Il dubbio
di CLAUDIA VERGELLA (FSI Roma)
Le teorie liberiste appaiono in contrasto con elementari principi di buon senso e, quando vengono applicate, la realtà che ne deriva, conferma quanto siano sballate e dannose. Chi si riconosce convintamente in questo giudizio viene spesso assalito da un dubbio: coloro che sostengono tali teorie sono ignoranti in buona fede oppure sono in cattiva fede e le sostengono a vantaggio di una parte ristretta della società?
Fa propendere per la prima ipotesi la constatazione che gli esseri umani tendono a conformarsi alle opinioni prevalenti del gruppo cui appartengono. Quindi, ad esempio, lo studente di una facoltà universitaria di economia dove i professori seguono le teorie liberiste, tenderà ad essere convintamente liberista. Inoltre, bisogna tener presente che l’uomo tende a credere a ciò che gli conviene. Questa propensione attenua la cattiva fede, cioè la consapevolezza di perseguire ciò che danneggia altri.
Non trascuro tali circostanze, ma, per lo più, individuo la cattiva fede, per almeno due motivazioni:
1) in talune circostanze risulta difficile credere ad una ignoranza o incapacità che dovrebbero essere estreme. Es. come si può davvero credere che le facilitazioni alle aziende a licenziare servano per incrementare l’occupazione delle forze lavoro? Eppure è stato detto.
2) la stessa istanza o lo stesso risultato vengono portati avanti con argomentazioni diverse, addirittura opposte, rendendo così evidente che il fine è voler affermare a tutti costi l’istanza in sé o il risultato in sé.
Le teorie neoliberiste mirano a limitare il perimetro di azione degli enti pubblici a favore del settore privato e per ottenere tale risultato sono state addotte motivazioni molto diverse tra loro. Secondo una prima versione, eliminando i vincoli al mercato, si sarebbe prodotta una tale ricchezza che, a cascata, avrebbe portato benessere a tutti. L’accettazione sociale delle misure normative è quindi stata indotta dalla speranza di un futuro migliore per tutti. Questa visione poteva far ritenere che il libero mercato e la democrazia potessero coesistere. La democrazia infatti richiede un largo consenso che il governo in carica può ottenere, giacché dichiara di voler adottare misure a favore di tanti. Questa narrazione, assai diffusa negli anni ’80/’90, è stata contraddetta dai fatti.
Quando è stato abbastanza evidente che il benessere promesso non era per tutti, ma al contrario si concentrava sempre di più nelle mani di pochi, tale narrazione è venuta a scemare, ma non al fine di evidenziare il fallimento del mercato e la necessità di tornare a mettere in primo piano il settore pubblico. Il fine perseguito è stato ancora l’allargamento del mercato e il suo liberarsi da vincoli ritenuti soffocanti. Ma questo risultato non è stato più sostenuto da promesse di benessere diffuso, ma dall’amara necessità di sacrifici. Per farli accettare si è puntato sulla colpevolizzazione per un precedente benessere fittizio, che rischiava di portare (anche in questo racconto, a cascata) catastrofi ai figli e ai figli dei nostri figli sui quali sarebbe gravato il peso di un debito pubblico insostenibile.
Sono stati chiesti sacrifici, promettendo come contropartita di evitare la catastrofe. Il risultato raggiunto è stato, anche in questa fase, l’avanzamento del settore privato con redistribuzione del benessere dal basso verso l’alto e un’ulteriore restrizione del numero dei beneficiari della ricchezza prodotta. Motivazioni diverse, stesso risultato. Questa fase è difficile da portare avanti perché basata sulle menzogne sul debito pubblico e sulla scarsità delle risorse monetarie e perché le masse, sempre più impoverite si accorgono che i sacrifici non valgono per tutti.
Diventano più forti: l’incompatibilità con la democrazia (i larghi consensi sono difficili da ottenere se molti sono poveri) e con l’istruzione di massa che può tenere vivo lo spirito critico con conseguente presa di coscienza di verità tenute nascoste. Questa fase è più che mai accompagnata da tagli alla spesa sull’istruzione. E proprio pensando alla scuola pubblica, risulta difficile credere alla ipotesi dell’ignoranza rispetto a quella della cattiva fede.
Con riferimento al punto 1, notiamo che sono state ultimamente portate avanti dalle forze di governo argomentazioni sul buon funzionamento della scuola talmente incompatibili con il buon senso (es. aboliamo il voto in condotta) che risulta assai difficile credere alla buona fede accompagnata da incompetenza. Persino se portate avanti da una Ministra ignorante e sgrammaticata. Con riferimento al punto 2 ci chiediamo: la riforma è stata implementata per la volontà di effettuare un contenimento alla spesa pubblica, peraltro ripetutamente dichiarato essenziale, o per la volontà di migliorare la scuola rendendola “buona”?
Le due istanze, incompatibili tra loro, sono state (a parole) portate avanti entrambe, il risultato ottenuto chiarisce ogni dubbio.
Ottimo articolo. Anche io propendo per la seconda ipotesi, quella della cattiva fede. Non è difficile constatare come i burattinai ordoliberisti, molto spesso, ricorrano a burattini ignoranti ed incompetenti per sostenere ed attuare i loro piani. Vedi ministra Fedeli.