Complottisti e anticomplottisti (2a parte)
di IL VELO DI MAYA (Stefano Sissa)
(Continua)
Gli anticomplottisti hanno buon gioco a ridicolizzare le tendenze paranoidi, le proiezioni inconsce e gli scivolamenti consistenti verso forme indebite di pensiero magico tipiche dei complottisti. Il complottista tende a forme schizotipiche di personalità e quindi potenzialmente ad isolarsi per quel che riguarda la sua vita privata in un mondo immaginifico e autoreferenziale; fino a quando, però, non trova situazioni che possano fare da collante ad altri simili a lui in modo da favorire delle proiezioni paranoidi collettive in direzione congiunta. Se questa socializzazione di istanze psichiche soggettive in altre epoche veniva realizzata attraverso sacrifici rituali di ‘capri espiatori’, oppure in tempi più moderni attraverso campagne di odio alimentate dalla propaganda di regimi politici autoritari, oggi i meccanismi di funzionamento della comunicazione in rete (che allo stesso tempo spersonalizzano ma fanno anche emergere istanze latenti della personalità che nell’interazione faccia a faccia o istituzionale verrebbero più contenute e controllate) creano facilmente catene mediatiche in cui far convergere e rialimentare in modo esponenziale le tendenze paranoidi di questi soggetti.
L’anticomplottista, tuttavia, irride il complottista senza rendersi conto di come anche lui fallisca assolutamente nella pretesa di avere una visione obiettiva della realtà. Rispetto alla prevalenza di meccanismi di difesa primitivi come nel complottista, nell’anticomplottista prevalgono forme più ‘evolute’, dal diniego, che è ancora una forma semi-primitiva, fino alla rimozione e alla razionalizzazione ad hoc. L’anticomplottista ha certamente ragione nel sostenere che non siamo tutti costantemente vittime di un mega-complotto della Spectre; tuttavia sbaglia profondamente a negare che la società sia innervata in modo strutturale e assolutamente pervasivo da strategie non dichiarate di soggetti in competizione per il potere (economico, politico, mediatico, ecc.). Per intenderci: non è che tutto ciò che ci circonda sia un’unica e immensa congiura ai nostri danni; pensare questo è una sciocchezza ed è un prodotto di tendenze paranoiche; ma che in tutti i settori strategici della vita sociale operino dei soggetti di potere anche e soprattutto attraverso manovre occulte, condizionamenti indebiti, forzature, imposizioni e a volte persino atti criminali spesso impuniti, è una cosa talmente ovvia a chiunque abbia uno sguardo realistico e disincantato che non ci sarebbe nemmeno bisogno di discuterne. Nella lotta per il potere, che si svolge a molti livelli, non solo quelli più alti della politica mondiale, ogni competitor impiega razionalmente dei piani di cui non ha nessuna intenzione di rendere partecipi tutti gli altri. Per secoli si è ritenuto non solo una ovvietà, ma persino cosa giusta che vi fossero gli arcana imperii, ossia i ‘misteri del comando’. L’idea di fondo era che le decisioni cruciali del potere sovrano, in cui si esprime al massimo la sua discrezionalità, fossero prese in un gabinetto riservatissimo, perché a volte persino alcuni ministri del re potevano essere, magari perché aristocratici imparentati con l’alta nobiltà di altre nazioni, delle fonti di informazioni per il nemico. È veramente ingenuo chi crede che la gestione del potere, se pur venendo a patti con il sorgere di istituzioni formalmente democratiche, oggi abbia cambiato completamente registro. Le decisioni importanti vengono prese ancora in luoghi ben appartati, come sa bene chi si occupa di politologia seriamente, anche se magari non lo dichiara in TV, per ovvie ragioni. Diciamo che vi è stato per qualche secolo una tendenza storica ad acquisire una maggiore trasparenza dei processi deliberativi; tendenza che ha avuto un trend complessivamente positivo se pur con alti e bassi fino al Novecento inoltrato, ma che non ha mai nemmeno lontanamente conseguito l’obiettivo della reale trasparenza del potere. Mai. Inoltre, negli ultimi decenni è chiaro come tale tendenza si sia addirittura invertita, in virtù della crisi della rappresentanza democratica e delle esigenze di gestione dell’insicurezza globale (terrorismo, immigrazioni massicce, ecc.), a volte anche strumentalizzate e alimentate dagli stessi apparati di potere proprio al fine di ridimensionare le richieste di accountability da parte della base popolare.
L’anticomplottista denuncia non senza ragioni l’ingenuità del complottista, ma non sa o finge di non sapere che in effetti ogni gioco di potere prevede sempre la messa in campo di tranelli, agenti segreti, minacce, corruzione, diffamazioni, usi politici della giustizia penale, campagne stampa orchestrate ad hoc, persino omicidi mirati, a volte fatti passare per semplici incidenti o suicidi, ecc. Tutto ciò è la norma dell’agire strumentale in vista del potere; in certi regimi accade in modo sistematico, in altri no, ma comunque accade in forme più accessorie e complementari alle forme pubblicizzate di competizione per il potere. E chi partecipa alla lotta per il potere a certi livelli lo sa benissimo; e infatti cerca di tutelarsi da rischi estremi. In realtà di norma anche gli anticomplottisti che abbiano un po’ di competenze storiche ammettono che sia così, ma – sorprendentemente – relegano queste pratiche sempre a momenti del passato, anche relativamente recente, oppure ad altri regimi politici che non siano quello di appartenenza. Quanti di loro non hanno problemi ad ammettere che dietro all’uccisione di Kennedy ci fu effettivamente un vasto complotto o che molti gruppi terroristici degli anni ’70 in Italia fossero infiltrati e manovrati dai servizi segreti italiani e statunitensi nella logica della ‘strategia della tensione’? Eppure escludono categoricamente che fenomeni simili avvengano anche oggi all’interno della società di cui fanno parte. Ho detto “sorprendentemente”, ma in vero tutto ciò non deve affatto sorprendere. L’anticomplottista, per come ha configurato la sua strategia di padroneggiamento, non può tollerare di pensare che effettivamente molto di ciò che accade al mondo accade sopra la sua testa senza che se ne renda conto e senza che lui abbia alcuna incidenza su tutto ciò. L’anticomplottista cadrebbe in una condizione di ansia angosciosa se pensasse che effettivamente la sua percezione di una società tutto sommato abbastanza ordinata, affidabile e rassicurante è, in fondo, surrettizia. Poiché ciò che va tutelato per lui è il senso di rassicurazione, gli occorre pensare che tutto sommato la società funzioni in modo per lui computabile, che le sue istanze, all’occorrenza, siano prese in considerazione, che mostrare di avere un comportamento istituzionalmente corretto sia già di per sé garanzia di non subire mai conseguenze negative: tutte convinzioni certamente utili a vivere più sereni, ma assolutamente infondate, a ben guardare. Questa sindrome, prodotta da meccanismi difensivi di razionalizzazione, viene definita dallo psicologo Lerner “teoria del mondo giusto”, ossia la presupposizione indebita, ma efficacemente consolatoria, che perlomeno nella società di appartenenza, tutto sia regolato da validi criteri di opportunità, perciò “chi non fa nulla di male non ha nulla da temere” (confronta il vecchio adagio: “male non fare, paura non avere”).
Dunque mentre la visione del mondo del complottista si basa su di una sospettosità estrema caratterizzata da ideazione paranoide, quella dell’anticomplottista si basa su una fiducia non problematizzata e piuttosto infondata verso il funzionamento del mondo sociale. Questa sensazione di fiducia diffusa, se pur poco giustificata, ha ricevuto nel corso della storia differenti fonti di legittimazione e di garanzia: la tradizione incarnata in istituzioni religiose, l’operato burocatico-legale dello stato moderno, la vigilanza da parte della stampa e dell’opinione pubblica. Queste istituzioni hanno, però, progressivamente perso di credibilità agli occhi della maggioranza della popolazione nei tempi odierni, per ragioni che non stiamo qui a esporre. Oggi quindi l’agenzia più accreditata nel conferire fiducia verso l’ordine sociale è quella che viene denominata semplicisticamente come “La Scienza”, mentre sarebbe opportuno designarla come “apparati sociali tecnico-scientifici e biopolitici”, il che già comporterebbe un ben altro inquadramento della questione. Ma ciò sarebbe chiedere troppo all’anticomplottista: egli infatti si appella alla scienza brandendola come feticcio ideologico presuntamente dotato di risultati pressoché definitivi e univoci, senza avere competenze sufficienti a valutare processi di ampio spettro di cui peraltro non può testare direttamente le risultanze, in quanto appannaggio esclusivo di team attrezzati, dedicati e opportunamente finanziati di cui non fa parte. Inoltre non coglie, non avendo sufficiente attrezzatura epistemologica e metodologica, che quando si parla di questioni storiche e sociali, cioè quando si tratta di valutare la presenza di strategie volutamente nascoste da parte di soggetti di potere, non si possono certamente applicare i requisiti protocollari delle hard sciences, ma si deve inevitabilmente ricorrere al cosiddetto paradigma indiziario e ai criteri probabilistici che caratterizzano le scienze storico-sociali, di cui occorre avere contezza, ma che ben pochi possiedono, suddivisi come sono tra una formazione scientifico solo naturalistica o una formazione umanistica non scientifica.
Le strategie di potere, ovviamente, non riguardano solo le istituzioni politiche, ma anche i poteri finanziari, le grandi aziende, i gruppi di pressione, il controllo della grande stampa, i consorzi di ricerca scientifico-tecnologica e le associazioni corporative più o meno segrete (e che se rimangon segrete lo faranno per qualche valido motivo, no?). Dal punto di vista dell’ideale normativo di un soggetto razionale, sarebbe logico supporre che di norma, dietro alla superficie dei fenomeni sociali in cui agiscano poteri organizzati, vi siano sempre anche strategie occulte, ma questo non perché siamo in balìa di un unico megacomplotto mondiale di incappucciati, bensì per il semplice motivo che altri soggetti che agiscono razionalmente in vista del potere hanno tutto l’interesse pratico ad agire senza che i loro piani, anche i più spregiudicati e immorali, siano messi al corrente di tutti gli altri. Una certa disposizione dietrologica è perciò del tutto ragionevole, anche se occorre sempre misurare i sospetti e sforzarsi di comporre dei quadri indiziari sufficientemente plausibili e motivati. Ogni società complessa è strutturalmente oligarchica; ossia il potere tende a concentrarsi in piccoli gruppi organizzati che operano in parte pubblicamente, ma in larga parte con segretezza, senza farsi troppi scrupoli, perché laddove qualcuno se ne fa, altri più spietati si accaparreranno maggiori quote di potere. In ogni frangente, il soggetto vigile dovrebbe valutare quali soggetti sono probabilmente in campo, quali interessi hanno, quali mezzi hanno a disposizione per conseguire i loro obiettivi, dando per scontato che – laddove non vengano controbilanciati da altre forze – quei mezzi verranno quasi certamente sempre impiegati, anche laddove questi risultino indegni o dannosi per noi. Ed evidenziare costantemente tutto questo dovrebbe essere il compito di ogni cittadino consapevole e responsabile.
Alla luce di tutto questo, appare chiaro che il profilo cognitivo, oltre che quello morale, dell’anticomplottista non è realmente superiore a quello del complottista, come invece molti erroneamente credono. Ma c’è di più: l’anticomplottista non è socialmente meno pericoloso del complottista, e per certi versi lo è quasi di più. È vero che la mentalità complottista può facilmente generare ‘mostri’ e procedere poi a epurazioni, pogrom, linciaggi, processi sommari, ecc. È anche vero, però, che questi drammatici fenomeni sociali, per quanto assai gravi, di per sé rimarrebbero molto occasionali, in virtù del loro aspetto convulsivo; diventano invece sistematici proprio quando è all’opera un’organizzazione di potere che manovra, attraverso strategie non dichiarate, per capitalizzare, intensificare e rialimentare queste spinte distruttive in modo da canalizzarle astutamente verso qualche avversario o capro espiatorio. Potremmo dire insomma che questa dinamica psico-sociale complottistica diventa un pericolo diffuso per l’intera società solo quando siamo effettivamente in presenza di un qualche reale complotto, se pur non individuato dai più, come infatti spesso accade. Perciò se si applicasse con rigore e lucidità la regola del sospetto dietrologico, ossia se si fosse moderatamente e ragionevolmente ‘complottisti’, si potrebbero arginare questi pericoli, smascherando con più facilità certe trame perverse realmente esistenti e che a volte parassitano la spontanea tendenza alle ingenuità complottistiche. Che è il contrario di quanto accade di solito, nella misura in cui la maggioranza applica invece il paradigma rassicurante del “mondo giusto”, tipico degli anticomplottisti, secondo cui non è possibile che nella propria società di appartenenza le pubbliche autorità o altri soggetti titolari di potere siano realmente all’opera per realizzare fini così mostruosi.
L’angoscia che fa capolino nella mente dell’anticomplottista appena si mette in discussione il suo atteggiamento è talmente forte che reagirà ai sospetti complottisti prima con l’indifferenza e l’irrisione, ma ben presto, qualora le voci critiche aumentino (a prescindere che siano fondate o no) con una veemenza impressionante, con l’ostracismo, con l’esclusione dalle possibilità di carriera negli apparati, con la diffamazione, con l’insulto, con accuse infondate e infamanti. A un certo punto, paradossalmente, si compie una sorta di rovesciamento di ruoli. Gli anticomplottisti si impegneranno in campagne pubbliche al fine di evidenziare la mostruosità dei complottisti, cui presto saranno addebitate le cause degli stessi problemi che questi ultimi, in modo più o meno plausibile, additavano. Si formerà insomma un fronte compatto di anticomplottisti inclini a credere che esista una sorta di complotto ordito dai complottisti, percepiti come pericolosissimi in quanto avrebbero un’influenza determinante nella società, in grado di ostacolare seriamente il progresso scientifico, lo svolgimento delle normali procedure democratiche, l’esercizio collettivo della razionalità e il mantenimento di un corretto ordine sociale. Anche questo esito parossistico non deve stupire chi ha adeguate nozioni di psicologia dinamica. Infatti, sotto il nucleo di personalità ‘ben adattato’ dell’anticomplottista, caratterizzato da difese ‘nevrotiche’, permane più nascosto un nucleo di personalità più atavico, potenzialmente ‘psicotico’, caratterizzato, come nel complottista, da meccanismi di difesa primitivi. Perciò quando l’anticomplottista percepisce inconsciamente che le proprie difese normali sono messe in tensione, le difenderà a tutti i costi, a prezzo di allontanarsi dall’obiettività ancora più del complottista, e – all’estremo – farà emergere le faglie critiche della sua strutturazione di personalità, entro la quale operano gli stessi meccanismi da ‘pensiero magico’ del complottista. Per questi motivi l’anticomplottista è tra i due il soggetto più dannoso per la società: non solo impedisce di mettere a tema alcune questioni che riguardano le forme di potere occulto che a volte sono effettivamente presenti nella società (anche se non nella forma iper-semplificata e paranoidea che avanza il complottista); ma è anche più difficile portarlo ad un livello di esercizio della razionalità adeguato. Infatti mentre si può sempre sperare, con un serio e faticosissimo lavoro di educazione al self-monitoring di fare evolvere gli script mentali del complottista, caratterizzati da meccanismi difensivi primitivi, verso forme più ragionevoli e empiricamente controllate della sua sospettosità, l’anticomplottista ha la presunzione di operare già al massimo possibile del functioning cognitivo umano, laddove in realtà ha soltanto sovrapposto ai meccanismi di difesa primitivi altri meccanismi di difesa più evoluti, la cui destrutturazione, per quanto in linea di massima auspicabile in vista di un migliore sviluppo cognitivo e morale, viene percepita dal soggetto con sgomento come un mero regresso al suo nucleo fondante psicotico, e perciò da evitare a tutti i costi.
Fonte: http://www.ilvelodimaya.org/2017/08/26/complottisti-e-anticomplottisti/
Commenti recenti