Il tramonto della democrazia nell’era della globalizzazione
di DANILO ZOLO
Oggi non è chiaro che cosa significhi la parola “democrazia”. Coloro che usano disinvoltamente il termine “democrazia” lo fanno o per pigrizia intellettuale o per scarsa conoscenza dei problemi. Molto spesso si tratta di retorica politica e di presunzione ideologica occidentale. Negli Stati Uniti d’America, in particolare, i leader politici usano il termine democracy per esaltare il proprio regime e per discriminare sul piano internazionale quelli che essi chiamano “Stati canaglia” (rogue states).
Non c’è dubbio che il significato classico di “democrazia”, risalente all’esperienza ateniese, appartiene ad una storia remota che ormai ha ben poco da insegnarci. Oggi, in tempi di espansione globale del potere politico, economico e militare, nessuno studioso serio pensa che il modello della agorà e della ecclesia abbia una qualche attualità. E nessuno oggi crede che i partiti politici siano realmente delle organizzazioni “rappresentative” che trasmettono fedelmente ai vertici del potere statale le esigenze e le aspettative degli elettori.
Oltre a tutto ciò, oggi si deve riconoscere che anche la “dottrina pluralistica” della democrazia, affermatasi in Occidente dopo la seconda guerra mondiale, è ormai in declino. Nelle società moderne – aveva sostenuto Joseph Schumpeter – la democrazia si fonda su tre principi: il pluralismo delle élites in concorrenza fra loro per la conquista del potere politico; il carattere alternativo dei loro programmi; una libera e pacifica competizione elettorale per la scelta da parte del popolo dell’elite che deve governare. Autori come Robert Dahl, John Plamenatz, Raymond Aron, Giovanni Sartori hanno sostenuto, nella scia di Weber e di Schumpeter, che la gestione del potere deve essere necessariamente affidata ad una ristretta classe dirigente, composta di politici di mestiere, dotati di competenze specifiche. Al pubblico “incompetente” dei cittadini può essere riservata esclusivamente la funzione di scegliere l’élite alla quale affidare il potere di comando e alla quale ubbidire disciplinatamente.
Negli ultimi decenni, nel contesto di società “globalizzate”, sempre più differenziate e complesse, anche la dottrina pluralistica della democrazia si è rivelata poco realista. In questi anni l’Occidente è passato dalla società dell’industria e del lavoro alla società postindustriale, dominata dalla rivoluzione tecnologico-informatica e dallo strapotere di corporations internazionali che hanno diffuso l’economia di mercato in ogni angolo della terra. Il potere politico ed economico si è concentrato nelle mani di poche superpotenze e il diritto internazionale è ormai subordinato alla loro volontà assoluta. La sovranità politica degli Stati nazionali si è molto indebolita, mentre la funzione dei Parlamenti è stata limitata dal potere delle burocrazie pubbliche e private, inclusa la burocrazia giudiziaria e le corti costituzionali.
Come hanno sostenuto Leslie Sklair e Luciano Gallino, le democrazie sono dominate dall’egemonia di alcune élites economico-politiche al servizio di intoccabili interessi privati. È la cosiddetta “nuova classe capitalistica transnazionale” che domina i processi di globalizzazione dall’alto delle torri di cristallo di metropoli come New York, Washington, Londra, Francoforte, Nuova Delhi, Shanghai. In questo contesto il sistema dei partiti è un apparato “autoreferenziale”, nel senso che i partiti operano circolarmente come fonte della propria legittimazione e riproduzione.
I partiti non svolgono il ruolo di aggregare le domande politiche emergenti dalla società e di metterle in concorrenza fra loro nel Parlamento. I partiti non sono in nessun senso dei canali della rappresentanza politica, volontariamente sostenuti dai propri militanti ed elettori. Usando sistematicamente lo strumento dalla Televisione, i leader politici si rivolgono direttamente ai cittadini-consumatori mettendo in mostra i propri “prodotti propagandistici” secondo abili strategie di marketing televisivo. La loro funzione è in sostanza quella di investire il loro potere e il loro denaro entro circuiti finanziari informali e spesso occulti, attraverso i quali essi distribuiscono risorse finanziarie, vantaggi e privilegi. In questo modo alimentano la solidarietà e gli interessi sui quali essi si reggono e che spesso hanno dimensioni transnazionali.
Quanto alla capacità degli elettori democratici di giudicare la competizione politica e di scegliere l’élite meritevole di svolgere funzioni governative, essa è molto incerta. Persino in relazione alle issues più semplici e coinvolgenti – l’inquinamento ambientale, la guerra, il sistema penale, il carcere, l’energia nucleare, la distribuzione dell’acqua, ecc. – l’opinione pubblica e quindi il consenso politico difficilmente si basa su un’informazione controllata e su una valutazione razionale. Alla complessità delle questioni si aggiunge la barriera degli strumenti di comunicazione di massa, la Televisione anzitutto. Ciò che rimane è la libertà di voto “negativa”, nel senso che l’elettore è libero di partecipare o di non partecipare alle elezioni e di esprimere una preferenza elettorale. Ma non sono gli elettori a decidere quali questioni politiche devono essere sottoposte al loro giudizio: qualcuno prima di loro e al loro posto stabilisce che cosa sottoporre alla loro decisione e che cosa invece riservare ad accordi segreti, eliminando ogni rischio di destabilizzazione istituzionale. Siamo dunque in presenza di un regime che a mio parere si può chiamare “tele-oligarchia post-democratica”: una post-democrazia nella quale la grande maggioranza dei cittadini non “sceglie” e non “elegge”, ma ignora, tace e obbedisce.
L’opinione pubblica all’interno di uno Stato non dispone di fonti di informazione indipendenti dal sistema telecratico nazionale e internazionale. Le Televisioni locali sono collegate alla grande struttura internazionale dell’industria multimediale. Le corporations transnazionali che hanno il monopolio dell’emittenza televisiva sono in maggioranza insediate negli Stati Uniti e sono tutte appartenenti all’OCSE: fra queste Aol-Time-Warner, Disney, Bertelsmann, Viacom, Tele-Communications Incorporated, News Corporation, Sony, Fox.
La comunicazione pubblicitaria diffonde in tutto il mondo messaggi simbolici fortemente suggestivi che esaltano la ricchezza, il consumo, lo spettacolo, la competizione, il successo, la seduzione del corpo femminile. La comunicazione “subliminale” stimola le pulsioni acquisitive in una chiave politica fortemente conservatrice e ispirata ai valori dell’economia capitalistica ormai dominante a livello globale. Grazie alla Televisione l’espansione della produzione industriale e del consumo non solo ispira le strategie delle élites politiche al potere, ma domina anche l’immaginazione collettiva: è un conformismo profondo e generalizzato che influenza i ritmi di vita, le scelte di valore e le propensioni politiche della grande maggioranza dei cittadini.
E un’ulteriore causa alla subordinazione politica dei cittadini sono gli opinion polls. Sotto l’apparenza del rigore scientifico i “sondaggi” vengono usati non per analizzare ma per manipolare la cosiddetta “opinione pubblica”. Le agenzie demoscopiche, al servizio delle élites più influenti, registrano le risposte del pubblico ai loro questionari e grazie alla televisione influenzano l’opinione pubblica attraverso la divulgazione selettiva dei risultati dei sondaggi.
In una visione realistica della “post-democrazia” contemporanea i “rappresentanti” sono in realtà dei burocrati e dei managers che “rappresentano” gli elettori soltanto nel senso che fanno qualcosa al loro posto, qualcosa che i singoli elettori non hanno la competenza, le risorse finanziarie o la possibilità di fare. In questo senso i regimi democratici si differenziano dai regimi dispotici o totalitari soltanto per la maggiore complessità delle procedure di nomina delle élites e per il cambiamento nel tempo delle maggioranze e delle minoranze parlamentari. Ma l’alternanza delle élites al potere non comporta un effettivo cambiamento degli obiettivi politici perseguiti e degli interessi economici garantiti.
Le élites economico-politiche sono fortemente condizionate da interessi di parte, dalle strategie internazionali e dagli obiettivi globali delle grandi potenze. Gli Stati Uniti, in particolare, hanno usato la loro supremazia politico-militare per dar vita ad una serie di guerre di aggressione – dalla guerra del Golfo del 1991 alle guerre di aggressione della Serbia nel 1999, dell’Afghanistan nel 2001 e dell’Iraq nel 2003. È chiaro, secondo me, che le guerre di aggressione rendono sempre più improbabile la conservazione dei delicati meccanismi delle procedure democratiche, sia negli Stati aggrediti che negli Stati aggressori.
Negli Stati aggressori la democrazia viene di fatto sostituita da un esercizio del potere molto più “efficiente”, perché concentrato nelle mani di esperti senza scrupoli moralistici, capaci di un impiego spregiudicato delle risorse economiche e finanziarie e soprattutto decisi a limitare pesantemente i diritti di libertà dei cittadini. E non si può trascurare il fatto che la guerra contro il global terrorism, in nome della quale viene usata la violenza e repressa la libertà, è essa stessa una guerra che diffonde il terrore facendo strage di persone innocenti con mezzi di distruzione di massa.
Non sembra dubbio che ci troviamo di fronte ad una notevole perdita di capacità evolutiva delle istituzioni democratiche. La loro evoluzione, almeno negli ultimi due secoli, aveva segnato un progresso costante: dalle conquiste rivoluzionarie dei diritti umani all’universalità del suffragio elettorale e dei diritti politici, alla tutela dei diritti sociali nell’ambito del Welfare state. Nelle aspirazioni dei progressisti questa parabola evolutiva avrebbe portato gradualmente al socialismo e cioè ad una democrazia fondata sull’eguaglianza economico-sociale dei cittadini e sulla scomparsa delle classi sociali. Ma l’evoluzione si è interrotta definitivamente nel corso degli ultimi decenni. La globalizzazione ha posto bruscamente in crisi il Welfare state e ha favorito il costituirsi di regimi che, pur sventolando ancora la bandiera della “democrazia”, sono in realtà oligarchie elitarie, tecnocratiche e repressive.
fonte: Jura Gentium
Commenti recenti