Ma dove finiscono i soldi?
Di Mensa Andrea
Prendo lo spunto da un interessante articolo apparso su un blog, il cui link troverete al fondo del post per mettere in evidenza quanto sta accadendo in questi giorni.
Una quantità di eventi che apparentemente sembrano in contraddizione, acquisiscono un significato se si abbandona il puro contesto monetario.
E prendo gli USA in esame, pur essendo anche l’Europa agitata da simili problematiche.
Il primo paradosso è quello dalla borsa.
Un paese in cui la disoccupazione totale ( quindi includendo tutti coloro ch potrebbero lavorare, ma un lavoro non ce l’hanno) vicino al 20% della popolazione adulta, un paese in cui più del 14% riceve i foodstamps ( aiuto statale di pura sopravvivenza alimentare costituito da 138 e rotti dollari AL MESE, un paese in cui l’immobiliare continua a perdere valore, a causa dei pignoramenti, un paese la cui bilancia commerciale è in rosso stabile da anni e per cifre enormi, e lo stesso paese le cui aziende producono e vendono sempre meno, ebbene quel paese ha una borsa che continua a crescere.
Forse tra qualche anno mi ravvederò e cambierò mestiere, ma per ora è inspiegabile come i valori di borsa continuino a crescere, quando le aziende puntano ad aumentare la produttività, mentre il problema è vendere cosa già producono. Un alieno che analizzasse tale immagine potrebbe solo dire “impossibile”.
Ma quello è poi lo stesso paese con un debito federale vicino al 100% del prodotto interno lordo, ma attenzione, questo è SOLO il debito federale che non include la bancarotta alla quale sono arrivate amministrazioni municipali, o stati che non riescono nemmeno più a garantire un servizio di polizia degno di quel nome, che invita i dipendenti pubblici a lavorare a giorni alterni perché non possono più pagare i loro stipendi o come la California che li paga con delle cambiali ( gli I Owe You)
Il paese il cui governo federale che si è fatto carico di due entità in bancarotta conclamate come Fannie & Freddie le cui garanzie ammontano a più di 5 trilioni di dollari, oltre alle garanzie su altre entità finanziarie che fanno salire il conto totale a più del 300% del PIL, ebbene quel paese continua ad avere sui propri titoli del debito pubblico una splendida tripla A.
Va beh che chi assegna i rating sono due società americane e una inglese (pertanto legata a filo doppio all’America), ma non dimentichiamo che la sua moneta è ancora detenuta come riserva dai maggiori paesi del mondo, anche se pare che pian piano stiano cercando di liberarsene.
Ma cosa è in completa contraddizione con ogni teoria economica è il fatto che la banca centrale, che emette il denaro, lo usi per acquistare i titoli del debito pubblico, cosa che dovrebbe spingere l’inflazione alle stelle ……. E invece niente.
Ora, come è ben spiegato nell’articolo linkato, il meccanismo che coinvolge banca centrale federale e banche commerciali, si riduce ad una partita di giro, in cui ognuno degli enti interessati ha il suo piccolo guadagno, ma l’unica cosa che resta fuori da tale ragionamento è il denaro che finisce nelle casse del tesoro.
Ed il tesoro, se si indebita ulteriormente, è perché ne ha immediato bisogno per le proprie spese.
Dico ulteriormente, perché parte di quel debito serve a rimborsare titoli in scadenza, ma è il di più che mi interessa e che dovrebbe costituire quel 10% circa di PIL che è il rosso del bilancio.
E qui ci addentriamo in un territorio finora inesplorato dalle teorie economiche, ma che invece rientra perfettamente in quella che è la mia definizione di inflazione.
Qui la riporto, tanto per averla sott’occhio.
Essa è il fenomeno che si verifica quando la massa di denaro destinata all’acquisto dei beni e servizi di largo e comune uso e consumo, supera il valore, espresso in denaro di tali beni e servizi.
Questo fenomeno causa un immediato innalzamento dei prezzi di tali beni per cui, se presenti le altre condizioni, si innesca la spirale inflazionistica.
E tutto ciò perché nel rilevamento dell’indice di inflazione, rientrano tali beni e servizi, ma non quelli che costituiscono consumi di elite.
Un “mercato” si trova in equilibrio quando chi produce beni e servizi, guadagna dalla propria attività quanto basta per acquistarli, ma questa è una condizione sulla quale le politiche monetarie hanno pochissima influenza.
Proviamo a pensare ad una fabbrica che produca abbigliamento.
In essa le componenti alla formazione del prezzo dei prodotti sono , come per tutti, materie prime, lavoro e capitale.
Immaginiamo ora che le condizioni del paese siano tali per cui, grazie alla disoccupazione, all’immigrazione, ecc… il lavoro abbia pochissimo potere contrattuale, ed allora vedremo le paghe di quei lavoratori diminuire, ma così facendo diminuirà la possibilità per quei lavoratori di esser acquirenti, essi stessi, dei prodotti di quella fabbrica, mentre crescerà il profitto di chi ha messo il capitale di quell’azienda.
Ma i lavoratori sono tanti, e i “padroni” ( direttamente o indirettamente) sono pochi, e quindi questi ultimi si arricchiranno mentre i primi diventeranno più poveri.
E diventando più poveri saranno sempre meno “consumatori” di quegli stessi prodotti che loro stessi creano.
Quindi, qualsiasi entità di spesa dello stato, dopo pochi passaggi da lavoratori a merci a produzione, sarà finito ai detentori dei capitali, i quali non hanno assolutamente bisogno di tale denaro per vivere, e quindi non lo spenderanno nei beni di largo e comune uso e consumo, ma avranno invece il problema di come salvaguardarlo.
Cosa che faranno investendolo, ed ecco spiegata la bolla delle borse e la speculazione sui futures delle commodities, alimentari inclusi, in un clima di inflazione praticamente nullo.
Ecco quindi che si chiude il cerchio.
Questo processo, iniziato molti anni addietro, con una ripartizione sbilanciata dei proventi dell’aumento di produttività, è stato mascherato per anni dal ricorso al credito facile, che ha consentito anche a chi non avrebbe più potuto, di continuare a comportarsi da “consumatore compulsivo”.
L’ultima trovata, come ho spiegato nel mio precedente, è stata quella di trasformare il mercato immobiliare nella cornucopia della ricchezza, illudendo una gran parte di popolazione che bastasse investire denaro preso a credito in una casa, per incassare degli utili. Sogno scomparso col brusco ritorno alla realtà della crisi del credito attuale.
Ma per tornare al processo, per cui un eccessivo prelievo di risorse da parte del capitale porta alla morte , o almeno alla sterilizzazione del mercato per scomparsa di acquirenti, rivediamo l’intero flusso.
La banca centrale crea denaro col quale acquista sul mercato vecchi titoli ( vita residua di almeno 2 anni), quindi da privati ( o fondi, finanziarie, ecc…) e banche.
Le banche, il mercato, ecc… secondo lo schema illustrato dal link completano la partita di giro.
Resta fuori solo la copertura del nuovo deficit dello stato, il quale costituisce liquidità aggiuntiva, come differenza tra le tasse incassate , e le spese dello stato stesso.
È dove va a finire il denaro speso dallo stato, che fa la differenza …… in un mercato dove la distribuzione dei ricavi fosse più sbilanciata a favore del lavoro, si avrebbe inflazione, anche a due cifre, ma se in pochi passaggi tale ricchezza rilasciata dal tesoro, finisce nelle solite tasche, che peraltro non ne hanno bisogno per sopravvivere, allora può bellamente sparire dal mercato dei beni e servizi di comune uso e consumo, per finire in risparmio, o investimenti, e cioè a gonfiare, ad esempio, la bolla della borsa o delle speculazioni.
Quindi all’origine della ragione per cui l’immissione di liquidità non causa inflazione, sta la mutata distribuzione tra lavoro e capitale degli aumenti dei profitti portati dall’aumento di produttività, ma anche dalle importazioni di beni a basso costo, che, se da una parte hanno tenuto bassi i prezzi, dall’altra hanno portato disoccupazione e sotto occupazione, falcidiando i redditi da lavoro.
Esse hanno generato alte entrate per gli importatori, ma hanno però portato al restringimento fino alla parziale scomparsa della manifattura, e quindi alla scomparsa di redditi da lavoro.
E questi sono i redditi, per numero e tipologia di impiego (non vengono certo usati, o usati in minima parte, per articoli di lusso), che sensibilizzano maggiormente i prezzi del paniere che poi determina l’inflazione.
Quindi , per riassumere, una gran parte del denaro emesso dalla FED, passando per i titolari di vecchi Tbond, passando per le banche torna alla FED come deposito.
L’altra parte, quella destinata a coprire il deficit di bilancio, tramite il tesoro arriva nel mercato, ma qui viene subito sequestrato da chi possiede il capitale delle aziende, che facendo già parte della classe agiata, lo investe , in borsa o sui futures.
Quindi niente inflazione. Ma nemmeno niente eccesso di liquidità. Solo una bolla che si sta gonfiando in borsa, con la manifattura che si sta estinguendo, aziende che si stanno rattrappendo ma generano utili a non finire solo consumando se stesse e la loro forza lavoro.
Fino a quando andrà avanti questo giochetto in cui a perdere, per quantità e difficoltà di reddito è la classe più numerosa e più povera?
L’unica cura che potrebbe risollevare questa situazione non deriva ne dalla politica monetaria, come abbiamo visto, ma neanche da quella fiscale, perché un disoccupato che vive con i food stamps, non paga certo le tasse, e quindi resta una diminuzione delle ore lavorate a parità di reddito, con i costi aggiuntivi a carico del capitale, almeno fino a che si inverta il ciclo recessivo.
In assenza di una misura simile c’è solo da aspettarsi un ulteriore peggioramento , quando cessino gli stimoli per esaurimento delle risorse, per cui dipende da cosa arriverà prima, se lo scoppio della bolla della borsa valori, oppure le rivolte sociali.
Ambedue queste condizioni provocheranno un rigurgito della crisi mai finita, portando il paese in una pesante crisi di credibilità.
L’Europa, se da una parte sta meglio per cosa riguarda il welfare, e quindi l’assistenza alle classi più disagiate, dall’altra subisce gli attacchi speculativi sui debiti sovrani dei PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), ogni volta che qualcuno di tali stati si trova nella necessità di rinnovare una partita consistente di titoli in scadenza.
Ed anche in questo caso, parlando di debito pubblico, non si riesce mai a fare una distinzione tra coloro del pubblico che si sono arricchiti quando il debito è stato creato, e chi no, pretendendo invece di distribuire uniformemente sulla platea dei contribuenti i sacrifici per ripagarlo, e prima ancora, per pagare gli interessi su tale debito.
Per nazioni il cui debito è posseduto dalla propria popolazione, come il Giappone, diventa solo un problema di politica fiscale interna, per quei paesi invece che sono stati finanziati dall’estero, il rating e soprattutto la valutazione al fine di quotare i CDS assumono una importanza determinante ai fini del tasso di interesse sui titoli del debito.
E tali soldi per interessi, sono tutti soldi prelevati con le tasse, e non spesi per beneficiare la popolazione, ma soltanto i creditori.
Da segnalare che, come accaduto per Grecia e poi Irlanda, i governi del Portogallo hanno negato fino all’ultimo minuto di aver bisogno di interventi di sostegno, per poi capitolare di fronte all’evidenza.
I tassi della BCE son saliti di ¼ di punto percentuale, il Portogallo riceverà attorno agli 80 miliardi di euro, occorrono circa 1,42 dollari per avere un Euro, ed il Giappone sta alzando il livello delle importazioni (pagando ovviamente con dollari, visto quanti ne possiede).
L’altro fattore di instabilità geopolitica resta l’africa del nord, con la penosa e miserabile figura che l’occidente sta facendo con la Libia ( già quel gruppo di volenterosi che esporta democrazia legata alle bombe) dove gli intrepidi esportatori di democrazia non riescono a mettersi d’accordo su nulla, mentre continuano le fughe da quei paesi di intere popolazioni.
Curioso poi , come per questi esportatori di democrazia al petrolio, interessi tanto la Libia, ma poco lo Yemen, nonostante che in quest’ultimo la polizia spari ad altezza d’uomo per uccidere, se poi guardiamo al Bahrein li abbiamo addirittura l’invasione “democratica” dei blindati sauditi…. Ma li , ovviamente è un tipo di democrazia fatta col bricolage.
Una notizia delle ultime ore che riguarda la Cina; per la prima volta dopo 7 anni il mese passato si è chiuso con la bilancia commerciale in rosso di 1,02 miliardi di dollari. Affatto contenti saranno Geithner e Obama, in quanto se la Cina comincia a pagare i suoi creditori attingendo alle riserve di dollari e Tbond, potremmo assistere ad una alluvione di valuta americana nei mercati, cosa tutt’altro che piacevole per chi ancora si illude che il dollaro e gli asset denominati in tale valuta siano da considerare dei “beni rifugio”. Un po’ come un rifugio che caschi in testa …..
Caro Andrea,
articolo interessantissimo.
Mi sembra che dimostri una delle ragioni (forse ve ne saranno anche altre) per le quali, se non si danno determinate condizioni, l'aumento della liquidità non provoca inflazione.
Allora chiedo. Tutte le volte che la parte di liquidità che passa per i lavoratori e poi attraversi i dettaglianti ai produttoiri non viene reinvestita ma risparmiata dagli imprenditori l'inflazione non si verifica? L'inflazione, allora, manca anche nelle ipotesi in cui vi è un elevato acquisto dei beni di consumo contenuti nel paniere, al punto che la nuova liquidità è "risparmiata" in parte anche dai lavoratori (e per altra parte anche dai dettaglianti e dagli imprenditori?). E se il denaro immesso viene regalato ad alcune imprese, perché forzatamente lo investano all'estero? Anche in questo caso, se la moneta è una moneta di riserva internazionale non dovrebbe verificarsi inflazione. Sbaglio?
non sbagli affatto… tutte queste considerazioni riportano a quella che è la mia definizione di inflazione, e che mi sembra poi banalmente logica.
se essa è misurata su un certo paniere, alla fine quel che interessa ai fini di tale calcolo sono proprio e solo i prezzi di quel paniere.
e dato che ogni bene rientra con una media ponderata, ovvero variazione moltiplicato quantità stimate consumate, allora preponderanti diventano proprio quei beni di largo e comune uso e consumo.
i prezzi di tali beni risentiranno ovviamente di quanto denaro è destinato al loro acquisto. è banale legge di mercato ch equando c'è più denaro che valore di merce, i prezzi salgano, prima che le produzioni vengano adeguate, e viceversa scendano quando l'offerta supera la domanda.
determinare quanto denaro abbia tale destinazione può solo essere una verifica empirica, ma se si guarda alla composizione dei vari strati sociali, i consumi cambieranno in percentuale mano a mano che si sale nella scala sociale.
il problema nasce quando, per le ragioni elencate, per alcune classi si scende sotto il livello del benessere.
sono queste classi, che come hanno più disponibilità le riversano immediatamente su tali consumi, non certo quelle classi che non hanno problemi a soddisfare anche oltre al livello di necessità i loro bisogni.
quindi , se il denaro "nuovo" resta a circolare nelle classi inferiori, si avrà tensioni sui prezzi deiu beni sensibili del paniere, se invece viene catturato velocemente dalle classi superiori, si avrà sempre e solo tendenze deflattive.
ecco perchè è così importante analizzare A CHI va il denaro aggiuntivo immesso nel mercato…. ma anche a che velocità viene tolto dal mercato di tali beni e destinato a risparmio o qualsiasi altra destinazione che non sia l'acquisto dei beni sensibili.
ecco anche perchè accade che i salari siano così importanti in quello che viene chiamato il ciclo inflattivo.
se i salariati sono tenuti sotto la soglia di benessere, ogni loro possibilità aggiuntiva si riverserà immediatamente nei consumi dei beni sensibili.
ora, non sto sostenendo ch ei salari debbeno esser mantenuti bassi per questa ragione, che è cosa è stato fatto da anni a questa parte per tenere bassa l'inflazione… i salari dovrebbero essere alti a sufficienza da MAI permettere che si scenda sotto quel livello minimo di benessere, solo così si avrà una stabilizzazione verso l'alto dei prezzi e relativa quantità di denaro in circolazione.
aver ridotto in termini reali i salari ha avuto come conseguenza crisi da sovra produzione, cosa effettivamente verificata, ed un continuo allineamento verso il basso di queste due componenti.
sino a che, come sta succedendo alle mensa dei poveri va anche chi ha un lavoro, ma tanto mal pagato che non gli consente di vivere…
al di sotto di questa condizione, credo che l'unica via di uscita saranno purtroppo agitazioni sociali.
"il problema nasce quando, per le ragioni elencate, per alcune classi si scende sotto il livello del benessere."
Quale problema? Un redistribuzione delle ricchezze comporta inflazione quando si parte da un livello baso. Se si parte da un livello alto di consumi relativi al paniere, la redistribuzione spingerà i lavoratori a risparmiare o a dedicarsi a consumi che eslunao dal paniere. In quest'ultimo caso, vi sarà un aumento dei prezzi, fino a quando non si avrà un aumento della produzione che riporti in diverso equilibrio domanda e offerta. Questo aumento dei prezzi non sarà inflazione.
Il fatto è che i soldi immessi nel sistema non vengono reinvestiti nell'economia. Né vengono investiti nella produzione di beni che sono già di largo consumo. Né vengono investiti nella produzione di altri beni. Questo è il punto.
Se fossero investiti nell'economia? Per esempio se l'investimento diventasse "obbligatorio" " (chiusura delle borse ) o fosse imposto per via fiscale (che so: tassazione del 95% delle rendite finanziarie) avremmo una inflazione spaventosa. Il denaro non varrebbe più nulla.
Adesso fammi immaginare una conseguenza estrema dell'iperinflazione. La Avrebbero valore soltanto i bei reali – terra, animali da macello, da latte, ecc. e lavoro. C'è chi dovrebbe vendersi le case per mangiare carne e verdure. Ti do un divano firmato per un agnello; ti do i mobili che arredano l'intera mia casa, per un vitello. Ti do la mia catenina d'oro per tre chili di frutta. Gli addetti all'agricoltura aumenterebbero. E' la quantità di denaro che stabilisce che cosa ha valore e che cosa no. Se c'è tantissimo denaro, valgono (anche se poco) lavoro e prodotti agricoli. La situazione somiglia a quella che si ha quando il denaro è molto poco. Se non c'è tantissimo denaro "obbligatoriamente circolante" valgono i beni superflui. E il prezzo di questi ultimi tanto più aumenta quanto più il livello dei salari consente di acquistare i beni del paniere e in generale di prima necessità e di prima richiesta.
Non ci sarebbe affatto un impoverimento. Semplicemente
caro Stefano
abbiamo due esempi pratici e riscontrabili di cosa sto affermando
Italia e Germania
in Italia abbiamo già molti lavoratori col problema della quarta settimana ,questo vuol dire che un eventuale aumento delle loro retribuzioni, causerà inflazione sui prezzi dei generi di prima necessità.
il lavoratore tedesco, che con la sua retribuzione ègià sopra al livello di sussistenza, invece non la causerà, perchè il suo incremento andrà al risparmio o a beni che sono marginalmente nel paniere.
questa è una realtà della quale bisogna tenere conto, quando si parla dei processi.
ecco quindi che interventi sul nostro quadro, per recuperare una condizione più "umana" e quindi socialmente tranquilla e collaborativa, della classe lavoratrice, devono tener conto di questo fattore.
l'aver puntato per troppi anni al recupero di competitività tramite le riduzioni salariali, ottenute anche alterando il quadro sociale ad esempio con l'immigrazione, ha portato come conseguenza il dover affrontare in modo appropriato il problema della redistribuzione del reddito.
non possiamo più ignorare questo problema.
scusami, poi, misono accorto che non ho risposto alla domanda iniziale.
il problema consiste nel fatto che , quando le retribuzioni scendono sotto la soglia di sussistenza, non si può recuperare un livello dignitoso solo aumentandole, perchè questo fatto innesca subito una spirale inflattiva.
una ricetta magica ancora non ce l'ho, ma penso che occorrerebbe passare prima per una fase di sovraproduzione dei beni di primam necessità, tanto da abbassarne i prezzi, intervenendo anche sulla filiera della distribuzione, ad esempio, tanto da riportare anche ai produttori una parte maggiore del prezzo finale (emblematico pensare che al coltivatore delle zucchine vengono pagate 10 cent al kilo, e al supermercato superano 1,2-1,4€ quindi con un moltiplicatore di 12-14), e questo fino a che scompaia il problema della "quarta e anche terza "settimana, dopo di che, allora la redistribuzione potrebbe procedere nel modo standard.
in altre parole, in certe condizioni esasperate, accade che gli interventi producano effetti contrari al voluto.
Caro Andrea. Finalmente ci siamo. Se si hanno degli obiettivi economici, che sono sempre, esplicitamente o implicitamente, problemi di redistribuzione della ricchezza, serve la PROGRAMMAZIONE ECONOMICA. Non in senso sovietico ma programmazione. Il tuo ultimo intervento ne dà conferma.
Infine, tutto il processo che hai così bene illustrato si interseca con la tendenza a spendere i risparmi, per i beni primari e per quelli di secondo livello. Risparmio accumulato o ricevuto in eredità o che si materializza nella pensione della nonna oltre che in quella dei genitori. E con la tendenza a "giocarsi il risparmio futuro", non soltanto per i beni di prima necessità ma anche per quelli di secondo livello. Così si spiega perché i prezzi siano scesi meno di quanto sarebbe accaduto senza promozione dell'indebitamento.
La soluzione dell'ultimo problema segnalato sta anche essa nella programmazione "democratica" (non sovietica, nel senso che si tratta di programmazione compatibile con la libertà di iniziativa economica): divieto di indebitamento per futili motivi.
Insomma, Andrea, l'economia si rivela sempre più una scienza morale. C'è chi ha a cuore la redristribuzione della ricchezza e chi se ne disinteressa. C'è chi vuole soltanto evitare la povertà e chi vuole anche ridurre la forbice (che il più ricco guadagni al massimo tot volte rispoetto al più povero) C'è chi è favorevole all'indebitamento perché aumenta la produzione e c'è chi considera l'indebitamento per futili motivi immorale e segno di debolezza e dattamento al sistema. C'è chi vuole che la ricchezza vada in misura maggiore ai produttori e chi vuole che vada principalmente ai distributori. C'è chi ci tiene alla libertà di scelta dei singoli sul cosa, come e dove produrre e chi reputa che si tratti di decisione politica, che va sottratta ai singoli (io, vieterei senz'altro tante bambole che oggi si trovano sugli scaffali, senza essere un islamista e reputo che questo sia un problema grave).
tu la definisci "scienza morale" io la definisco "scienza intelligente" se si reputa intelligente chi non sega il ramo su cui è seduto.
se solo si tenesse sempre presente che la ricchezza esiste come controparte della povertà, essa potrebbe anche essere distribuita in proporzione al merito, alle capacità ecc… ma solo una visione miope porta ad eccedere nelle differenze.
gli esempi del problema prospettato infatti non stanno cambiando le politiche di Grecia, Irlanda, Portogallo, dove la popolazione viene considerata come una massa uniforme, per cosa riguarda la ricchezza, mentre così non è.
vero che si sono creati dei debiti spaventosi, ma un'analisi a ritroso potrebbe anche identificare chi ne ha principalmente beneficiato, e quindi essere chiamato a contribuire in modo proporzionale al risanamento….. invece si punta ad impoverire ulteriormente la gran parte della popolazione, creando così i disastri prospettati. Poi ci si domanderà come uscirne. basterebbe non considerare i patrimoni come un qualcosa di intoccabile
grazie comunque per i tuoi innterventi che mi hanno consentito di meglio specificare il tutto.
Tutto interessantissimo. Quindi un'ottimale mantenimento di stabili rapporti salari/inflazione (senza quindi incorrere in disagi sociali) verrebbe acquisito tramite un'oculata e lungimirante politica economica. Ora, dato che viviamo nell'epoca della speculazione (intendendo con questo termine tutti i processi ad alto rischio che generino alti guadagni in breve tempo), quale soluzione potrebbe prospettarsi?
Voglio dire che l'homo oeconomicus nell'era del liberismo non vuole sentire parlare di programmazione economica, che rimanda alla memoria i soviet. E' un po' come descrivere i danni della democrazia in questi anni in cui la si vuole esportare ad ogni costo….
quanto sto cercando di dimostrare, è il fatto che la sovrastruttura che si trova sopra il lavoro, può appropriarsi del reddito del lavoro solo fino ad un certo punto, sopra il quale, la rimanenza destinata al lavoro, non è più sufficiente per mantenere attivo il mercato, facendo così iniziare un processo involutivo che tende a penalizzare ancor più il lavoro.
è esattamente quanto, senza alcuna esperienza pratica pregressa, intuì Ford, quando decise di alzare la paga dei propri operai, per far si che potessero diventare clienti loro stessi, delle auto da loro create.
questo non vuol dire arrivare alla economia pianificata di sovietica memoria, ma, compito dello stato, tramite la leva fiscale, spostare il carico del mantenimento dello stato o più sul capitale o più sul lavoro a seconnda delle esigenze.
in un regime dove possano esserci opportunità di nuovi mercati ( o di vecchi con nuovi prodotti) premiare il capitale può servire a facilitare gli investimenti, sempre che siano produttivi ed i prodotti abbiano prospettiva di vendita, mentre quaando tali prospettive mancano, pertanto i consumi si possono solo implementare sui mercati esistenti, allora è il momento di premiare il lavoro.
questo discorso ha comunque una soglia…. capirai che quando si parla di disoccupazione di lunga durata e povertà a livelli elevati ( e per elevati intendo quando le percentuali arrivano alle due cifre) allora la leva fiscale è impotente, perchè non si può premiare fiscalmente ne chi si nutre con i food stamp, e tantomeno chi non ha più reddito.
in questo caso, il tipo di manovra deve essere di gran lunga più incisivo. (tipo quello ipotizzato).
e questo per dire che a mio avviso, dato che un tipo di manovra del genere non verrà sicuramente messa in atto, dobbiamo aspettarci diversi anni ancora di menzogne e speranze su un ritorno alla normalità che sarà impossibile da raggiungere.