Catalogna, piano di disgregazione o no?
di JACOPO D’ALESSIO (FSI Siena)
E’ importante basarsi prima di tutto sui fatti, le dichiarazioni, i risultati elettorali di un referendum, le percentuali dei votanti, ecc.
Personalmente, non mi hanno affatto stupito le recenti dichiarazioni della UE, che in questo particolare momento storico siano in difesa dello Stato spagnolo e della sua sovranità. Mi riferisco alla giustificazione de “l’uso proporzionato della violenza” come riferisce questo articolo di Sicurezza nazionale.
E questo perché anche là dove la UE fosse a favore di un piano di disgregazione degli stati nazionali in macroregioni, non è detto che il progetto sia stato già pianificato da tempo. Inoltre, non credo sia razionale pensare che tutti nella UE pianifichino tutto, altrimenti si potrebbe cadere nel rischio del complottismo.
Le forze indipendentiste catalane ci sono sempre state e partono prima di tutto da idee soggettive anche legittime, se le caliamo nella prospettiva delle minoranze popolari che ambiscono alla secessione, le quali prescindono ovviamente dagli ordinamenti nazionali e le loro costituzioni. Semmai, un ipotetico piano UE potrebbe sopraggiungere a posteriori cavalcando tale scia eversiva che viceversa ha origine storica, sopportata da recenti modelli di implosione nazionale, come è accaduto ad esempio nella guerra in Jugoslavia scoppiata nel 1991.
A mio avviso va evitato di ridurre tutto a tatticismo.
Le tensioni tra nord e sud Italia così come tra Catalogna e Spagna si allargano, si è già detto, a causa dell’austerità (vedi qui). Che poi il processo di disgregazione diventi utile ad un piano è molto probabile. Siamo infatti in una fase di transizione dove l’obiettivo di eliminare il welfare state, e gli stati nazionali nel loro insieme, solitamente viene applicato in modo graduale e censurato.
Se ci ricordiamo il metodo Juncker della ‘rana bollita’ è anche una questione di metodo.
Da una parte, infatti, la maggior parte degli indipendentisti catalani crede fermamente nel valore umano e sociale della propria indipendenza, il quale prescinde da interessi esterni, dunque anche europei. Dall’altra, bisogna capire che i processi di egemonia da parte della UE, appunto, non possono innescarsi sempre in modo diretto.
Per fare un esempio, nessuna istituzione oggi giorno si permetterebbe ancora di ammettere sfacciatamente che le riforme servono a creare una radicale riduzione dell’offerta di lavoro rispetto all domanda con il fine deliberato di mantenere la disoccupazione al 13% con l’obiettivo di favorire soltanto le aziende esportatrici ai danni della piccola e media impresa, degli artigiani, e del lavoro dipendente. Al contrario, ci viene ripetuto in continuazione che il ‘jobs act’ aumenta i posti di lavoro.
Dunque, la UE non è una dittatura ‘fascista’, come spesso a torto è stata accusata, anche perché molto banalmente non può usare strumenti immediati di coercizione. Mentre la sua forza violenta contro gli stati e le popolazioni agisce sempre in un modo estremamente mediato. Non si tratta inoltre di un organismo che ha concluso ancora il suo processo egemonico di eliminazione degli stati.
Come dimostra la presente vicenda gli stati invece, per fortuna esistono ancora, e la UE in questo frangente non potrebbe comportarsi in modo diverso dalle presenti dichiarazioni. Ciò non toglie tuttavia che un domani, in un stadio di successivo avanzamento di instabilità complessiva del continente, possa mettersi ad incoraggiare gli attriti intra-nazionali tra stato e regioni anche per mezzo di comunicati di senso opposto.
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