Moriori e Maori
Prendo spunto dallo straordinario saggio antiprogressista di J. Diamond [1 e 2] per parlare di alcune facce del Progresso che non vengono mai sufficientemente menzionate, né, di conseguenza, adeguatamente valutate. Ovvero del rapporto che le civiltà progressiste hanno (avuto) nei confronti delle società antiprogressiste, e di come inesorabilmente il destino di queste ultime abbia troppo spesso esiti fatali.
I Moriori erano una tribù di Maori che, allontanatasi dall'attuale Nuova Zelanda si stabilì nell'isola di Chatman vivendo come cacciatori-raccoglitori. Da notare che l'isola è più a sud della Nuova Zelanda e quindi meno ospitale a causa delle temperature più rigide.
Essere cacciatori-raccoglitori significa, a tutt'oggi, pochissima tecnologia e pochissime guerre. Stabilità sociale, assoluta parità dei ruoli. Ricorso a tecniche per il controllo demografico.
Dice Jared Diamond ("Armi, acciao e malattie") che alcuni marinai di una nave australiana, dopo avere visto il paradiso di Chatman, ne parlarono con i Maori i quali erano invece degli agricoltori, non avevano nessun controllo demografico e regolavano l'accesso alle risorse attraverso l'uso della guerra che fece loro sviluppare un'adeguata tecnologia. Bene, anzi male, perchè un bel giorno i guerrieri Maori (800 circa) si imbarcarono per andare a conquistare quel paradiso.
I Moriori, interpretando correttamente le loro poco pacifiche intenzioni, erano addirittura disposti a condividere le loro risorse.
Ma la parola condivisione non era contemplata nel bellicoso vocabolario Maori.
Era il 1835, non molto tempo fa.
I nuovi arrivati massacrarono i Moriori: alcuni vennero schiavizzati, altri uccisi e altri divorati. Un sopravvissuto ricordò: “I Maori cominciarono ad ucciderci come pecore…eravamo terrorizzati, fuggimmo verso il bosco, nascondendoci in buche nel terreno e in qualsiasi altro posto che ci permettesse di evitare i nemici. Fu inutile: fummo scoperti e molti furono uccisi, senza distinzione tra uomini, donne e bambini".
Dal canto suo, uno dei guerrieri Maori spiegò: "Prendemmo possesso…secondo i nostri costumi e catturammo tutti. Nessuno scappò".
In seguito all'invasione, ai Moriori fu proibito di sposare o avere figli con altri Moriori. I sopravvissuti furono resi schiavi dei Maori sopraggiunti. La gran parte delle donne ebbe figli dai nuovi padroni Maori. Una piccola parte di esse finì con l'andare in sposa a Maori o a bianchi europei. Nel 1862 rimanevano ormai solo 101 Moriori su una popolazione originaria di circa 2.000 unità. L'ultimo individuo purosangue, noto con il nome inglese di Tommy Solomon, morì nel 1933.[3]
Ecco un esempio terribile ma lampante di cosa intenda Diamond quando dice che l'agricoltura fu la molla scatenante delle divisioni sociali, delle discriminazioni e del sessimo. Due tribù della stessa etnia (polinesiana), una delle quali segue il Progresso e si dedica all'agricoltura, ed un'altra che non ne vuole sentire parlare e si allontana per continuare la vita secondi i canoni tradizionali dei cacciatori-raccoglitori.
La prima sfama più bocche, ma per farlo deve mantenere una elite di parassiti (capi tribù, chiamati Rangatira), mentre la maggior parte della popolazione era Tutua (gente comune) o Mokai (schiavi)
La casta dei guerrieri ed il loro dio della guerra Tumatauenga rappresenta un punto focale della società Maori, mentre era assolutamente inesistente tra i Moriori.
Incredibile fu l'escalation bellica Maori, riconducibile, appunto, all'adozione dell'orticoltura nel periodo classico (1300-1500) e dovuta all'aumento demografico e alle aumentate competizioni per le risorse: armi sempre più sofisticate e con significati esoterici (pounamu), villaggi fortificati (pā), le più grandi canoe per uso bellico mai costruite (Waka taua), cannibalismo sempre più frequente.
La più grossa battaglia mai vista su suolo neozelandese fu quella di Hingakaka, dove diverse tribù Maori si fronteggiarono alla fine del XVIII secolo. Si parla di circa 10.000 guerrieri schierati, con migliaia di morti da entrambe le parti.
Si sviluppa anche l'apparato metafisico. Tapu identifica tutto ciò che è sacro ed inviolabile: il cibo del capo (che non poteva essere mangiato da un appartenente agli strati inferiori della società), la sua stanza ed i suoi vestiti ad esempio. Danze (haka) per propiziarsi l'esito delle battaglie (peruperu) oppure per motivare i guerrieri (ngeri).
Tale escalation fu però utile ad affrontare l'imperialismo inglese, che non riuscì mai a conquistare i territori Maori, e culminò con il trattato di Waitangi in cui i due bellicosi contendenti arrivarono ad accordi di reciproco rispetto.
Di tutt'altra valenza e con risultati totalmente diversi fu invece l'incontro con i Moriori, cugini pacifici che non avevano né armi né l'abitudine a ricorrere all'uso della forza per risolvere le problematiche legate all'accesso alle risorse ambientali.
Semplicemente per questi ultimi la guerra non era un'opzione e la violenza dell'uomo sull'uomo allo scopo di garantirsi maggiori risorse, un'ipotesi mai valutata.
Gli interrogativi che questi episodi fanno emergere sono parecchi. Tra tutti: qual'è la relazione tra la densità di popolazione e l'aumento delle tecnologie ad uso bellico?
Un guerriero Maori viveva con più insicurezze rispetto ad un pacifico Moriori e per questo aveva costante bisogno di rituali metafisici (haka, pounamu)?
La tolleranza è sempre un valore comunque?
[1]https://www.appelloalpopolo.it/?p=3533
[2]https://www.appelloalpopolo.it/?p=3654
[3]http://it.wikipedia.org/wiki/Moriori
Caro Tonguessy,
ma questo non dimostra nulla.
Potrei citare tantissime popolazioni agricole che non combattevano e vivevano a lungo e in pace come gli Hunza del Pakistan.
Per me è una forzatura dire agricoltura=declino da una condizione tipo Eden.
Ma esiste la traduzione italiana di questo saggio? Conosci "liberi dalla cività" di Enrico Manicardi? Dice le stesse cose di Diamond. Che poi dicono le stesse cose di Zerzan.
Caro/a serpe,
si tratta di decidere se questo episodio rappresenta un'eccezione o una regola.
Il più grande sterminio di massa mai avvenuto è quello degli amerindi. In gran parte cacciatori-raccoglitori, le stime del loro eccidio variano dai 100 ai 250 milioni. Per mano di noi europei, dediti all'agricoltura e alla pastorizia (la maggior parte di quelle vittime fu causata da malattie nate nei nostri allevamenti). Giusto per fare un esempio di maggiore portata.
Questi scritti (almeno io li interpreto così) non intendono dimostrare che precedentemente all'agricoltura esisteva l'Eden. Vogliono solo far capire come si muovono e sviluppano le varie civiltà, quali valori vengono portati avanti nelle loro culture e, magari, tentare un approccio multidisciplinare (antropologico, storico, psicologico, sociologico, teologico, etc) alle radici del nostro attuale malessere.
Si potrebbe addirittura ipotizzare che tale malessere non esista. In fin dei conti abbiamo più auto e telefonini di tutta Europa. Basta intendersi.
Da parte mia è comunque chiaro che l'umanità oggi ha da tempo passato il punto di non ritorno per quanto riguarda la scelta: le terre a disposizione non sono sufficienti a mantenere 7 miliardi di cacciatori-raccoglitori. Il fatto è che comunque oggi l'agricoltura (settore primario) viene vista come una scelta antimoderna, o antiprogressista, immersi come siamo nel rassicurante brodo del terziario avanzato. Si lavora in banca e se si risparmia parecchio ci si compra una casetta singola con giardino, che era in realtà una cosa assolutamente normale per un cacciatore-raccoglitore, specifica Marvin Harris con il suo tipico acume.
Impensabile quindi essere così antiprogressisti da ricorrere a stili di vita addirittura antecedenti all'agricoltura. Eppure è una considerazione che dobbiamo, come atto di riconoscimento e rispetto, verso i nostri lontani avi, che, sottolinea Diamond, per la quasi totalità del tempo vissuto dall'Uomo l'hanno praticata con successo.
Non sempre sviluppo, civiltà e agricoltura sono sinonimi di divisione in classe della società. A tale proposito consiglio http://www.robertosidoli.net/?page_id=131
Di Diamond ho letto l'opera citata nella'rticolo, Collasso e il Terzo Scimpanzé. Francamente, non mi sono mai accorto che fosse anti-progressista.
Continuo a credere che la lettura di questi saggi è interessante, perché abbatte alcune certezze e tuttavia rischia di essere fuorviante.
Si tratto' di errore? Ossia di una falsa rappresentazione della realtà (futura) che sarebbe derivata dall'agricoltura e dalla pastorizia? Per ogni popolo vi fu, insomma, una delibera del assemblea degli anziani? O si imitò il singolo membro che aveva deciso di allevbare un po' di pecore (o simili) e piantarsi vicino casa alcune piante che altrimenti avrebbe dovuto cercare molto lontano dal luogo in cui viveva? O fu la volontà di fermarsi in un luogo, di scegliere una valle e di dire: io vivrò qua; questa sarà la mia casa. O fu anche la necessità di difendersi dagli aggressori. Necessità di creare una organiuzzazione per essere più forti nei confronti dei popoli ostili. La nostra identità si determina anche in funzione degli altri e dei nemici.
Tu, in particolare scrivi: "Tale escalation fu però utile ad affrontare l'imperialismo inglese, che non riuscì mai a conquistare i territori Maori, e culminò con il trattato di Waitangi in cui i due bellicosi contendenti arrivarono ad accordi di reciproco rispetto." Mi sembra un'ottima ragione per ammirare i Maori anziché i Moriori.
E poi come mai nessun popolo è deliberatamente tornato in dietro?
In verità io ho a cuore sia la "cultura" (compreso il sacro, il religioso, l'organizzazione, che sempre comporta qualche gerarchia e qualche scelta), sia la "natura" e non credo che il problema stia nella dialettica tra i due termini. Il problema è che la suprema regola del capitalismo – il capitale si deve rivalutare – calpesta la natura e uccide la cultura. E l'uomo diventa merce, diventa stupido, diventa arido, diventa dipendente da oggetti, diventa vile (magari noi avessimo lo spirito guerriero dei Maori), crede che siano importanti le informazioni anziché le riflessioni, ecc.
Bene, il dibattito si fa interessante.
@Claudio:
leggerò l'articolo linkato. Forse porta elementi nuovi che contraddicono quanto scrive Diamond nel suo saggio da me tradotto. E forse quest'ultimo non è un antiprogressista. Sicuramente lo è Zerzan, che ne sposa le tesi.
@Stefano:
chiarire quali siano state le cause del passaggio all'agricoltura è opera ardua. La teoria di Diamond è che l'uomo si vide costretto a scegliere tra risorse "garantite" e successive stratificazioni, e risorse non garantite. Quando si sceglie la prima soluzione si imbocca la strada della sovrappopolazione, con conseguenze drammatiche per chi invece ha optato diversamente. Il caso Moriori-Maori ne è un esempio lampante.
Alla domanda come mai nessun popolo sia mai tornato indietro penso di avere già risposto: occorrono circa 10kmq per individuo. Fai due conti di quanto numericamente sfavorevole sia il rapporto popolazione/territorio e trovi la facile soluzione. Quel punto di non ritorno è stato già da lungo tempo passato.
Il capitalismo non è un frutto culturale/sociale delle società dedite alla raccolta e caccia. Semmai, in nuce, delle società agricole. L'accumulo e lo stoccaggio dei raccolti (e conseguente loro gestione da parte delle elites) è una tipica modalità sociale dell'agricoltura, poi amplificata nel passaggio all'industria, ed infine divinità nel modo della finanza attuale. I passaggi mi sono molto ben chiari.
Certo, il passaggio dal mondo feudale dell'agricoltura a quello industriale prima e finanziario poi ha enormemente enfatizzato la quantità dell'accumulo. Ma è solo un problema di quantità, non di qualità.
Sull'ultima questione (ed in realtà la più delicata e spinosa di tutte) vale l'ultima domanda che pongo nell'articolo: la tolleranza è sempre un valore comunque?
Non ho la risposta ultima, l'analisi esaustiva. Posso solo dire che le due cose sono in antitesi per quanto riguarda il perenne stato d'allerta e di tensione che la belligeranza comporta rispetto a chi invece ha ben poche cose da pensare e da fare. Vengono in un caso enfatizzati una serie di atteggiamenti di sostegno (metafisica e tecnologia) e nell'altro invece no. La domanda rimane: i Maori si sentono ugualmente felici di avere sterminato i Moriori e di avere sconfitto gli inglesi? E noi, di fronte a questi due (e forse inevitabili) aspetti del vivere belligeranti, come ci sentiamo?
Ciao Tonguessy,
Vedo che ormai la "questione agricola" a preso una piega drammatica per i poveri contadini…
Ho seguito abbastanza le tue traduzioni di Diamond e mi sono fatto una mia idea.
Ovviamente se dobbiamo parlare di agricoltura, dobbiamo parlare di territorio e quindi prendo in considerazione il nostro.
In effetti l'innovazione dell'agricoltura fornisce una propulsione sociale e intorno ad essa nascono le esigenze che tu descrivi, difatti se prendiamo in considerazione i primi del '900, la distribuzione delle terre era per latifondi ed il livello culturale e sociale delle masse era bassissimo.
Diversamente, la riforma agraria del 1950, con la ripartizione dei terreni espropriati ai grandi latifondisti, da l'inizio al periodo d'oro dell'economia in Italia, fu la più grande conquista sociale di tutti i tempi e i suoi effetti positivi ce li siamo portati fino agli anni 80.
Da quel momento in poi stiamo subendo la nuova colonizzazione da parte dei poteri finanziari delle multinazionali (USA) che, pagando la sovrapproduzione del grano ai loro agricoltori e disponendo di tecnologia derivante dall'industria militare (Monsanto), invadono il nostro mercato con prodotti a basso costo, mandando in crisi il settore.
Oggi, dati UE , il 40% dei contributi all'agricoltura (PAC) per i terreni aventi diritto, sono già riscossi, a titolo di avente diritto, da banche, multinazionali e finanziarie, questo dovrebbe farvi pensare che il 40% dei terreni è tornato in mano ai poteri forti, non più il conte o il marchese, ma amministratori delegati, consigli d'amministrazione, S.p.A.
Qui (da me), si muovono sensali che hanno mandato di cercare superfici da 50 ettari in su da acquistare per conto di facoltosi anonimi; l'agricoltura è in crisi e c'è chi vuole comprarti l'orticello.
Stiamo mettendo le lancette dell'orologio indietro, ma il problema non è l'agricoltura, anche la soluzione può trovarsi in essa…
L'agricoltura è il tramite per dare o togliere la sovranità alimentare ed economica alle masse costringendoli ad adeguarsi alle regole che di volta in volta sono funzionali al sistema gestito dalle elites: togliendo la risorsa dell'autonomia agricola in uno stato questo diventa dipendente totalmente per i tutti i suoi bisogni, inoltre deve necessariamente lavorare nei ruoli stabiliti da chi gestisce la "partita".
Una società non più di produttori, ma di consumatori.
Il problema quindi è sempre quello, l'economia, il lucro, l'accumulo.
Ti faccio notare che in tali condizioni nemmeno l'uomo cacciatore-raccoglitore è in grado di sostenersi e vivere dignitosamente.
In tempi non troppo remoti, dalle mie parti un raccoglitore-cacciatore andava a raccogliere foraggio per le sue bestie dentro i terreni di un titolato, una volta trovò sulla sua strada il guardaboschi che minacciò di denunciarlo alle autorità; il nostro, conscio del significato di questa minaccia, sollevò lo schioppo e lo freddò.
Nacque la leggenda del brigante Tiburzi.
Un saluto.
Caro Rasna-Zal,
mi sembri informato. Perciò ti espongo un mio breve ragionamento o meglio alcune intuizioni, cercando conferme o smentite.
Tu scrivi: "la riforma agraria del 1950, con la ripartizione dei terreni espropriati ai grandi latifondisti, da l'inizio al periodo d'oro dell'economia in Italia, fu la più grande conquista sociale di tutti i tempi e i suoi effetti positivi ce li siamo portati fino agli anni 80". Concordo
Ma l'invasione dei prodotti a basso costo è dovuta all'apertura dei mercati, ossia a norme giuridiche approvate dal nostro parlamento. L'idea che l'agricoltura di un paese debba servire a sfamare la popolazione di quel paese e che è preferibile pagare un prezzo più alto per prodotti agricoli (che so, una famiglia spende venti euro in più al mese per prodotti agricoli e quindi deve sacrificare cinque spine di birra 0,4 al ristorante al mese" non ci passa nemmeno per l'anticamera del cervello. Il dogma è concorrenza, perché questa riduce i prezzi e consente di consumare altro.
La nuova concentrazione delle terre è' dovuta anche al fatto che in molti hanno abbandonato l'agricoltura perché è un'attività dura. Specialmente tra coloro che possedevano fino a cinque o sei ettari I loro padri campavano con un lavoro bello ma duro. I figli (spesso) non hanno voluto..
Inoltre sono aumentati enormemente i costi sostenuti dai contadini e la domanda dei prodotti è gestita da pochi (con conseguente abbassamento dei prezzi). I costi, talvolta sono necessari e talvolta voluttuari. Trattori ad area condizionata dal costo stratosferico acquistati a leasing e quindi con altissimi interessi, sono davvero necessari?
Inoltre i contadini hanno imitato i piccolo borghesi. Può un contadino decidere di utilizzare il seminterrato per un grottino e non avere la rimessa delle patate, così che, alla raccolta, se i prezzi sono molto bassi è costretto a venderle, senza poter aspettare un paio di mesi?
Aggiungo che se per una o altra ragione i committenti non rispettano "i contratti (ho scoperto che tra i contadini i contratti non sono vincolanti. Difficilmente vanno in causa se il committenter è inadempiente), il contadino deve arrangiarsi.
A parte tutto ciò io conosco contadini che si lamentano perché non si guadagna più (con 35 ettari di terra) ma poi tra cocaina, che utilizzano durante il lavoro, cene fuori e alcol spendono oltre seimila euro al mese.
Caro Stefano Dandrea,
quello che sostieni sull'invasione dei prodotti low cost mi trova d'accordo, immagino che la location che prefiguri è più urbana della mia e in un ottica cittadina l'olio extravergine di oliva, debba necessariamente essere fatto mescolando a dovere olio di nocciola greco o di palma, clorofilla e un po di betacarotene, per essere venduto a 3 euro alla Coop; non è stato dimostrato che sia cancerogeno ed in compenso puoi avere a disposizione più denaro per acquistare il tuo IPhone4 a rate.
La nuova "concentrazione" delle terre è dovuta alla politica agricola comunitaria, una politica di sussistenza che non ha mai incentivato lo sviluppo legato alla materia prima, ma alla logica dell'integrazione, fino a pagare per tenere terreni in set aside (incolti), oggi il nuovo miraggio delle piantagioni di silicio con incentivo statale, la solita esasperazione delle disparità: l'agricoltore del "quartierino", si becca una rendita per vent'anni e gli altri cento si leccano la ….
L'aumento dei costi di produzione li conosciamo tutti, ma se stiamo prendendo in considerazione di tornare alla raccolta dei tuberi e delle bacche e a cacciare fagiani, allora potremmo anche tornare a riconsiderare l'uso dei buoi e della coltrina.
La decadenza dei valori sociali, la propaganda continua verso l'esistenza commerciale e la cultura della visibilità massmediatica provvede a chiudere il cerchio.
Per quanto riguarda le tue scoperte sui turlupinamenti a carico degli agricoltori, ti regalo una chicca.
Nel 1998 ero momentaneamente libero da impegni lavorativi, venni chiamato (per conoscenza diretta) all'ufficio di un sindacato degli agricoltori molto famoso, c'era da inserire dati della pac degli agricoltori nei pc per due mesi di lavoro.
Stando li, mi capitò di scoprire che la comunità europea pagava da alcuni anni e per un periodo totale di 5 anni, 900 mila lire di contributo per il cambio della contabilità da forfettaria a ordinaria (mi pare di ricordare così).
Il bello è che nessuno lo sapeva, la delegazione che fungeva da consulente, incassava il contributo su delega, e tutti comunque continuavano a pagare circa 400 mila lire di contabilità, oltre a 200 MLire di tessera socio per avere una contabilità con prezzo agevolato.
Questa è la condizione dell'agricoltura che conosco io.