Sulla decadenza della facoltà di Lettere
di LUCA MANCINI (FSI Roma)
Per secoli i letterati sono sempre stati visti come elementi potenzialmente rivoluzionari all’interno della società. Letterati e storici sono sempre stati tra le voci più critiche nei confronti del sistema sociale, eppure oggi si assiste ad una netta inversione di tendenza. Le facoltà di Lettere sembrano produrre perlopiù due categorie di persone: la prima, numericamente più scarsa, è quella di personaggi che addirittura si pongono come strenui difensori della società contemporanea, ossia dei veri e propri conservatori senza alcun spirito critico; la seconda è invece rappresentata da una sottospecie di finti rivoluzionari che, un po’ come in 1984, concentrano tutti i loro sforzi su battaglie politiche palesemente secondarie, se non addirittura al limite dell’inutilità. Questi ultimi lavorano principalmente per l’affermazione di svariati diritti civili e lo fanno anche con una discreta tenacia, mettendo completamente in subordine i diritti sociali. Tale prospettiva si rivela completamente funzionale al sistema socio-economico vigente e perciò per esso non è minimamente pericolosa.
La società attuale è sempre più individualizzata e le classi dirigenti liberali tendono a spezzettare costantemente il popolo in categorie sempre più piccole per renderlo più malleabile: è il classico caso di divide et impera di romana memoria. I diritti civili, per loro natura, non si occupano della totalità del popolo, ma solo di una parte specifica di esso; essi, per definizione, sono diritti particolari e non universali. Al contrario i diritti sociali, come suggerisce il nome, riguardano la società nella sua totalità, senza alcuna distinzione di genere o di etnia; essi sono diritti universali o potenzialmente tali. Lottare esclusivamente per i primi, subordinando i secondi, significa fare gli interessi di una parte ben precisa, probabilmente quella alla quale si appartiene o si pensa di appartenere, il che praticamente significa fare esclusivamente i propri interessi specifici, nella convinzione che essi siano il bene per l’umanità intera.
Una prospettiva che ricorda molto Adam Smith e il pensiero liberale, la quale invita esplicitamente a perseguire i propri interessi particolari nella convinzione che essi si armonizzeranno automaticamente con quelli universali, grazie ad una presunta “mano invisibile” che regola il tutto, mercato compreso, con risultati tangibili che ben si conoscono. A questo punto è evidente che lottare per i diritti civili significa condurre, consapevolmente o no, una battaglia liberale e, pertanto, non pericolosa per il sistema socio-economico attuale.
Tuttavia la domanda che ci si dovrebbe porre è: come è stato possibile trasformare i letterati dai critici più ferventi a mansueti strumenti della classe dirigente liberale? Com’è stato possibile privarli di questo spirito critico?
Probabilmente le cause sono molte e di vario genere, tuttavia è possibile che una di esse sia da individuare nei programmi di studio imposti dai docenti. Tali programmi tendono a trasmettere nozioni generiche, basilari nei primi anni e successivamente estremamente specialistiche, il che serve a rendere gli studenti degli idioti specializzati, poiché informatissimi su un argomento specifico, ma al di fuori del quale si perdono completamente. In pratica, la carenza più grave è costituita da una mancanza di elasticità mentale dello studente che non è in grado di analizzare un problema da diversi punti di vista. Egli ne conosce uno e lo difende con il fervore del neofita. Ovviamente tale mancanza non è da imputare agli studenti ma a chi dovrebbe guidarli nel percorso di studi, ossia i docenti, che costruiscono programmi di studio totalmente inadeguati a comprendere la società contemporanea, poiché privi di materie fondamentali, tre fra tutte: filosofia, economia e diritto.
In alcune università italiane la facoltà di Filosofia è stata staccata da quella di Lettere, con il risultato che nei programmi dei letterati la filosofia è diventata scarsissima, se non addirittura del tutto assente. Una prospettiva terribile, se si pensa che è proprio questa materia quella che garantisce l’elasticità mentale e lo spirito critico di cui si parlava sopra. La filosofia insegna a mettere in discussione tutto e questo non può essere mai un male, poiché, come insegnano Socrate e Cartesio, solo così si può raggiungere la verità. Coloro che seguono pedissequamente una dottrina sono dei religiosi e non dei filosofi.
Il diritto è quasi del tutto assente, mentre la sua importanza è lampante. Un letterato o uno storico dovrebbero innanzitutto comprendere la società nella quale vivono o quella che si propongono di studiare. Come è possibile fare ciò senza almeno degli elementi di diritto?
Tuttavia quella che sembra essere la carenza più grave è l’economia. Marx ha evidenziato come sia “il modo di vivere che determina il modo di pensare” e come, per usare termini marxiani, sia la struttura a determinare la sovrastruttura. Pertanto lo studio dei processi economici che determina il modo di vivere è fondamentale per comprendere la società stessa e il pensiero degli uomini che la compongono. Eliminando lo studio dell’economia dalla facoltà di Lettere si creano studiosi totalmente inconsapevoli del funzionamento del sistema economico capitalista o di altri sistemi economici passati. Questo li rende automaticamente non in grado di comprendere appieno la società attuale o quella che essi studiano. Invece, è palesemente necessario recuperare questo paradigma marxiano all’interno dei programmi di studio della facoltà di lettere per rendere maggiormente consapevoli gli studenti, la cui maggioranza, oggigiorno, non conosce nemmeno la differenza tra struttura e sovrastruttura. Questa prospettiva è, invece, completamente assente poiché nel corpo docente di lettere sembra esserci uno scarso interesse per le questioni economiche. Le loro ricerche si concentrano principalmente su fenomeni particolari (ad esempio nei dipartimenti di storia vi è molto interesse per gender studies, casi di microstoria, storie di minoranze et similia), che per loro natura sono molto simili ai diritti civili di cui si parlava sopra. Nel senso che tali fenomeni studiati risultano essere talmente particolari da rivelarsi secondari, se non del tutto ininfluenti ai fini del miglioramento economico-sociale.
A questo punto vengono alla mente le parole di Preve sui docenti universitari: “Non dimentichiamoci mai che, secondo la corretta impostazione di Bourdieu, gli intellettuali come gruppo sociale sono un gruppo dominato interno alla classe dominante. Gli intellettuali universitari hanno un guinzaglio lungo, perchè devono dare l’impressione di essere liberi opinatori, certo molto più lungo di poliziotti, militari, diplomatici, eccetera, ma hanno sempre un guinzaglio, anche se lungo. Se il gruppo dominante della classe dominante, e cioè le oligarchie finanziarie globalizzate a guida imperialistica USA, decidono che si deve archiviare lo Stato nazionale sovrano sulla moneta, è solo questione di tempo perchè i pagliacci del circo universitario ‘scoprano’ che le nazioni sono solo ‘comunità immaginarie'”. Probabilmente lo stesso discorso vale per l’impostazione marxiana degli studi o per lo studio del diritto o soprattutto della filosofia all’interno della facoltà di lettere: se le élites finanziarie ritengono pericolosi per esse questo genere di studi danno un altro indirizzo a quel filone e i docenti, ossequiosi, obbediscono diventando così un mero strumento per la propaganda liberale.
Chi ritiene che il compito dei letterati all’interno della società sia meramente ricreativo, ossia di allietare le persone con libri di vario genere più o meno gradevoli ne ha una visione completamente distorta: essi, invece, erano e devono tornare ad essere dotati di un forte spirito critico che permetta loro di mettere costantemente in discussione la società al fine di migliorarla. Come scrisse Marx, “i filosofi hanno soltanto variamente interpretato il mondo; ma si tratta di cambiarlo”: si può dire con certezza che lo stesso discorso vale anche per i letterati. Vi è la necessità di una letteratura militante che non interpreti semplicemente aspetti particolari del mondo ma che tenti di cambiarlo.
Viva la Repubblica Sovrana!
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