La Crescita e Lo Sviluppo
Ultimamente mi sono dedicato alla lettura e alla faticosa comprensione di un libro di Politica Economica.
Tecnicamente la Politica Economica è quella scienza che : “analizza il comportamento degli operatori pubblici, che sono quelli ai quali sono attribuite finalità di natura collettiva”.
I nostri amici entusiasti dei miracoli del libero mercato la considerano una bella favoletta costruita per chi ancora crede a Babbo Natale.
Invece è una scienza precisa, analitica e tecnicamente argomentata da illustri economisti e sociologi. Perché l’analisi dell’intervento del soggetto pubblico non è semplice quanto quella di un soggetto privato.
Il soggetto pubblico deve valutare ogni impatto che gli strumenti economici scelti per sostenere una precisa azione sociale hanno sugli altri elementi sociali presenti. Valutazioni chiaramente estranee in linea di massima alle azioni di un soggetto privato.
Tralasciando ovviamente una completa trattazione dell’argomento, volevo concentrarmi sulle definizioni dei concetti di “Crescita” e “Sviluppo” che vengono espresse in questo libro:
La definizione di Crescita è puntuale: Consiste nell’aumento del reddito e della ricchezza materiale di un paese.
Lo Sviluppo invece : “è un concetto più generale, che comprende quello di Crescita ma, in aggiunta, considera altre cause di mutamento economico e sociale. Si ha sviluppo se si assiste ad un miglioramento delle condizioni di vita della popolazione”
Distinguere i due concetti è importante perché non sempre la presenza del primo implica la presenza del secondo e viceversa. La prova è che nei paesi arretrati un aumento del reddito complessivo ( PIL, anche pro capite ) non corrisponde in molti casi ad un miglioramento delle condizioni sanitarie, di istruzione, di aspettative di vita. Bisognerebbe ricordarlo a chi ci sbatte in faccia l’attuale progresso economico spagnolo.
Alcune considerazioni delle Nazioni Unite datate 1990 si concentrano in una direzione per la quale gli ordinamenti sociali vanno giudicati dalla misura in cui promuovono il “bene dell’uomo” portando a definire lo sviluppo ( umano ) come quel processo di ampliamento delle possibilità di scelte della gente.
Seguono alcune ragioni per le quali, secondo la UN, il reddito non possa essere considerato un buon criterio di misura delle opzioni umane. Il reddito è un mezzo e non un fine ed un alto sviluppo può riscontrarsi anche a bassi livelli di reddito per esempio.
Dato quindi l’alto numero di indicatori che lo Sviluppo richiede a seconda della tipologia di analisi utilizzata si rende necessaria una semplificazione che sfocia nella definizione dell’ISU ( Indicatore di Sviluppo Umano ) che si incentra su tre elementi essenziali : la longevità, il grado di conoscenza, cioè il grado di alfabetizzazione degli adulti e lo standard di vita.
Parametrare i paesi secondo l’ISU rende la risultante classifica nettamente diversa da quella derivante dal raffronto dei PIL ( o PNL ). I paesi ex-URSS, l’Albania, Cuba, Ecuador si posizionano molto in alto in questa classifica. Mentre Emirati Arabi e paesi sub-sahariani precipitano nelle retrovie.
Risulta quindi, da questa veloce analisi, che parametrare gli obiettivi di Sviluppo di un paese alle azioni di sostegno all’occupazione può non essere un’analisi corretta di Politica Economica. O perlomeno non ne rende esaustiva l’azione.
Primo perché, come abbiamo visto, una piena occupazione è certamente propedeutica allo Sviluppo ma non ne assicura la progressione, secondo perché le diseguaglianze di reddito interne possono incidere fortemente sui risultati di Crescita e terzo perché la prospettiva di quest’ultima è dinamica nel tempo, il che rende impossibile fissare un livello di reddito effettivo per il conseguimento della piena occupazione. Diviene quindi necessario ricalibrare progressivamente gli obiettivi di Crescita.
Questo è il concetto di “Reddito Potenziale” definito da A.M.Okun nel 1962.
Viene definito come : “Il reddito ( o prodotto ) che è possibile ottenere in un periodo di tempo con il pieno utilizzo delle risorse fisiche e umane”
Okun ne evidenzia il carattere dinamico attraverso una spiegazione limitatamente matematica. Il Prodotto (Y) è dato dal prodotto medio per ogni occupato ( π ), dal complemento a 1 del tasso di disoccupazione ( N/FL numero di occupati diviso forza lavoro ), dal tasso di partecipazione ( FL/P dove P è la popolazione ) e dalla popolazione stessa.
Quindi :
Y=π *N/FL *FL/P *P
Vengono evidenziate con questa espressione quattro grandezze ( ridotta l’equazione risulterebbe Y=πN ma non ci direbbe molto a riguardo ) dinamiche nel tempo.
La spiegazione di tale legge sta tutta in questa analisi :
“La formula ci consente di capire perché non esiste proporzionalità tra variazione del reddito e variazione del tasso di disoccupazione: anzitutto se il reddito ed il tasso di attività sono costanti, il rapporto tra occupazione e forze di lavoro si riduce, per il semplice fatto che la produttività e la popolazione tendono di norma a crescere nel tempo; la riduzione del rapporto tra occupazione e forze di lavoro implica poi, l’aumento del tasso di disoccupazione. Il reddito deve aumentare in misura superiore alla crescita della produttività e della popolazione ( che rappresenta il trend di lungo periodo di crescita del reddito ) affinché si abbia una riduzione della disoccupazione”
Soprattutto l’ultimo periodo dell’analisi deve essere ben compreso, soprattutto da chi lega il benessere sociale alle meraviglie del liberismo.
La legge di Okun è soprattutto una legge empirica, una regolarità che lega il tasso di disoccupazione con la variazione del PIL reale.
Alcuni dati possono risultare illuminanti.
Con riferimento agli USA, è stato stimato un rapporto intorno al 2,5 a 1 fra aumento in percentuale del PIL e riduzione percentuale del tasso di disoccupazione. Cioè, per ridurre il tasso di disoccupazione dell’1% il PIL degli Stati Uniti deve aumentare del 2,5% in più rispetto al suo aumento fisiologico di lungo periodo ( aumento legato, ricordiamolo, all’aumento della popolazione ).
Nel caso dell’Italia, è stato stimato che il rapporto si aggiri intorno all’1,4% mentre il trend di lungo periodo risulta essere del 3,5%. Da questi dati si evince che per ridurre la disoccupazione dall’attuale 12% ad un frizionale 4%, il PIL dovrebbe aumentare annualmente di quasi il 5% per 8 anni consecutivi.
Qualcuno ha avvisato Renzi?
Non sono solito prodigarmi in complimenti ma questo è davvero uno dei migliori post di politica economica che abbia mai letto. Ottimo!
Grazie, ha pero’ fatto tutto Acocella. Io mi sono limitato ad esporre i suoi concetti. Comunque la Politica Economica andrebbe valorizzata di piu’ nel discorso generale attuale.
E’ la politica che dovrebbe essere valorizzata, perchè è la politica che attua le scelte che conducono ad uno sviluppo e ad una crescita ” mirate”. Senza obiettivi politici ed azione politica il libero mercato porterà ad uno sviluppo ed ad una crescita ” incoerente” con obiettivi di equità, redistribuzione che dovrebbero essere gli obiettivi propri della collettività nazionale.
C’è anche un’altro modo di interpretare la legge di Okun, ancora più preoccupante. Per ogni punto di disoccupazione aggiuntiva ci si deve attendere un calo del PIL che va dal 2 al 4% a seconda della produttività marginale del lavoro del paese osservato.
E’ da ricordare che l’obiettivo (sempre a chiacchiere), di Renzi e dei suoi consiglieri economici, sarebbe quello di portare il tasso di disoccupazione attuale ad un livello pari al tasso naturale, di circa il 10%, tramite riforme strutturali che dovrebbero (secondo loro) portare il sistema ad un livello superiore di efficienza. I risultati reali di questo processo sono sotto gli occhi di tutti, meno che degli elettori che, come prassi, individuano le cause di questo avvitamento in fenomeni di natura marginale o di scarsa reale influenza. Temo che la correttezza formale dell’analisi economica andrà sempre a schiantarsi contro l’ignoranza diffusa in temi economici e la forza di chi controlla l’informazione.
Lo ha avvisato l’Europa, ricordandogli che doveva tassativamente stare nel 3% deficit/PIL. La soluzione, e’ stata raggiunta grazie al ragioniere di Arcore, gonfiando il PIL con il sommerso… un falsetto di bilancio che non agevola affatto l’occupazione.