La nazione italiana (1a parte)
di GIAMPIERO MARANO (FSI Varese)
1. Riflettere sulla nostra identità nazionale significa in primo luogo rifarsi ai classici del pensiero italiano (da Machiavelli a Gramsci, da Bruno a Gentile, da Leopardi a Pasolini) che questa identità rivelano nella maniera più profonda e definitiva. “Il presupposto del grande pensiero italiano è che solo l’equilibrio – o meglio la perenne tensione – tra communitas e immunitas consenta la riproduzione, e il potenziamento, della vita. Quando esse si divaricano, o si sopravanzano reciprocamente, le conseguenze possono essere catastrofiche”, scrive il “globalista” Roberto Esposito.
Ora, il punto di equilibrio fra la fluidità della communitas globalizzata e il suo opposto immunitario, neotribale e bioregionalista è dato proprio dal modello di nazione chiaramente delineato dalla Costituzione del 1948: una nazione tollerante, plurale e pluralista, che ripudia la guerra di aggressione ma che nello stesso tempo si proclama una e indivisibile e determinata a difendere come “sacro dovere” i propri confini.
Il confine non è sempre e soltanto una barriera protettiva ma anche un luogo di scambio e di comunicazione: quale relazione reciproca fra popoli potrà mai esservi in un mondo completamente omologato e uniformato? Un’Italia indipendente e consapevole di se stessa e del proprio ruolo storico è il presupposto dell’equilibrio fra Oriente e Occidente, dunque della stabilità di un’area vasta e cruciale come la regione mediterranea.
2. Il pensiero italiano mantiene un riferimento costante alla storia romana, intesa non come reperto archeologico e museale ma come eredità viva, perennemente attuale.
Alle origini della civiltà romana abbiamo due divinità: Marte, probabilmente il dio italico più importante (gli erano dedicate le famose “primavere sacre”), considerato dalla leggenda il padre di Romolo e Remo, e Venere, madre di Enea e progenitrice della gens Iulia a cui appartengono Cesare e Ottaviano.
Ritroviamo qui la polarità fra immunitas e communitas: Marte è colui che protegge dalle malattie e dalla rovina le comunità di agricoltori e pastori; Venere è l’energia della vita e della natura, capace di abbattere le difese innalzate dal principio di individuazione al punto che, come sottolinea Lucrezio, anche le belve feroci la seguono piene di desiderio dovunque essa voglia condurle.
3. All’inizio del V secolo d. C. Rutilio Namaziano, uomo politico e poeta latino di origine gallica, dedica a Roma, ormai prossima al crollo, un verso celebre che suona come un epitaffio: “Hai fatto di popoli diversi un’unica patria” (“fecisti patriam diversis gentibus unam“). Nel corso dei secoli l’Impero ha sì indebolito o a volte dissolto antiche comunità ma ha anche saputo assimilarle e ricomporle in una nuova armonia.
Creando non un melting pot debole e anonimo, come sta accadendo oggi nel caos della communitas globalizzata, ma una vera e propria unità nella differenza in grado di garantire una solida continuità alle istituzioni per mezzo millennio. Un numero immenso di funzionari, intellettuali, mercanti, legionari a cui l’impero deve questa sua longevità non sono di origine romana né italica.
Anche molti imperatori arrivano dalle province. Traiano e il suo successore Adriano sono ispanici, Settimio Severo un berbero-punico di Leptis Magna. Aureliano, Diocleziano e Costantino nascono nella regione balcanica, l’antica Illiria.
[continua]
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