Dietro le quinte del colpo di stato
- Dietro le quinte del colpo di stato libico: l’aiuto russo alla Jamahiriya
(I parte) [06.10.2011] di GilGuySparks
Ex maggiore delle forze speciali della Armata Rossa, Ilya Korenev, ufficiale dell’ex Unione Sovietica, divenuto tenente colonnello nella Russia odierna, ufficialmente in pensione, ha rilasciato nelle scorse settimane un’intervista preziosa pubblicata ieri dal sito Argumenti.ru, vicino ai servizi segreti russi.
Koronev ha trascorso quasi sei mesi accanto al colonnello Gheddafi e alla sua famiglia con il compito di supportare con la sua esperienza maturata tra Caucaso e Russia, le difese delle forze lealiste della Jamaijria libica.
Ilya Koronev è stato intervistato dopo aver passato una settimana in America Latina per le cure di ferite e contusioni procuratesi nel deserto libico, vicino al confine con l’Algeria.
Alla domanda sul come sarebbe arrivato in Libia visto che la Russia non ha ufficialmente fornito assistenza a Gheddafi, il colonnello risponde senza giri di parole:
Apprendiamo diversi dettagli inediti sulla guerra in Libia delle potenze colonialiste occidentali che erano rimasti coperti per tutto questo tempo. Determinante per la comprensione della preparazione delle difese della Libia lealista il racconto del colonnello Koronev che rivela come la preparazione dei corpi d’elite iniziò immediatamente durante la primavera con il contributo di personale russo:
“Li abbiamo addestrati alle tattiche di combattimento in piccoli gruppi, istruendoli grazie all’esperienza dei guerriglieri nella Grande Guerra Patriottica e – in Cecenia. Piccoli gruppi di 20-30 elementi addestrati allo scopo di attaccare convogli militari e dopo il sabotaggio commesso, retrocedere in aree di sicurezza.“
Proseguendo nel suo racconto sotto insistenza dell’intervistatore Alexander Grigoriev che sottolineando l’uso del termine “noi” in relazione al lavoro di preparazione del personale della 32° brigata d’elite di Khamis al-Gheddafi, chiedeva: “[…]sai di qualcun altro che era con te in Libia?” – il colonnello Ilya Korenev rispondeva:
Koronev rivela quindi che un congruo staff di personale militare, ufficialmente non più in attività presso l’esercito russo, ha lavorato dall’inizio del conflitto in Libia con compiti di consulenza militare e di addestramento, nonostante il divieto delle autorità russe per i propri cittadini di recarsi nella Libia, dicendo:
“Chi può negare ad un alto ufficiale di inviare un subordinato in Algeria per un viaggio d’affari? Per esempio, in cooperazione tecnico-militare?“.
Il supporto russo al di là di quello che è apparso sui media, c’è stato e come è in uso in questi casi l’operazione è stata condotta attraverso paesi terzi. Il ruolo della Russia all’interno della vicenda verrebbe così illuminata da una luce particolare che la porrebbe parte in causa e possibile prossimo obiettivo dell’espansionismo imperialistico delle potenze europee e degli USA:
“I professionisti capiscono che l’attacco alla Libia – fa parte di azioni previste. Le prossime saranno: Siria, Algeria, Yemen, Arabia Saudita, Iran, Asia Centrale e Russia. Non importa in quale sequenza. Ma la Russia rischia di pagare un prezzo prima […] circondata da radar e basi militari ostili […] mentre cresce la corruzione e il dissenso all’interno del paese.“
Riguardo alla caduta di Tripoli e alle responsabilità nella difesa della capitale, il colonnello chiarisce quello che alla fine di agosto andò storto e che portò all’impossibilità di mantenere il controllo della città più popolata della Libia:
“Il fatto che mantenere Tripoli sarebbe stato impossibile, è diventato chiaro in giugno/luglio. Pertanto era necessario preparare personale brigata per l’impegno in piccoli gruppi autonomi sia in ambienti urbani, sia all’interno sia all’esterno degli insediamenti, concentrandosi sulla formazione per il sabotaggio.[…]
L’errore non è stato nella difesa, ma nella valutazione del conflitto. E’ avvenuto che Gheddafi viveva in due mondi paralleli. Non ha aderito ad una certa politica, come il leader della Corea del Nord. […] Gheddafi non credeva all’attacco contro il suo paese fino a poco tempo fa. Anche a metà agosto, quando sono stati condotti attacchi missilistici e bombardamenti su Tripoli, in altre città, ha parlato con Berlusconi e Sarkozy. Gli avevano assicurato che l’operazione di terra a Tripoli non ci sarebbe stata. Diversi anni fa, Gheddafi si era proposto di creare un potente sistema di difesa aerea nella sua interezza. Questo avrebbe potuto esser fatto attraverso alcuni dei paesi dell’ex Unione Sovietica. Ma credeva che queste azioni avrebbero solo teso i rapporti con gli Stati Uniti e l’Europa. Ripeteva che l’Italia e anche Francia e pure la Gran Bretagna gli avevano assicurato che la guerra di terra contro la Libia non ci sarebbe stata. Un errore, anche, è stato il lungo monitoraggio degli ufficiali libici corrotti. Sarebbe stato necessario arrestarli immediatamente, per non diffondere il contagio impunemente. Ma Gheddafi voleva far rivelare quanto più possibili traditori. L’indecisione di Gheddafi, in virtù del suo personale punto di vista sul conflitto, fu, per inciso, il fattore che persuase diversi alti ufficiali militari a prendere un paio di milioni di dollari e passare dalla parte dei ribelli. Immaginate, che ovunque vi sia una pioggia di pietre che cadono sulla testa, e voi dite mi piacerebbe tenere una festa. Molti si farebbero convincere ad andarvi secondo voi? Specialmente quelli che saranno obiettivi importanti e primari per il nemico.
Il fattore umano, anche in Africa, è il fattore umano.“
Durante gli ultimi anni erano stati compiuti molti sforzi da parte del colonnello Gheddafi e della sua famiglia di rompere l’isolamento che stringeva il paese; dopo la fine riservata a Saddam Hussein, il colonnello aveva cercato in tutti i modi di ricostruire un rapporto con Inglesi e Americani risarcendo le vittime dell’attentato di Lockerbie, anche se sussistevano seri dubbi sulla reale matrice libica dell’attentato. Ha instaurato un rischioso rapporto di collaborazione di intelligence con CIA e MI6 acconsentendo le illegal rendition di terroristi islamici; numerosissimi riscontri testimoniano che la città di Tripoli era divenuta una delle tappe di transito dei voli della CIA e dell’MI6 che trasportavano presunti terroristi islamici per provvedere ad interrogatori particolari con l’uso ampio di torture di ogni genere.
Saif al Islam era anche giunto ad affidare praticamente l’intero fondo sovrano della Libia alla Goldman Sacs (che era l’equivalente di dare in consegna eroina ad un tossico), infatti “all’inizio del 2008 il fondo sovrano libico, controllato dal colonnello Moammar Gheddafi, [aveva] affidato 1,3 miliardi di dollari al gruppo Goldman Sachs per investirlo in valute e in altri complicati strumenti finanziari. Gli investimenti hanno persero il 98% del loro valore, secondo i dati di un documento interno di Goldman.“
Secondo un cablogramma dell’ambasciata americana a Tripoli del 15.01.2009 (The pro-U.S. group included Moammar Gadhafi id187231) sebbene molto sospettoso nei confronti degli americani, Gheddafi incoraggiava una collaborazione con gli USA che valutavano ambivalente la posizione del governo libico, spaccato al suo interno in due posizioni una filo USA ed una più cauta: “Elementi elevati del regime erano rimasti in conflitto sulla natura del rapporto che Libia ha voluto con gli Stati Uniti[..]. C’erano “due correnti” di pensiero all’interno del GOL(Governo libico) rispetto ai legami Usa-Libia: una pro-U.S. e un gruppo che è rimasto sospettoso sulle motivazioni degli Stati Uniti e fermamente contrario ad un impegno più ampio successivo. Il gruppo pro-U.S. comprendeva Muammar Gheddafi, il Presidente della Gheddafi Development Foundation Saif al-Islam al-Gheddafi, il Consigliere della Sicurezza Nazionale Muatassim Gheddafi, il direttore esterno dell’organizzazione della sicurezza il direttore Musa Kusa, un alto funzionario del regime Abdullah Sanussi, e membri chiave della Commissione Rivoluzionaria e della vecchia guardia Mustapha e Kharrubi al-Hweildi al-Hmeidi. […] Muammar al-Gheddafi in genere sosteneva l’incremento della cooperazione USA-Libia, ma con “riserve” nate da una preoccupazione costante che l’eventuale obiettivo del coinvolgimento degli Stati Uniti con la Libia fosse un cambio di regime.”
Le preoccupazione di Muammar Gheddafi erano tutt’altro che infondate, visto che gli Usa attraverso la loro ambasciata a Tripoli tessevano la trama della dissidenza e si informavano sugli equilibri nelle regioni orientali della Libia, dove il controllo degli apparati di sicurezza libici erano molto più vulnerabili. Alla luce dell’avvicinamento all’occidente di Gheddafi, andrebbe letto il punto di vista russo sulla questione libica; il colonnello Koronev non manca di sottolineare e lo fa in maniera chiara, alcuni degli errori di fondo dell’approccio di Gheddafi rispetto alla situazione che si era venuta a creare, in particolare la fiducia riposta fino all’ultimo nelle cancellerie europee di Francia, Inghilterra e Italia che escludevano, mentendo, l’uso di reparti militari di terra.
Il colonnello Iliya Koronev non ha trascurato di soffermarsi sulla rocambolesca fuga da Tripoli dalla quale uscirono indenni con una fortuna alla quale anche lo stesso colonnello stentava a credere, dilungandosi in inediti dettagli della caduta di Tripoli:
“Siamo messi sull’avviso da “Al Jazeera” e CNN. Abbiamo visto filmati della “vittoria” dei ribelli girati in Qatar. Era già noto dello scenario della piazza Verde a Tripoli, allestita nel deserto vicino a Doha. Sapevano ciò che erano [quelle immagini]. Quei filmati sono stati il segnale per l’attacco dei ribelli e dei sovversivi. Immediatamente dopo queste immagini in tutta la città “cellule dormienti” dei ribelli cominciarono a creare posti di blocco, tagliavano i centri di comando tra gli ufficiali di stanza che non avevano tradito Gheddafi. Nel porto è cominciato lo sbarco di truppe straniere. Uno dei fianchi ha smesso di rispondere. Il Generale Eshkal ha consegnato la posizione senza combattere. Gheddafi ha ordinato di non cessare il fuoco […] Per non trasformare in una bolgia Tripoli si è rettificato l’ordine alle unità dell’esercito e dei civili. Diverse centinaia di unità d’artiglieria hanno rifiutato di conformarsi al presente ordine e stavano combattendo nella città, nel tentativo di infliggere il massimo danno al nemico, per distoglierlo dal perseguire la leadership e il comando. Essi continuano a resistere. Da più di un mese a Tripoli, ci sono zone in cui anche gli islamisti non sono ben d’accordo. E’ una loro (dei lealisti) scelta, è la loro città, e io li capisco.
L’attacco ebbe inizio. Abbiamo lasciato la casa vicino alla base del Bab al-Aziz […]. Solo poche ore dopo con diverse vetture abbiamo lasciato la città e ci siamo trasferiti in un luogo sicuro. Si è scappati appena in tempo – prima che colpissero tre volte consecutive la casa – bombe anti bunker e bombe di profondità. Le macchine erano jeep comuni, non ci sono “Mercedes” appositamente costruite per Gheddafi. Perché attirare l’attenzione? Anche se non ho dubbi che gli americani spesso sanno dove è al-Gheddafi. Ma i razzi e le bombe sono ripresi dopo 5 minuti dopo la partenza. Sembrano averlo dimostrato che da un momento all’altro si potesse essere distrutti, ma finora, a quanto pare, c’è un divieto di distruzione. Nel conflitto libico hanno fatto molta attenzione anche agli attacchi psicologici di informazione. “
[Continua]
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