Nazionalizzare
di SIMONE GARILLI (FSI Mantova)
Il punto è molto semplice: uno Stato sovrano può nazionalizzare qualunque settore ritenga senza nessun bisogno dell’intervento della Magistratura. Nazionalizzare è una scelta politica e ci mancherebbe altro che non lo fosse. Questo è vero per tutti gli Stati, ma lo è in particolare per lo Stato Italiano laddove si decida di rimettere al vertice dell’ordinamento la Costituzione del 1948.
Nel caso specifico di Autostrade per l’Italia, però, il governo in carica si trova a dover agire in un perimetro disegnato da altri. C’è una concessione che dura fino al 2042, ideata e poi rinnovata per periodi sempre più lunghi dai governi di centro-sinistra. Una concessione che interessa un monopolio naturale, il quale per sua natura non dovrebbe essere privatizzato nemmeno secondo i teorici liberali, ma tant’è. Nel concreto, quindi, il governo può trattare con il concessionario per ridurre i tempi della concessione e/o cambiarne consensualmente il contenuto, oppure può iniziare il lungo percorso di revoca della concessione che dipende però dall’esito giudiziario sulle gravi inadempienze di Autostrade per l’Italia.
C’è una terza ipotesi: comprarsi le quote e nazionalizzare l’azienda attraverso un’operazione di mercato invece che in punta di diritto. Le ovvie difficoltà finanziarie di Autostrade per l’Italia, dopo il crollo di Genova, dovrebbero aiutare in questo senso, ma per cosa si nazionalizza se non per investire pesantemente in manutenzione, rinnovamento e potenziamento della rete stradale compensando i bassi investimenti dei Benetton? Ecco allora che sorge il problema dei vincoli europei, che tanti soloni in questi giorni hanno negato spesso perché in malafede e talvolta perché disabituati dalla tirannia della cronaca a ragionare in maniera un minimo sistemica.
Oltre al vincolo legale (concessione già in essere e molto lunga), facilmente aggirabile da uno Stato con pieni poteri, esiste un vincolo ben più stringente, seppur indiretto: il vincolo esterno che una classe dirigente liberale ci ha imposto per attuare la sua rivoluzione silenziosa. Lo Stato italiano non può spendere perché deve rispettare il percorso verso il pareggio di bilancio, e se lo facesse dovrebbe pagare sempre maggiori interessi sul debito dato che la Bce, non garantendolo, lascerebbe campo libero ai cosiddetti mercati. È il vincolo europeista che impone allo Stato italiano la strada impervia della trattativa o quella lunga e incerta della revoca. Un governo che ha cuore la sovranità nazionale e l’interesse dei cittadini dovrebbe porre con forza la questione del vincolo esterno europeo e agire di conseguenza, altrimenti la partita si gioca in trasferta, ed è persa in partenza.
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