Italia-Libia, un legame ancora fortissimo
di GIULIETTA DI MONTEFELTRO
Sulla Libia il discorso è complesso, non va negato, ma [la situazione] non è drammaticamente irreversibile né atrocemente irreparabile, come viene presentata agli occhi dei lettori: per ENI stessa, come ammesso anche dai suoi servizi interni che si occupano di security, la Libia NON è da considerarsi una zona di crisi. Per chi volesse interessarsi del particolare rapporto privilegiato – tuttora privilegiato – tra Italia e Libia, segnalo due libri: Libia. Fine o rinascita di una nazione?, a cura di Karim K. Mezran, Arturo Varvelli; Petrolio, cammelli e finanza: cent’anni di storia ed affari tra Italia e Libia, a cura di Fabrizio Di Ernesto. Scoprirete da voi stessi come il Cane a Sei Zampe è ospite fisso a Tripoli, ma non solo, ed è un ospite che nessuno si sognerebbe mai di mandare via.
In Libia attualmente non ci sono solo Serraj e Haftar, come fanno pensare i media, ma c’ è un conglomerato di attori regionali variegati, di cui i media tengono poco conto e di cui in genere sottovalutano l’azione. Uno di questi attori regionali sono le milizie di Zintan, che hanno di recente scarcerato Saif Al Islam Gheddafi, e ovviamente le tribù amazigh e tuareg del Fezzan, che si sono divise il Fezzan in due parti.
Perché parliamo delle tribù? Perché Haftar sa benissimo, da libico, che senza l’appoggio dei capi tribù nessuno governa, in Libia. Pertanto, al momento la presenza di Saif Gheddafi, riconosciuto dalle tribù come erede politico del padre, è per Haftar sia importante che fonte di apprensione. Vale la pena ricordare che Al Sisi, patron di Haftar, è anche protettore dei Gheddafi – di Aisha specialmente – al Cairo.
Il Fezzan, per gli stati diversi dall’Italia e per le compagnie energetiche straniere diverse da ENI, è sempre stato un luogo ostile e abbandonato da Dio su cui è inutile puntare. Non è così. Oltre ad essere la casa della mitica Oasi di Zerzura, in cui l’armata del re persiano Cambise III si dice si perse nelle sabbie del deserto, ci sono progetti italiani sul Fezzan legati allo sviluppo dell’agricoltura e basati sullo sfruttamento dell’acqua fossile sotto il deserto, per cui già Gheddafi aveva costruito, con l’ aiuto italiano, il Grande Fiume Voluto dall’ Uomo.
L’Italia non sostiene solo Serraj, come dicono i media nostrani, ma ha sempre parlato con tutti gli interlocutori libici. La nostra storica posizione che ci viene da lontano, ancora dai tempi dell’Impero Romano nel Mare Nostrum, del resto ci impedisce di non essere aperti a qualunque rapporto diplomatico con i paesi del Mediterraneo e le loro diverse congerie etniche e tribali. A Roma di recente sono stati invitati i capi tribù del Fezzan, e subito si sono levati i cori di quanti dicevano che Macron invita gli esponenti ‘ di peso’, mentre l’ Italia solo i ‘beduini’. Non è possibile continuare a leggere considerazioni mediatiche di così scarsa visione perfino tra gli analisti geopolitici, o presunti tali.
Lascerei perdere da subito le sirene alla Luttwak, che tanto male fanno all’Italia: in questi giorni, Luttwak si è messo a sbraitare che l’Italia deve occupare la Libia. Non è il nostro modo di agire. La Libia, come diceva Paolo Scaroni, è come una seconda casa per noi. Certamente a volte ci sono delle tensioni, ma bisogna anche pensare che è un po’ il modo di fare invalso in Libia: quando si lamentano con l’ Italia, è perché sotto sotto vogliono qualcosa di più, o si aspettano che noi si sia più attenti a certi aspetti rimasti trascurati. Questo vale anche per Haftar, che da mesi cerca di incontrare i vertici dell’ ENI, proprio perché desidera un riconoscimento ufficiale, e vale anche per Saif e per le tribù del Fezzan.
L’ ottimo ambasciatore Perrone, che parla fluentemente l’arabo, non a caso ha detto giorni fa che terrà presente le istanze di Haftar: è da tempo che si parla di riaprire il consolato a Tobruch, oltre all’ ambasciata che già si ha a Tripoli. La percezione degli italiani tra i libici non è affatto negativa, da nessuna parte del paese, e anzi, a tutti i LIVELLI E OVUNQUE (ma proprio a tutti) l’Italia viene vista come il referente praticamente unico su cui si possa ancora contare.
I bombardamenti del 2011 affliggono ancora solo alcune zone periferiche, le grandi città sono però come Damasco oggi: si vive, si lavora, i bimbi vanno a scuola, e nelle parole dei libici quello che dà maggiormente fastidio non è certo l’Italia ma le faide tribali oltre che i jihadisti. Come dice Antonio De Martini, la Libia si è ‘riunificata’ a modo suo sulle questioni essenziali, come l’energia, la scuola, la sanità. L’ energia poi la forniamo a tutta la Libia proprio noi italiani tramite l’hub di Mellita.
La Libia manca di un capo unico, ma non di un assetto statale. Anzi, l’assetto statale va avanti anche senza capi. Venendo invece a fatti geopolitici riguardanti l’energia il paper più onesto trovato da tenere presente, datato ai primi di luglio, è questo a firma di Leonardo Palma. In particolare, cito la parte finale che riguarda l’Italia: “L’Italia in questo grande gioco mediterraneo è sembrata per molto tempo un vaso di coccio tra vasi di ferro, soggetta alla gravità politica altrui. A ben guardare, Roma invece ha saputo muoversi con il giusto protagonismo nella sua ex colonia, sigillando i propri interessi energetici in Tripolitania e sforzandosi di sterilizzare il conflitto all’interno delle tre regioni tramite accordi segreti mediati dai servizi, patti tra tribù e con i vicini algerini e tunisini.
L’ambasciata italiana è l’unica attualmente in funzione e alla guida della missione è giunto un diplomatico arabofono di lungo corso come Giuseppe Perrone; lo stesso generale Haftar sa perfettamente di avere bisogno dell’Italia – e dell’ENI – per un eventuale futuro ruolo politico e i russi non fanno mistero di sentirsi a proprio agio a lavorare con gli italiani. Inoltre, nonostante la crisi nei rapporti con l’Egitto, Roma ha a disposizione la carta degli Emirati Arabi Uniti con i quali intrattiene cordiali relazioni e solidi interessi commerciali e finanziari che le permettono, pur se a distanza, di mantenere capacità di manovra e influenza anche nell’area di gioco della Cirenaica. Un grande gioco di ombre nel Grande Medio Oriente.”
Stranamente, il “Corriere della Sera”, i cui toni sono sempre sorprendentemente, teatralmente drammatici quando si tratta di passare alle lagnanze in politica estera, qualche giorno fa ha finalmente, timidamente, accennato ad un barlume di verità: “ È importante la Libia? Ovvio. Non solo geopoliticamente ma anche economicamente. Possiede le maggiori riserve di petrolio e gas d’Africa, e l’Europa avrà sempre maggior bisogno di energia e di gas. Nello «scatolone di sabbia» di salveminiana memoria, però, l’italiana Eni si trova storicamente in posizione preminente. Da lì ricava oggi circa 350 mila barili di petrolio e gas, primo gruppo internazionale. Di più: il Cane a sei zampe negli anni dal 2011 in poi è paradossalmente stato una delle sole «istituzioni» del Paese con la Noc, la compagnia petrolifera che vende il petrolio, e la Banca centrale, che fa arrivare i proventi alle amministrazioni locali e alle milizie che «custodiscono» le infrastrutture. Il gas dell’Eni ha permesso alle centrali della Libia di fornire l’elettricità al Paese, cosa che garantisce ancora al gruppo italiano la sua posizione «speciale».”
L’Eni aveva annunciato l’ accordo con la Gazprom, in base al quale dava ai russi accesso ai campi di gas naturale in Africa del Nord, specie Elefant, in cambio di un aumento dell’accesso dell’Eni ai giacimenti di gas siberiano. Va da sé che l’ intervento di Obama in Libia al fianco di Sarkozy nel 2011 dipendeva anche da questo accordo. Attualmente, il giacimento Elefant, il più grande di Libia assieme proprio a Bar Es-Salam, è ancora in comproprietà con Gazprom, ma viene lavorato saltuariamente proprio per via dei combattimenti: non sfugge quindi a nessuno che lo Zar voglia al più presto rientrare in Elefant, da cui la sua generosa proposta, alcuni giorni fa, apparsa sui media arabi ma ignorata totalmente dalla stampa occidentale di aiutare l’ Italia nella questione migranti e di favorire una mediazione- stavolta vera- tra tutte le varie fazioni libiche in gioco.
Lo sfruttamento in Tripolitania dei campi di Bar Es-Salam, e conseguenti sviluppi sul gas, non escluderanno Haftar, sebbene siano incentrati nella zona offshore a mare, dove ENI e NOC [National Oil Corporation: la compagnia petrolifera nazionale libica, ndr]: già il 4 gennaio di quest’anno comunicavano che le esplorazioni erano andate bene. Il tubo Greenstream controllato da ENI al 75% e da NOC al 25%, sorvegliato anche dai nostri militari, arriva a Gela e da lì in poi Snam riceve il gas che viene smistato in Italia e anche Europa, perché Snam possiede anche una rete di distribuzione in Belgio e UK. Da qui potete capire cosa intende il Corriere quando scrive che ENI ha una posizione di privilegio in Libia: non solo per la rete di distribuzione energetica su tutto il territorio libico, vitale a mantenere in funzione la nazione nelle sue diverse parti, ma anche per l’approvvigionamento energetico europeo, dove l’ Italia è hub.
Il petrolio invece viene imbarcato sulle petroliere e raggiunge l’ Italia. Va notato che mesi fa, proprio dalla Cirenaica e da Ras Lanuf, importante snodo di partenza assieme a Es Sider, una petroliera partiva, nella notte, verso l’Italia, con un carico di ben 720.000 barili. Era la prima volta dal 2014 che il petrolio tornava ad uscire dalla Libia, e proprio dalle zone controllate da Haftar. All’Italia è destinato il carico maggiore, il 30% di tutto il petrolio libico. Questa posizione viene amplificata anche da Zohr in Egitto, dove proprio alcuni giorni fa ENI ha incontrato i vertici vicini al Al Sisi per gli investimenti che garantiranno al generale egiziano l’ indipendenza energetica.
E’ anche interesse di Al Sisi una Libia stabile perché non vi siano problemi alle porte dell’Egitto, data anche la strategicità di Suez per la Via della Seta cinese e per la partecipazione russa in Zohr. Macron può offrire di meglio, dal momento che in Libia non sta contribuendo affatto alla ricostruzione del Paese né, pare, abbia intenzione di stendere alcun contratto concreto che porti un poco di benessere ai libici? Non pensiamo proprio.
fonte: ilvelodimaya.org
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