica europea non significa proprio che abbiamo qualcosa in comune.
Paul Krugman e l’euro
di Jacques Sapir, 13 aprile 2017
L’articolo originale può essere consultato al seguente indirizzo:
http://russeurope.hypotheses.org/5901
Traduzione di Paolo Di Remigio.
Paul Krugman ha appena pubblicato una breve nota in cui spiega (in sostanza) che se l’Europa ha «problemi» questi non sono legati all’esistenza dell’euro, e dunque non potrebbero essere risolti dai programmi dei candidati (la signora Le Pen e il signor Mélenchon) che mettono in causa l’esistenza della moneta unica.
Per puntellare i suoi pareri, confronta la curva del costo salariale reale della Francia a quella della media della zona euro, e la trova simile. Ne «deduce» che l’Euro non sia colpevole (proprio come aveva dedotto a suo tempo che «la mondializzazione non è colpevole»).
Grafico 1
L’evoluzione dei costi salariali unitari secondo Krugman
L’unico problema è che l’euro inasprisce le divergenze all’interno della zona euro e che dunque non ha alcun senso prendere un dato medio. Occorre prendere i dati dei paesi e non soltanto della Francia. Ho dunque rifatto i calcoli e confrontato i risultati. Si vede (grafico 2) che la Francia, l’Italia e la Finlandia hanno costi salariali unitari nettamente più elevati di quelli della Germania, dell’Austria, ma anche dei due paesi del sud dell’Europa che più hanno sofferto le politiche di austerità (che d’altra parte Paul Krugman a giusto titolo denuncia), la Spagna e la Grecia.
Grafico 2
Stima dei costi salariali unitari (fonte OCSE)
Come il FMI ha dimostrato in modo chiarissimo in un documento pubblicato l’estate scorsa, l’euro porta a svalutare i costi in Germania e a sopravvalutarli in paesi come la Francia e l’Italia. Ho dunque ripreso i calcoli fatti a partire dai dati dell’OCSE, ma ipotizzando che la Germania, la Francia, l’Italia e la Spagna avessero conservato le loro monete, e che queste ultime si fossero apprezzate o deprezzate regolarmente dal 2000 per raggiungere il livello di scarto dalla parità indicata nel documento del FMI. Se ne possono vedere i risultati nel grafico 3.
Grafico 3
Si constata che in Germania il costo unitario del lavoro si apprezza in modo massiccio e istantaneo per arrivare a una differenza del +12% con la Francia e con l’Italia (e non del –7% come accade con l’euro) e del +22% con la Spagna. Detto altrimenti, è proprio l’euro che con la sua svalutazione dei costi salariali unitari in Germania e con la loro sopravvalutazione negli altri paesi, alimenta lo straordinario eccesso commerciale della Germania (+8% del PIL), ma anche il fenomeno di distruzione dell’occupazione industriale che abbiamo conosciuto in Francia, in Italia e in Spagna.
Che il signor Krugman voglia dare questo o quel giudizio sulla vita politica in Francia è assolutamente un suo diritto. Ma per farlo non falsifichi i dati statistici.
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