Federico Caffè: ridare alla occupazione il suo carattere di obiettivo primario
All’associazione anomala del ristagno con inflazione, sembra che ora debba far seguito quella di una ripresa congiunturale priva di effetti apprezzabili sull’occupazione.
Di recente, una comunicazione ufficiale del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale ha fornito una conferma autorevole del delinearsi di una ripresa, sia pure con profili diversificati: più accentuati nel Nord America, più moderati in Giappone e in Europa, con previsione di consolidamento nel corso del 1984.
Calorose raccomandazioni vengono espresse per il mantenimento di rigorose politiche monetarie; pressanti voti vengono formulati per la riduzione dei rilevanti disavanzi dei bilanci pubblici; preoccupate ansie si manifestano per l’affermarsi, sia pure in forme subdole e «amministrate» di misure protezionistiche. Ma qui il discorso si arresta.
Per l’occupazione, si prospettano soltanto tempi di attesa, di misurarsi non in anni, ma in decenni. I possibili miglioramenti vengono affidati più in evoluzioni demografiche che a disegni organici di interventi.
Vi è una palese sproporzione tra la rilevanza attribuita, da parte dei responsabili della politica economica, ai fenomeni finanziari e la loro relativa indifferenza, o quanto meno assuefazione, nei confronti della frustrazione umana della mancanza di occasioni di lavoro. Se si riflette alla ingegnosità con la quale è stato possibile evitare il crollo finanziario del Messico e puntellare anche alcune traballanti situazioni debitorie dell’Europa orientale, si rimane stupiti dello scarso impegno progettuale, sul piano mondiale, per i problemi dell’occupazione, con riguardo particolare a quella giovanile.
Non è che manchino indagini accurate sull’argomento, ed anzi una ne è stata svolta di recente proprio con riguardo all’area Ocse. Ma non si tratta, ormai, di confermare proiezioni statistiche già largamente note e affinare le argomentazioni che convalidano le prospettive sconfortanti. Si tratta di compiere uno sforzo per ristabilire un’ovvia scala di valori che ponga la mancata occupazione per lo meno allo stesso livello del mancato rimborso di un prestito internazionale.
Esiste, sul piano concettuale, un insieme di progetti, di proposte e di disegni per riattivare l’occupazione, soprattutto giovanile; il loro concretamento, tuttavia, trova ostacolo nello scetticismo dei politici, cui non giova contrapporre critiche e doglianze, bensì convinti sforzi di persuasione.
I tempi sembrano maturi per una conferenza internazionale sull’occupazione, che non faccia perno né sull’appoggio, né sulla presenza dei politici, ma sia soltanto espressione dell’autonoma responsabilità che gli economisti di professione hanno verso la comunità internazionale.
Ci troviamo in uno di quei periodi nei quali alla saggezza convenzionale, che affida la soluzione dei problemi della disoccupazione a una frustrante attesa, occorre contrapporre un impegno né utopistico, né velleitario, ma realistico per ridare alla occupazione il suo carattere di obiettivo primario.
Il confronto delle opinioni, la raccolta di documentazioni sulle ingenti possibilità di valida occupazione esistenti nella economia mondiale nel suo complesso, l’analisi accurata delle esigenze finanziarie e dei risultati produttivi potrebbero contribuire a dare una maggiore forza convincente all’insieme di quelle proposte e di quei progetti cui viene reso attualmente solo un omaggio rituale.
Che spetti agli economisti di esaminare la gamma delle possibilità del futuro, indipendentemente da una immediata adesione dei politici, è quello che ci insegna la storia del pensiero economico: sia che ci si voglia riferire allo storico episodio della abolizione del dazi sul grano in Inghilterra, in cui l’elaborazione teorica ha preceduto di molto la realizzazione pratica; sia che ci si voglia riferire alle concezioni teoriche che portarono alle politiche del pieno impiego.
Oggi, la maggiore interpenetrazione dei mercati mondiali crea indubbiamente dei vincoli, ma offre anche possibilità che vanno attentamente studiate. Ed è questo il primo compito. Le idee, poi quando sono valide, hanno una loro forza dinamica, che scavalca l’assuefazione, supera l’inerzia.
Si tratta di poter trovar modo di esprimerle, in forme e sedi adatte, perché formino la base di iniziative costruttive originate, appunto, dalle rilevanti occasioni di lavoro in grado di autofinanziarsi. In definitiva, una ripresa congiunturale senza minore disoccupazione è una mera indicazione statistica priva di ogni valido interesse sociale.
Fonte: “Segnali di ripresa, con scarsi effetti sull’occupazione”, pubblicato su “L’Ora” di Palermo il 1 novembre 1983, ripreso dal libro “Contro gli incappucciati della finanza”.
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