Il primo turno delle elezioni francesi sulla stampa
Un’intervista di Sapir sulla necessità e le prospettive francesi di un’uscita dall’euro.
Il primo turno sulla stampa
di Jacques Sapir, 27 aprile 2017
L’originale dell’intervista è disponibile al seguente indirizzo: http://russeurope.hypotheses.org/5944
Traduzione di Paolo Di Remigio
In questi ultimi giorni ho accordato diverse interviste ai media internazionali sulla situazione in Francia dopo il primo turno delle elezioni presidenziali. Si potranno così trovare:
• un’intervista di una dozzina di minuti in francese a RT; la si troverà all’indirizzo seguente: https://francais.rt.com/opinions/37546-jacques-sapir-souverainisme-gagner-bataille-culturelle (attenzione, occorre scendere nel testo per trovare il video);
• un’intervista in spagnolo sul giornale Publico; la si troverà all’indirizzo seguente: http://ctxt.es/es/20170426/Politica/12408/Jacques-Sapir-entrevista-elecciones-Francia-Le-Pen-Macro-UE.htm
Inoltre ho risposto a un giornalista studente, il signor Thibault Marotte. Pubblico le risposte che ho dato perché, in quanto vertono sull’euro che è divenuto (finalmente) un argomento della campagna elettorale, possono interessare i miei lettori.
Risposte indirizzate al signor Thibault Marotte
• L’uscita dall’euro e il ritorno franco comporteranno una diminuzione o un au-mento del potere d’acquisto dei francesi?
Ricordiamo che l’uscita dall’euro e la ridenominazione della moneta sono “neutre” dal punto di vista del potere d’acquisto. Tutti i redditi sono convertiti dall’euro al franco, tutte le spese altrettanto. Allo stesso modo sono anche convertiti tutti gli attivi del patrimonio di una fami-glia e tutti i suoi debiti. A provocare cambiamenti sarebbe non l’uscita dall’euro, ma il deprezzamento del franco in rapporto al “nuovo” marco tedesco e – in misura minore – al dollaro. Questo significa che certi prodotti importati aumenterebbero, e circa il 40% delle spese delle famiglie sono importazioni (in modo diretto o indiretto). Ma è anche evidente che il franco si riapprezzerebbe in rapporto altre monete (come la lira o la pesetas). E dunque che sulle importazioni dei prodotti provenienti dai paesi con queste monete ci sarebbe in realtà una diminuzione dei prezzi. Questo offre il quadro per individuo. Ma se si ragiona in termini di potere d’acquisto globale, per l’insieme della popolazione, il ritorno all’occupazione da 1,5 a 2,5 milioni di persone, che ci si può ragionevolmente attendere nei tre anni che seguirebbero un’uscita dall’euro, significherebbe che queste persone non percepirebbero più sussidi di disoccupazione, ma salari di un ammontare superiore.
La risposta alla vostra domanda dipende dunque dall’orizzonte temporale che si adotta. Immediatamente non ci sarebbe alcun impatto; a sei mesi, senza dubbio – ma questo dipende largamente dalla struttura del consumo di ogni famiglia – una perdita di circa il 3% (certe famiglie, che consumano beni “d’alta gamma” subirebbero una perdita dal 6 al 7%, le altre una perdita molto più esigua o addirittura nulla). A 3 anni l’aumento del reddito sarebbe evidente, da circa il 3% al 6%, ma anche qui molto differenziato secondo le famiglie. Gli ex disoccupati potrebbero registrare dei guadagni dal 15% al 25%. I salariati i cui salari sono inferiori a una volta e mezzo lo SMIC (ossia larga parte dei salariati) dovrebbero registrare degli aumenti notevoli dei loro redditi, perché le pressioni al ribasso sui salari diminuirebbero.
Bisogna sapere che un cambiamento come quello provocato da una dissoluzione dell’euro avrebbe un effetto potente sulla ripartizione e non soltanto sui livelli dei redditi. Favorirebbe in maniera molto evidente i redditi più bassi e contribuirebbe di molto a un abbassamento delle disuguaglianze. D’altronde è quello che si è visto dal 1950 al 1970, quando la Francia ha svalutato la sua moneta a più riprese. Abbiamo avuto una forte crescita e una forte diminuzione delle disuguaglianze.
• Quali dovrebbero essere le condizioni per un’uscita dall’euro?
L’uscita dall’euro dovrebbe essere rapida. Niente sarebbe più dannoso per l’economia francese di un periodo di più settimane di incertezza. L’ho detto e scritto a più riprese. Per questo la strategia di Marine Le Pen o di Jean-Luc Mélenchon è in errore su questo punto. Non si potranno attendere molte settimane o molti mesi. O i nostri partner accetteranno le nostre proposte dopo un breve periodo di riflessione (e questo periodo non dovrà eccedere qualche giorno) o occorrerà agire.
Ma l’uscita dall’euro non si limita alla decisione di cambiare il nome della moneta e di recuperare la sovranità monetaria. Essa dovrebbe accompagnarsi anche alla ripresa del controllo della Banca di Francia, sospendendone se non altro temporaneamente l’indipendenza, e a misure cautelari prese dal governo. Infine è auspicabile ma non necessario che questa uscita si faccia in un quadro negoziale con i nostri partner dell’Unione Economica e Monetaria, sotto la forma di una dissoluzione concertata dell’euro. Questa soluzione sarebbe incontestabilmente la più razionale, soprattutto quando si conoscono i problemi posti dall’euro alle economie italiana, spagnola, greca e portoghese. Ma i conflitti politici, l’animosità della Germania, che si vedrebbe privata del suo principale vantaggio competitivo, fanno sì che questa soluzione di buon senso abbia poca possibilità di essere adottata. La dissoluzione dell’euro (perché se la Francia esce dall’euro, l’Italia sarà obbligata a seguirla rapidamente, e se l’Italia esce dopo la Francia, la seguiranno la Spagna, il Portogallo e la Grecia) si farà molto probabilmente in maniera disordinata. Questo impone le misure cautelari, le misure di protezione che ho evocato sopra. La dissoluzione concertata sarebbe il mezzo migliore di mettere fine all’euro, ma quest’ultimo punto non è imperativo.
• Quali sarebbero i vantaggi dell’uscita dall’euro?
I vantaggi sono il riflesso diretto degli inconvenienti dell’euro. Innanzitutto, permettendo di correggere le parità tra le monete, del 20% in rapporto alla Germania, e da circa il 5 al 7% in rapporto al dollaro, l’uscita dall’euro restituirebbe tutta la loro competitività alle imprese francesi sia sui mercati d’esportazione che sul mercato interno. I movimenti delle parità che indico non sono immaginari, ma corrispondono a uno studio del Fondo Monetario Internazionale. Questo “choc di competitività” positivo provocherebbe un sensibile miglioramento della tesoreria delle imprese e dei loro portafogli d’ordini. Poi, in quanto le imprese produrrebbero di più, e per questo investirebbero e accrescerebbero il loro personale, la diminuzione del numero dei disoccupati, che si può stimare nell’immediato al minimo di 1,5 milioni, ristabilirebbe rapidamente l’equilibrio dei conti sociali. Allora diventerebbe possibile diminuire i contributi sociali, che siano pagati dai salariati o dagli imprenditori. Questo restituirebbe potere d’acquisto ai salariati, senza penalizzare le imprese, e provocherebbe un effetto positivo, che si chiama “effetto di secondo impatto” per distinguerlo dall’effetto diretto generato immediatamente dal deprezzamento del franco. Questo effetto di secondo impatto potrebbe condurre all’assunzione da 500.000 fino a un milione di lavoratori supplementari, ciò che produrrebbe a sua volta un effetto molto positivo, tale da alimentare questo effetto di “secondo impatto”.
Come si vede, bisogna non limitarsi ai soli effetti immediati e valutare l’impatto di un’uscita dall’euro su un periodo da 3 fino a 5 anni.
• Quali sarebbero gli inconvenienti?
Il primo inconveniente sarebbe l’aumento della vulnerabilità della Francia alla speculazione internazionale. Per questo si imporrebbero delle forme di controllo dei capitali per stabilizzare le evoluzioni e ridurre il più possibile lo spazio di questa speculazione.
Il secondo inconveniente sarebbe indubbiamente l’aumento dei tassi di interesse rispetto alla Germania. Ma se si introducono dei controlli dei capitali, allora la Banca di Francia ritrova la sua capacità di determinare, direttamente o indirettamente, il tasso di interesse. Da questo momento si potrebbero avere tassi di interesse uguali o inferiori a quelli della Germania.
Il terzo inconveniente, ma non è sicuro che sia un inconveniente, sarebbe la separazione dello spazio finanziario francese dalla finanza mondializzata. Non sarebbe una separazione totale, perché le imprese francesi potrebbero sempre fare investimenti a lungo termine nei paesi stranieri, o ricevere da questi paesi investimenti a lungo termine. Ma lo spazio finanziario francese sarebbe tagliato dalla finanza internazionale a breve e brevissimo termine. Poiché questi movimenti di capitali sono essenzialmente speculativi e non hanno effetto positivo sull’investimento mentre sono un elemento di trasmissione delle crisi finanziarie, è tutt’altro che provato che ciò sarebbe un inconveniente, anzi .
• Il debito francese sarebbe convertito in franchi? Come andrebbe?
Ricordiamo che l’espressione “debito francese” copre di fatto il debito pubblico (o debito dello Stato), il debito delle imprese non finanziarie, il debito delle famiglie e il credito delle imprese finanziarie.
Il debito pubblico è detenuto al livello del 60% della sua esposizione negoziabile (e non della sua esposizione totale) da attori “non residenti”. Ma in virtù del regolamento (CE) n° 1103/97 del Consiglio Europeo del 17 giugno 1997, abbiamo la certezza che si applicherà quella che si chiama la “lex monetae” ossia “legge monetaria” (principio di diritto internazionale), vale a dire che la totalità dell’esposizione emessa nel diritto francese (97% dell’esposizione) sarà convertita in franchi.
Per gli altri debiti, quello che è stato emesso in diritto francese presso banche francesi o banche straniere in Francia seguirà e si vedrà anche applicare la “lex monetae”.
Per il debito delle imprese non finanziarie e finanziarie emesso nel diritto straniero (debito emesso da Londra, Wall Street o qualunque altra piazza finanziaria) gli importi emessi in divisa diversa dall’euro saranno conservati. Uno studio importante, messo on line dall’OFCE, permette di vedere che l’uscita dall’euro avrebbe conseguenze positive o molto positive sulle imprese francesi .
• Perché pensate che Marine Le Pen tenga tanto a questa misura mentre essa è molto screditata?
Ponete questa domanda alla signora Marine Le Pen, perché non ho l’autorità né la vocazione a parlare al posto suo o del suo movimento.
Per parte mia penso che sia impossibile mettere in atto un’altra politica economica restando nel quadro dell’euro. Tutti quelli che pretendono mettere in atto un’”altra politica” restando nel quadro dell’euro mentono sfrontatamente. Se vogliamo realmente cambiare politica eco-nomica (e politica finanziaria) non abbiamo altra scelta che uscire dall’euro.
• Qual è ormai la vostra posizione sulla questione?
Ho risposto sopra alla vostra domanda. L’uscita dall’euro è necessaria, ma certo non sufficiente a una trasformazione profonda dell’economia francese per mettere fine alla disoccupazione di massa e per ritrovare una forte crescita. Così sui 4,5 milioni di disoccupati che la Francia conta realmente, numero al quale occorre aggiungere circa 1,8 milioni di persone costrette ad accettare tempi parziali non desiderati o i cui impieghi non sono possibili che grazie a sovvenzioni dello Stato, vale a dire su un totale reale di 6,3 milioni di persone in cerca di occupazione, come si può vedere dal grafico seguente, i calcoli mostrano che l’uscita dall’euro si tradurrebbe in un ritorno all’occupazione di un numero di persone da 2 a 2,5 milioni.
Grafico 1
Fonte: cifre della DARES
Questo è importante, è necessario, è addirittura vitale per queste persone, ma non è sufficiente. Occorrerà dunque compiere anche uno sforzo importante nell’ambito della formazione professionale affinché la crescita che la Francia ritroverebbe, una volta liberata dalla zavorra dell’euro, dia tutte le sue promesse per l’occupazione e riporti il nostro paese verso la piena occupazione.
[1] IMF, 2016 EXTERNAL SECTOR REPORT, International Monetary Fund, juillet 2016, Washington DC, téléchargeable à : http://www.imf.org/external/pp/ppindex.aspx
[2] Stiglitz J., RISK AND GLOBAL ECONOMIC ARCHITECTURE: WHY FULL FINANCIAL INTEGRATION MAY BE UNDESIRABLE, Working Paper 15718, NATIONAL BUREAU OF ECONOMIC RESEARCH, Cambridge (Mass.), 2010, http://www.nber.org/papers/w15718 Voir aussi Rodrik D. et Subramanian A., « Why did Financial Globalization Disappoint ? », in IMF Staff Papers, April 2009, Volume 56, Issue 1, pp 112–138.
[3] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/FR/TXT/?uri=celex:31997R1103 Ce règlement dit, dans son point 8 « la reconnaissance de la loi monétaire d’un État est un principe universellement reconnu ».
[4] http://www.ofce.sciences-po.fr/blog/balance-sheets-effects-of-a-euro-break-up/
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