L'ottimismo della volontà
di Luciano Fuschini Il giornale del ribelle
Proseguono i tentativi di definire un programma che qualifichi Uniti & Diversi come soggetto politico autonomo. Dopo le assemblee fondative, il seminario di Torino ha discusso e approvato un documento sulla Decrescita e il seminario di Roma ha discusso i temi della politica internazionale. Il tutto procede con molta lentezza e con crescente stanchezza, diciamocelo francamente. Il fatto è che cerchiamo di delineare in positivo una via d’uscita dalle strettoie di un’angosciosa crisi di civiltà, ma in realtà non ci crediamo. La formula gramsciana tanto citata in passato, quando Gramsci era di moda, “pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà”, è solo una frase a effetto. Se non c’è fede, se non c’è convinzione, se l’intelligenza stempera gli entusiasmi, viene meno inevitabilmente quella carica interiore senza la quale non ci si può avventurare in alcuna impresa, tanto meno quella di costruire un partito nuovo nel panorama di rovine. Ci sforziamo di credere in un qualche possibile rimedio, ma in fondo sappiamo che ci attende una catastrofe epocale.
Non alludo alla crisi energetica, di cui tanto si parla. Per qualche decennio ci saranno ancora petrolio, gas e carbone sufficienti ad alimentare la produzione e la mobilità di questa umanità frenetica. Quando si giungerà alla fine delle risorse, le tecnologie che sfruttano le fonti rinnovabili e i nuovi ritrovati della tecnica, magari la famosa fusione fredda, risolveranno il problema. Siamo severi giudici della scienza moderna ma bisogna ammettere che quando i cervelli dei ricercatori sono mobilitati a risolvere un problema concreto, i risultati sono quasi sempre tangibili.
Più seria è la minaccia dell’inquinamento del pianeta. Basti pensare che le scorie radioattive che stiamo accumulando in quantità crescenti manterranno la loro pericolosità per millenni. Se una qualche futura crisi bellica o economica facesse allentare i controlli sui depositi di scorie, le conseguenze potrebbero essere devastanti. Notizie come la crescente scarsità di pesce perfino negli oceani o il rischio di estinzione delle api, sono inquietanti. Però in generale forse si esagera col catastrofismo. Per esempio è probabile che il riscaldamento del pianeta non sia così grave come si vocifera. Alla desertificazione di alcune aree ora fertili corrisponderebbe la possibilità di rendere coltivabili zone ora gelate.
Le questioni che appaiono insolubili sono altre. Una è l’esplosione demografica. All’inizio del XX secolo il pianeta era abitato da poco più di un miliardo di persone. Alla fine del secolo eravamo 6 miliardi. Nella storia dell’umanità non si era mai verificata una tale proliferazione. Chi dice che in fondo le cose vanno come sono sempre andate, non tiene conto delle novità sconvolgenti che rendono la nostra epoca non paragonabile ad alcuna altra a noi nota. Dopo appena 10 anni, i 6 miliardi di abitanti del pianeta sono diventati 7. Si può pensare che il ritmo di incremento diminuisca, ma non che si fermi la crescita. Qualcuno ipotizza 20 miliardi di esseri umani prima della fine di questo secolo. Il pianeta non potrebbe contenerli e sicuramente dovranno passare secoli prima che siamo in grado di trapiantare una parte dell’umanità su altri pianeti. Non ci sono rimedi. Il controllo delle nascite, rigorosissimo in Cina e ora tentato anche in India (si è arrivati a offrire un’auto gratis agli uomini che accettano di farsi sterilizzare), è peggiore del male perché nel giro di pochi decenni crea nazioni in cui i vecchi sono la maggioranza, vale a dire nazioni destinate al declino. L’unica soluzione razionale secondo una logica di freddo calcolo socio-economico sarebbe l’eutanasia per tutti gli individui che abbiano compiuto i 75 anni, soluzione chiaramente impraticabile e improponibile.
L’altra questione insolubile è quella dei debiti pubblici abissali. Non se ne esce più. Tutti i finti rimedi di cui si blatera sono mezzucci per tirare avanti fino alle elezioni successive, ma non possono risolvere alcunché. Il punto di non ritorno è già stato superato. C’è un solo rimedio drastico, già praticato del resto in passato: azzerare tutto, crediti e debiti, con una guerra di proporzioni planetarie che tutto distrugga per consentire l’affare della ricostruzione.
Sia la questione demografica sia il problema del debito pubblico esigono la decimazione dell’umanità, un massacro senza precedenti. Gli strumenti sono quelli di sempre: guerra, carestia, pestilenza, i tre cavalieri dell’Apocalisse. Il quarto è la Morte.
Questo ci dice l’intelligenza: ci attendono guerre col loro corredo di veleni chimici e radioattivi, crisi economiche e fame che faranno deperire le popolazioni e le esporranno senza più difese alle epidemie tanto più micidiali quanto più affollate sono le contrade del mondo. Stando così le cose, come è possibile alimentare un ottimismo della volontà? Temo che al fondo della poca convinzione con cui cerchiamo di dar vita a un soggetto politico ci sia questa consapevolezza, spesso non espressa ma ben presente. Il nostro impegno ha un solo fondamento solido: l’esigenza morale di fare qualcosa per i figli, per i nipoti, ma soprattutto per un dovere di coerenza con la nostra storia personale e con gli ideali di una vita. Si può fondare un partito su un dovere di testimonianza, su un’etica?
Pare che il vero motivo di sconforto sia la questione demografica. Ci sono voci rassicuranti al riguardo.
"Nel 2001 l'indice mondiale di fecondità è sceso a 2,8 figli per donna, cifra ormai molto vicina a quel 2,1 che si limita ad assicurare la semplice riproduzione della popolazione, 1 per 1. Queste cifre permettono di pensare, in un futuro che cessa di essere indeterminato, forse per il 2050, una popolazione stazionaria, un mondo in equilibrio"
Emmanuel Todd, sociologo e demografo: "Dopo l'Impero", pg 32
Todd aveva previsto il crollo dell'URSS a seguito di una serie di indicatori, tra cui la discesa dell'indice di natatlità e l'esplosione della violenza. Sì, secondo lui il cambiamento di paradigma (causati da una maggiore alfabetizzazione e quindi richiesta di democrazia) comporta degli strappi culturali che si manifestano in episodi violenti. Non è necessaria alcuna guerra, anzi l'elevata alfabetizzazione sarebbe il migliore antidoto contro l'escalation militare. La gente non è più disposta a sopportare i deliri delle elites, contrariamente a quanto faceva lustri o secoli or sono per ignoranza.
Questa in sintesi la sua tesi, supportata da altri pensatori (Fukuyama, Doyle).
Per quanto riguarda invece il debito pubblico, facciamo tesoro dell'esperienza islandese. Se le banche ci richiedono il pagamento di ricche prebende, possiamo sempre rispondere che se le vengano a prendere, se ne hanno voglia. Il vero problema, semmai, è trovare chi sia in grado di dire cose così chiaramente senza farsi ricattare.
La mia personale opinione è che la nostra (ma non solo) classe politica sia composta da ricattati che non hanno nessuna voglia, per la loro posizione di assoluta convenienza, di scoprire gli altarini e denunciare i ricattatori. Serve una generazione poltica non ancora ricattabile, sullo stile dei Padri Costituenti, che sappia lavorare come loro. La lotta per acquisire quelle posizioni ai vertici non è nè semplice nè facile.
La questione sullo scoramento ha un'analisi molto semplice: ce la sentiamo di abbandonare il futuro del pianeta al suo destino? Personalmente ho la consapevolezza che non posso fare molto, stando così le cose. Ma non demordo e la situazione è tale che potrebbero presto rovesciarsi i giochi, scoprendo così delle possibilità precedentemente impensabili. Bisogna sapere aspettare, il bello deve ancora venire.
Concordo sul carattere non (immediatamente) strategico delle questioni energetica e climatica.
Non so in quale misura l'annullamento dei debiti comporti guerre. Mentre non riesco mai a raffigurarmi la questione demografica come un problema. Io vivo in Italia e in Italia questo non è un problema. Semmai il problema è opposto: dobbiamo fare più figli.
In generale capisco lo scoramento. Credo, tuttavia, che esso abbia ragioni più concrete. Almeno per me è così. La fede e la volontà mancano in Pallante (non in Chiesa, Badiale e il gruppo di Alternativa), che al più considera l'incarico di portavoce come una delle sue tante attività. Questo è un peccato. Perché se decidi di dar vita ad un partito e vieni eletto portavoce devi dedicare almeno tre anni della tua vita a questa missione (altrimenti stai giocando). La secondo ragione riguarda MZ. Se la voce del ribelle vende 3500 copie mi auguravo di poter contare su 350 militanti dispersi per l'Italia. Non è così e il gruppo di Alternativa, i cui effettivi sono circa 200, resta paradossalmente il gruppo più numeroso.
La terza ragione è generale. L'individualismo è la cifra della nostra epoca. Esso ha contaggiato anche gli antagonisti o ribelli o rivoluzionari. Questi ultimi sono contro lo stato nazione e sono contro i partiti. Non vogliono sottomettersi ad alcuna disciplina. Mentre ottimismo della volontà significherebbe: su questa terra noi fondiamo un partito che rappresenta una parte e ci proponiamo di prendere il potere, magari anche in trenta anni, per vivere secondo questi principi. I nemici ideologici dei ribelli o rivoluzionari o antagonisti – lo stato nazione e i partiti – sono gli unici strumenti utilizzabili per combattere. Da questa situazione di debolezza non so come se ne possa uscire. L'individualista ha due possibilità: godere del sistema accettandone la logica; o essere schiavo. I ribelli o antagonisti o rivoluzionari individualisti appartengono spesso alla seconda categoria e rimuovono la loro condizione con fumose ideologie alternative.
In ogni caso, o la crisi proseguirà per un paio di decenni o si avrà il crollo. Le condizioni per un cambiamento strutturale, dunque, si vanno prefigurando. Per questa ragione si deve lavorare con pazienza, tessere rapporti ed escludere narcisisti e fanatici. Può darsi che siamo al tempo dei profeti. Il fatto che il tempo dell'azione non sia immediato potrebbe essere anche una fortuna. Comunque non è molto lontano e, a Dio piacendo, vedremo il crollo o gli effetti di una prolungata crisi e anche la reazione.