Note sul sistema elettorale
di FEDERICO MONEGAGLIA (FSI Trento)
Diario di un Paese senza Governo, giorno 65. Le cavallette ancora non sono arrivate, ed anzi sembra che una leggera flessione in positivo abbia rassicurato il Dio Mercato, dacché gli àuguri che ogni giorno si rivolgono a noi dal teleschermo hanno captato segnali di clemenza.
Ma come ci siamo arrivati?
Per comprenderlo partiremo da 70 anni addietro, in quel fatidico ’48, anzi ’47, in cui i nostri costituenti si espressero circa quale dovesse essere l’ordinamento costituzionale dello Stato più confacente alle caratteristiche del Popolo italiano. Quest’ultimo, chiuso il capitolo fascista prima e quello monarchico poi, si apprestava finalmente a compiere la sua rivoluzione proprio attraverso la redazione della nostra Carta.
Tra le forme di governo principali su cui ci si ritrovò a discutere le due su cui si concentrò la discussione furono quella Parlamentare e quella Presidenziale. La seconda, tipica del sistema americano, prevede l’esistenza di due schieramenti contrapposti, uno di centrodestra ed uno di centrosinistra, nei quali si concentrano le forze politiche del Paese. Nel sistema di governo di tipo presidenziale non v’è un vero spazio per istanze particolarmente rivoluzionarie o anche solo moderatamente progressive; esse sono destinate all’irrilevanza o all’assimilazione all’interno del frame di eterno centro attorno al quale orbitano le due macro-coalizioni; parimenti non v’è spazio per l’emersione di forze politiche nuove, cosicché anche quando a lungo andare le forze in gioco divengono incancrenite, non si realizza mai un vero e proprio ricambio della classe dirigente, che resta invece al suo posto sotto formalina.
Un sistema di tipo Presidenziale, nel quale tipicamente ci si contende il consenso elettorale a suon di punti percentuali, si lega indissolubilmente a sistemi elettorali di tipo maggioritario.
Deo gratias, il legislatore costituente, avendo ben chiara la complessità e la ricchezza del panorama ideologico italiano, con la sua molteplicità di partiti, con i loro contrasti così come con le loro peculiarità, ebbe l’accortezza di scegliere, nel dare un ordinamento costituzionale alla neonata Repubblica italiana, una forma di governo di tipo parlamentare (favorevoli al Presidenziale erano quasi esclusivamente i liberali). In essa, la rappresentanza è e deve essere assicurata dall’unica legge elettorale compatibile con tale sistema, la proporzionale, attraverso la quale la conversione da voti a seggi è diretta e, appunto, proporzionale. Le ammucchiate elettorali pudicamente chiamate “coalizioni elettorali” scompaiono, per poi formarsi invece in seguito, solo dopo la competizione elettorale e con uno scopo preciso: quello di formare un governo di coalizione. Quest’ultimo, lungi dal dare luogo ad “inciuci”, è la massima espressione della democrazia in uno stato ordinato secondo un sistema di governo parlamentare: due o tre partiti, ciascuno con il proprio 10-20-30%, formano un governo rappresentante realmente il 50-60% degli elettori, attraverso il quale portano avanti alcuni punti programmatici comuni; quando ciò non è possibile, si avranno governi supportati da una maggioranza semplice in luogo di quella assoluta, che garantiscono comunque l’alternanza di governo (e quindi una eguale effettività della rappresentanza) per via della loro sacrosanta instabilità. Nel contesto di un sistema elettorale proporzionale classico l’Italia, nel secondo dopoguerra, tra le altre cose, ha vissuto il miracolo economico, è divenuta la quarta potenza economica mondiale, ha nazionalizzato l’industria elettrica, ha inventato il primo personal computer, ha dato vita ad una azienda di Stato nel settore degli idrocarburi in grado di tenere testa alle maggiori multinazionali private del mondo.
Si noti che il discorso affrontato pocanzi vale rigorosamente solo nei sistemi elettorali proporzionali. L’introduzione del premio di maggioranza, ancorché relativamente contenuto come quello previsto dalla legge elettorale da cui si è originato l’attuale stallo, crea una distorsione tale da corrompere l’intero sistema di governo.
Un premio di maggioranza, in effetti, oltre a promuovere coalizioni puramente formali come quella dell’attuale centrodestra, rende anomala la rappresentanza (si hanno tipicamente governi formati da una singola coalizione elettorale, che governano con una maggioranza falsata mentre rappresentano solo un 30-40% di elettori). Il sistema elettorale maggioritario ci ha regalato, nel secondo dopoguerra, le liberalizzazioni, la distruzione dello stato sociale, la cessione della nostra capacità di autodeterminarci e il conseguente abbandono di una qualsiasi politica economica. In cambio ci troviamo le startup.
Infine, mentre la proporzionale privilegia i partiti, le idee e la varianza ideologica dell’arco parlamentare, e impedisce in genere l’emersione della personalità dei singoli, l’uninominale che sostiene il sistema maggioritario stempera i partiti in favore delle personalità più furbe ed intriganti, demolisce il dibattito ideologico e delle idee, toglie spazio al nuovo in favore del vecchio, impone una linea di governo continua indipendentemente dal riscontro reale di questa sulla vita degli elettori.
La storia dei sistemi elettorali di tipo maggioritario, nel nostro Paese, non è in effetti gloriosa (non lo è probabilmente mai da nessuna parte).
Non fu casuale l’adozione da parte del neo-formato Governo Mussolini, di una legge fortemente maggioritaria (la legge Acerbo), che prevedeva un premio di maggioranza di 2/3 dei seggi con un quorum del 25%; essa fu approvata grazie ai voti del PNF, di buona parte del Partito Popolare, e, ovviamente, dei nostri immancabili amici liberali. Quegli stessi liberali che, dall’unità d’Italia all’era giolittiana, si gentrificavano nella loro ristretta cerchia di “notabili” giovandosi dell’uninominale per mantenersi al governo; il consenso era assicurato nei propri collegi uninominali attraverso un sistema di reti clientelari garantito dalle infime percentuali degli aventi diritto al suffragio. Giolitti, che governò initerrottamente (ora dal banco del Governo, ora da quello del Parlamento) per più di dieci anni proprio grazie all’uninominale, con l’introduzione della legge proporzionale pose fine alla sua dittatura personale ed alla stessa era dei notabili, dando finalmente vita, anche in Italia, all’era dei partiti di massa; ad essi pose presto fine il fascismo, con il colpo di Stato prima, e con il premio di maggioranza accennato sopra poi. Il colpo di grazia arrivò, nel giro di un paio di anni, con la soppressione dei partiti. Era il premio di maggioranza del 100%.
Il nostro Paese ha oggi un disperato bisogno di una legge elettorale proporzionale pura, con o senza soglia di sbarramento (dovrà eventualmente essere molto bassa), per poter rinnovare la propria classe dirigente orma stantìa, per riprendere il dibattito parlamentare tra i partiti, per proporre idee dove oggi vengono proposti i buffoni, per evitare situazioni di stallo politico create dai personalismi all’interno di coalizioni inesistenti. Oggi senza il premio di maggioranza avremmo già un governo. Non dirò se sia un bene o un male non averlo ancora, mi limito però ad osservare come tutte le testate giornalistiche, nel reclamare una legge elettorale che consenta la formazione di un governo, chiedano a gran voce il premio di maggioranza, senza rendersi invece conto che esso, in Italia, costituisce, ed ha sempre costituito, il problema.
Concordo al 100% !