L’uscita dall’euro
Un articolo preoccupato di Sapir sulla situazione francese. Il dissolvimento degli Stati nell’Eurozona è stato un processo eversivo, per quanto la sua studiata lentezza non lo abbia fatto percepire come tale; l’uscita della Francia dall’Eurozona non può dunque essere affidata alle procedure democratiche normali, perché queste rischierebbero di essere impotenti di fronte alle violente reazioni dei mercati, delle oligarchie e della Germania. I due candidati anti-europeisti, Mme Le Pen e M. Jean-Luc Mélenchon, sembrano non rendersene conto. Se così fosse, in caso di vittoria essi andrebbero incontro alla stessa umiliazione di Tsipras.
L’uscita dall’euro
di Jacques Sapir
14 aprile 2017
Traduzione di Paolo Di Remigio
Con l’irruzione di Jean-Luc Mélenchon nel trio di testa per il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, la questione di una possibile uscita dall’euro comincia ad agitare i mercati finanziari. Lo si vede dall’aumento delle differenze dei tassi tra la Francia e la Germania e dall’aumento della volatilità sui mercati, e in particolare intorno al debito francese. In questo trio, divenuto ormai un quartetto, abbiamo due candidati (Mme Le Pen e M. Mélenchon) che evocano una possibile uscita dalla moneta unica. Ne siamo dunque indotti a riflettere su come si presenterebbero i primi giorni di presidenza di questi due candidati.
L’uno e l’altro hanno delineato uno scenario politico, Marine Le Pen con un referendum e Jean-Luc Mélenchon con un negoziato sul piano «A», prima di decidere se si risolveranno o meno a uscire dall’euro. Questi scenari sono entrambi politicamente coerenti. Rispettano tutte le forme della democrazia formale. Ma non tengono alcun conto delle realtà economiche e soprattutto non tengono conto dei tempi economici e finanziari che sono molto differenti dai tempi politici.
Un referendum impossibile
Ammettiamo che Marine Le Pen vinca al secondo turno, o si trovi in situazione di vantaggio a metà dell’ultima settimana di campagna del secondo turno. È allora evidente che la speculazione si scatenerà, anche solo per tentare di influenzare il voto dei francesi. Concretamente, questo significa un’impennata dei tassi di interesse e dei trasferimenti massicci dei capitali. È impossibile per Mme Le Pen, se dovesse essere eletta, rassegnarsi a questa situazione che metterebbe l’economia della Francia in pericolo.
Le soluzioni sono note: di fronte alla fuga dei capitali occorre porre in atto un controllo dei capitali che renda molto costosa ogni transazione finanziaria speculativa, e questo senza penalizzare i movimenti normali (import-export e turismo). Di fronte all’aumento dei tassi di interesse occorre esigere che la Banca di Francia rifinanzi a un tasso preferenziale il debito pubblico, che il governo deve lasciare «andare», e una parte dei debiti privati. Queste due misure (non sono evidentemente le sole) sono possibili, ma esigono:
• Una rottura, benché provvisoria, con i trattati e le regole dell’Unione Europea per poter mettere in atto il controllo dei capitali.
• Una rottura con le regole dell’Unione economica e monetaria, ciò che si chiama «Eurozona», per permettere alla Banca di Francia di svolgere il suo ruolo.
Molto concretamente quando il governo costituito dalla nuova presidente avrà deciso di riprendere il controllo, anche temporaneo, sulla Banca di Francia, poiché quest’ultima fa parte del «sistema europeo», la Banca Centrale Europea sospenderà le sue relazioni con essa, oppure dichiarerà che gli «euro» circolanti in Francia non fanno più parte dell’«Eurozona». Saremo allora, per forza di cose, davanti a un’uscita dall’euro, uscita che potrebbe sopravvenire molto rapida.
L’altra soluzione sarebbe che Mme Le Pen rinneghi immediatamente i suoi impegni della campagna elettorale e assicuri che in nessun caso intende uscire dall’Eurozona. Perché i mercati e i partner europei (in primo luogo la Germania) non si accontenteranno di vaghe assicurazioni. Vorranno impegni concreti e stringenti.
Allora si comprende che molto rapidamente, nella prima settimana della sua presidenza, Mme Le Pen avrà la scelta tra smentire il suo programma su un punto capitale, ciò che ne invaliderebbe una gran parte, oppure decidere che, avendo la legittimità di un presidente eletto, ella debba prendere le decisioni necessarie per salvaguardare gli interessi dei Francesi senza attendere un referendum. Dovrà allora usare misure di urgenza che sono nella nostra Costituzione.
Piano «A» illusorio
Ammettiamo ora che sia M. Mélenchon ad essere eletto. Pretenderà di aprire una fase di negoziazione (piano «A»). Ma sarà soggetto agli stessi problemi di Mme Le Pen, forse un poco ridotti, ma questo non è affatto sicuro. Di più, sarà di fronte al finanziamento delle misure sociali che vuole mettere in opera. Ora, queste ultime implicano un finanziamento, almeno parziale, dalla Banca di Francia. Gli economisti responsabili di «Francia ribelle» non sembrano comprendere che ogni azione unilaterale della Banca di Francia (che implica d’altronde che quest’ultima sia stata messa sotto l’autorità del governo per un periodo provvisorio) provocherà immediatamente una reazione brutale della Banca Centrale Europea, reazione che prenderà la forma di una rottura tra la Francia e l’Eurozona e del non riconoscimento degli «euro francesi» come euro. È la minaccia che fu applicata con successo contro la Grecia. Conviene ricordarsene.
Dunque o che si lasci fare la BCE e la liquidità si rarefaccia rapidamente in Francia mettendo l’economia in blocco, o che la Banca di Francia diventi l’unico «prestatore in ultima istanza» dell’economia francese, de facto saremo usciti dall’euro.
Si comprende allora che, davanti a questi avvenimenti che avranno un aspetto drammatico, l’idea di convocare un’assemblea costituente sarà di fatto impossibile: sia che Mélenchon si inginocchi immediatamente, subendo a sua volta la sorte di Tsipras e partecipando alla sua vergogna, sia che, contro i suoi impegni attuali, debba comportarsi da presidente della Quinta Repubblica e usare le prerogative di quest’ultimo. Ma, anche lui, sarà molto rapidamente di fronte alle scelte seguenti: abbandonare la maggior parte del suo programma e «capitolare» davanti all’Eurogruppo e alla Germania, o realizzare immediatamente il piano «B». Questo piano «B» immediato, chiamiamolo il «B’», comporterà le stesse misure di cui si è detto a proposito di Mme Le Pen, e la politica economica che occorrerà allora mettere in opera, se si vuole preservare gli interessi dei francesi, sarà del tutto identica. Non ci sono due modi di uscire dall’euro ma uno e uno solo. Tutti le altre politiche finiranno in catastrofi.
Pensare il dopo-euro
Le idee secondo le quali si potrebbe «negoziare» per più mesi prima di finire a tale scelta mi sembrano completamente utopiche, per non dire strambe. La scelta sarà davanti agli occhi e nelle mani della o del presidente nei giorni che seguiranno la sua elezione. E non ci sarà margine di manovra per «fare i furbi», secondo la parola del cancelliere Stresemann negli anni ‘20. I mercati finanziari, ma anche i dirigenti dell’Eurogruppo e i dirigenti tedeschi, esigeranno una capitolazione totale della o del presidente francese. Ci si ricordi su questo punto dei negoziati del luglio 2015 con la Grecia. Ci saranno voci, sia nell’entourage di Mme Le Pen che in quello di M. Mélenchon, per raccomandare questa capitolazione, per spiegare come non sia che il male minore e che bisogna soprattutto evitare una rottura franca e netta con i nostri partner. Queste voci saranno allora, mutatis mutandis, come quelle che soffiarono nelle orecchie di Paul Raynaud nel giugno 1940, consigliandogli di ritirarsi, aprendo la strada a Pétain e all’armistizio vergognoso…
Se questa capitolazione dovesse avere luogo, sarebbe finita per un po’ la sovranità del popolo francese, tradito ancora una volta dai suoi dirigenti. Ciò sarebbe d’altronde ben più tragico nel caso di Mélanchon che in quello di Marine Le Pen. Una simile sconfitta, dopo che Mélenchon ha fatto esplodere la «gôche libérale», significherebbe la distruzione di tutta la sinistra in Francia. La sola alternativa sarebbe una rivoluzione violenta che restauri questa sovranità perduta. Ma se si decide ad affrontare i nostri partner, la o il presidente dovrà farlo appoggiandosi ai poteri eccezionali che la Costituzione contiene e a quegli elementi di potere carismatico che questa Costituzione contiene ugualmente. Si comprende allora che voler mettere in causa questa stessa Costituzione sarebbe assolutamente controproducente.
Il confronto che allora avrebbe luogo non significherebbe che in seguito non possa aver luogo alcun negoziato. Ma perché possa apparire uno spazio di negoziato occorre che i nostri partner siano convinti che l’uscita dall’euro è inesorabile, che abbiamo messo in opera un meccanismo senza possibilità di ritorno, che questa uscita è un fatto e che vi si devono adattare. D’altronde è chiaro che una volta presa e affermata la decisione della Francia l’Italia ci seguirà passo passo, seguita rapidamente dalla Spagna, dal Portogallo e dalla Grecia. Il negoziato verterebbe allora sulle condizioni di questa dissoluzione di fatto dell’Eurozona e insieme sul profilo dell’Unione europea dopo questa stessa dissoluzione. La questione delle alleanze rivestirà allora un’importanza capitale.
La o il dirigente francese dovrà allora avere una visione chiara del modo di coordinazione e di cooperazione che voglia promuovere in Europa. Una cosa è in effetti parlare di un’«Europa dei popoli» altra cosa è immaginare le istituzioni che presiederebbero la sua fondazione.
Non mi sembra che Marine Le Pen e Mélenchon, presi nella campagna elettorale, abbiano realmente immaginato che aspetto avrebbero i primi giorni del loro mandato. Poiché si presentano oggi come candidati di rottura, hanno bisogno più degli altri di chiarezza su questo punto.
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