Fuori dal debito, fuori dall’euro o fuori dall’Unione europea? – a proposito di un articolo di Vladimiro Giacché
di Stefano D’Andrea
Vladimiro Giacché ha scritto un articolo nel quale, in diciassette brevi paragrafetti, ricostruisce in modo persuasivo l’itinerario della crisi economica, considerata esattamente come un complesso di fenomeni causalmente collegati, iniziati nel 2007 (1).
Giunto alla situazione italiana attuale, alla quale dedica il diciottesimo paragrafetto, Giacché si sofferma sulle conseguenze che avrebbero le politiche di austerità: “Se prevarranno i pasdaran del pareggio di bilancio e della riduzione del debito a ogni costo, che hanno nella Bce il loro principale punto di riferimento e nelle sue ricette neoliberiste e reazionarie (pedissequamente eseguite dal governo Berlusconi) il più clamoroso esempio recente, il destino dell’economia italiana è segnato: nessuna crescita sarà possibile e quindi – precisamente per questo – il default sarà garantito”.
Tuttavia, continua l’autore, “l’alternativa non può essere rappresentata dalla parola d’ordine del ripudio del debito che qualcuno agita a sinistra. E non può esserlo per diversi motivi: a) Perché il default sul debito italiano sarebbe pagato in parte non piccola proprio dalla popolazione italiana e in particolare da lavoratori e pensionati che da decenni sono abituati a vedere proprio nei titoli di Stato il porto più sicuro per i propri (pochi) risparmi: in altre parole non si può, per il solo fatto che lo si desidera, dare al concetto di default selettivo (che significa semplicemente “non pagamento di alcune emissioni di debito e non di altre”) un significato diverso e più gradito (onorare il debito rispetto ad alcune classi di creditori e non ad altre); b) Perché ogni default costringe a un avanzo primario che non ha nulla da invidiare a quello richiesto dai più oltranzisti pasdaran del pareggio di bilancio, e questo per il semplice motivo che dopo di esso i mercati internazionali dei capitali sarebbero indisponibili a finanziare il deficit italiano per diversi anni; c) Perché un default andrebbe di pari passo con l’uscita dall’euro e una forte svalutazione, tra i cui effetti più immediati ci sarebbe una notevole deflazione salariale, nella forma di un crollo del potere d’acquisto dei lavoratori”.
Credo anche io che il ripudio del debito sia soltanto uno slogan, inidoneo a designare la scelta strategica per uscire dalla crisi e soprattutto per imprimere una diversa direzione alla storia della nostra nazione. Tuttavia il mio scetticismo sul ripudio del debito come scelta strategica si basa su altri argomenti. In particolare, in una recente nota, ho cercato di illustrare come una ristrutturazione del debito sia un rimedio tattico, da utilizzare nella situazione di difficoltà nella quale verremo a trovarci, ma non è la scelta strategica che occorre compiere (2). Gli argomenti di Giacché, invece, non mi persuadono e, nel fondo, dimostrano l’accettazione dogmatica dei principi del diritto dell’economia della UE.
Innanzitutto non convince l’idea che non si possa “per il solo fatto che lo si desidera, dare al concetto di default selettivo (che significa semplicemente “non pagamento di alcune emissioni di debito e non di altre”) un significato diverso e più gradito (onorare il debito rispetto ad alcune classi di creditori e non ad altre)”. Quella di Giacché è una petizione di principio. Infatti, il default selettivo non è un istituto giuridico. Non è un fatto giuridico conforme ad una fattispecie normativa. Non è un fatto che deve avere caratteri prescritti anteriormente da un legislatore in maniera generale ed astratta. E’ una scelta del debitore, la quale ha il contenuto che il debitore vuole (3). E’ il debitore a scegliere e ad accettare la certezza o il rischio di conseguenze non soltanto economiche e finanziarie, bensì anche politico-militari (sono molte nella storia le guerre scatenate dai creditori contro gli stati debitori insolventi). Il primo argomento addotto da Giacché contro il ripudio del debito, dunque, appare davvero destituito di ogni fondamento.
La seconda affermazione, invece, in sé considerata, è inoppugnabile: “ogni default costringe a un avanzo primario che non ha nulla da invidiare a quello richiesto dai più oltranzisti pasdaran del pareggio di bilancio, e questo per il semplice motivo che dopo di esso i mercati internazionali dei capitali sarebbero indisponibili a finanziare il deficit italiano per diversi anni”. Tuttavia, ciò che non convince di questo argomento è che esso consiste nella semplice enunciazione di un costo o sacrificio che la scelta del default implicherebbe (tra l’altro, quando i finanziamenti ricomincerebbero a tassi di interesse umani, il debito pubblico sarebbe comunque infinitamente minore). Qualunque obiettivo nella vita implica sacrifici. Più in generale, nella vita ogni scelta che ci troviamo a compiere implica vantaggi e svantaggi rispetto all’alternativa. Sicché l’indicazione degli svantaggi di una scelta non può essere considerata come un argomento contro quella opzione. Sarebbe bello (in realtà sarebbe orrendo) se nella vita si potesse seguire un percorso che è tutto un fluire di vantaggi e di utilità senza che l’aumento dei medesimi implichi anche oneri e doveri. Perciò l’argomento di Giacché non è risolutivo, perché in realtà non è un argomento. Un vero argomento avrebbe dovuto almeno illustrare che la somma degli svantaggi è superiore a quella dei vantaggi
La terza ragione per la quale Giacché è contrario al ripudio del debito è che “un default andrebbe di pari passo con l’uscita dall’euro e una forte svalutazione, tra i cui effetti più immediati ci sarebbe una notevole deflazione salariale, nella forma di un crollo del potere d’acquisto dei lavoratori”.
Giacché non spiega se egli sia contrario all’uscita dall’euro per ragioni teoriche o comunque strategiche. Dalla lettura di un altro suo recente articolo, nel quale, calcolatrice alla mano, e seguendo uno studio di Ubs, ha accertato il reddito pro capite che perderemmo uscendo dall’euro, non sembrerebbe (4). E’ proprio quella deflazione salariale che sarebbe tra gli “effetti più immediati” dell’uscita dall’euro a persuadere Giacché che dall’euro non si debba uscire. Ovviamente di uscire dalla UE nemmeno a parlarne (in realtà dall’euro si esce soltanto uscendo dalla UE).
C’è qualcosa che non convince nella impostazione dei ragionamenti di questo bravo economista che ancora vuole dirsi comunista. Una sorta di orrore del futuro. Una pervicace volontà di mantenere l’ordine esistente e di muoversi, certamente nel migliore dei modi, dentro il recinto nel quale siamo rinchiusi.
Vediamo di chiarire con qualche domanda.
Una politica volta alla piena occupazione e quindi ad ottenere salari decenti, implica una tassazione progressiva e una grave tassazione delle rendite, delle quali noi italiani siamo pieni, essendo stati un popolo di grandi risparmiatori? Ed è realistico pensare a simili regimi impositivi senza instaurare limiti alla libera circolazione dei capitali e quindi senza uscire dalla UE, che ha tra i principi fondanti la libera circolazione dei capitali (anche nei confronti dei paesi terzi)?
Se, come propone Giacché nel suo articolo, si deve “disboscare la giungla delle agevolazioni alle imprese (che costano 30 miliardi all’anno) indirizzando parte del ricavato per poche agevolazioni utili (incentivi alla concentrazione industriale e alla ricerca e sviluppo tecnologico)”, non è ugualmente necessario tornare a limitare la libera circolazione dei capitali e quindi uscire dalla UE?
Una politica per la piena occupazione e salari decenti, in una fase storica in cui emergono con forza paesi come la Cina, la Russia, l’India e il Brasile, implica provvedimenti protezionistici relativi a specifici settori e quindi l’uscita dalla UE, che ha tra i principi fondanti la libera circolazione delle merci e la dogana unica?
La ripresa delle esportazioni verso i paesi europei implica il ritorno alla moneta nazionale svalutata? Il ritorno alla moneta nazionale svalutata e opportune barriere protezionistiche potrebbero far risorgere il distretto tessile di Prato e altre realtà simili che abbiamo sacrificato al dogma della moneta unica e della dogana unica?
Se un contadino con cinque-sette ettari di terra deve riuscire a vivere dignitosamente (come avveniva un tempo non troppo lontano), come è possibile raggiungere questo obiettivo senza proteggere in modo assoluto i prodotti della nostra agricoltura e quindi senza uscire dalla UE?
Se, come propone Giacché nell’articolo dal quale abbiamo preso le mosse, “si deve restituire dignità e centralità al settore pubblico dell’economia, attribuendo ad esso un ruolo di orientamento e di indirizzo degli stessi investimenti privati sino ad introdurre elementi di pianificazione economica”, come è possibile farlo se l’UE è uno spazio senza frontiere dominato dalla concorrenza che non tollera monopoli e posizioni dominanti o anche aiuti di stato? Se la programmazione economica che si desidera è diversa dalla programmazione della concorrenza, come è possibile mettere in atto i desideri senza uscire dalla UE che ha nella programmazione della concorrenza la regola somma e non tollera aiuti di stato?
Giacché non propone di nazionalizzare le banche. Ma se si desiderasse nazionalizzare le banche e tornare a fare del credito un pubblico servizio, come ciò potrebbe accadere senza uscire dalla UE che impedisce i monopoli e considera il credito un servizio privato come tanti altri?
Più in generale, nel trentennio glorioso nel quale sono state applicate le politiche desiderate da Giacché, vigevano la libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali, il terrore dell’inflazione e la somma regola della concorrenza, o invece si giungeva a nazionalizzare l’energia elettrica e a creare e mantenere infiniti monopoli tramite le partecipazioni statali?
Da circa venticinque anni la sinistra socialista e comunista parla a vuoto, perché ha accettato premesse che tolgono ogni senso ai programmi che essa propone; programmi che, infatti, non sono applicati in nessuno degli Stati europei. Perché attendere che l’UE si disintegri da sola per l’assurdità di un sistema che genera necessariamente squilibri? Perché non prendere atto che lo stato sociale è per sua natura uno stato sociale nazionale (non è nemmeno pensabile uno stato sociale mondiale), mentre uno spazio aperto senza frontiere, privo di un potere politico centrale, non può che essere uno spazio dominato dal capitale?
Capisco perché la sinistra rimuove la verità. Dovrebbe accettare che da quasi trent’anni accoglie premesse incompatibili e incoerenti con i propositi dichiarati. Dovrebbe ammettere che è stata a dir poco sciocca. Che ha sacrificato completamente gli interessi che era chiamata a difendere. Che dirigenti incapaci hanno ingannato militanti e simpatizzanti.
Eppure mai come in questo caso conviene applicare il detto “meglio tardi che mai”. Più il tempo passa e più tutto quello che avevano costruito generazioni di italiani rischia di andare perduto, compresa l’unità della nazione.
(1) V. Giacché, Venti tesi sulla crisi http://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/1617-vladimiro-giacche-20-tesi-sulla-crisi.html
(2) La scelta strategica è l’uscita dall’euro o il default? https://www.appelloalpopolo.it/?p=4563
(3) G. Viale dà per scontato che i default selettivo possa assumere anche la forma che Giacché nega: G. Viale, Come guidare il default italiano, http://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/1616-guido-viale-come-guidare-il-default-italiano.html
(4) V. Giacché, 2011: fuga dall’euro? http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/21/2011-fuga-dalleuro/158863/
Sono profondamente deluso dalle parole di Giacché. Ultimamente credevo che si fosse spostato sulle nostre poszioni, ma l'articolo dimostra che la mia interpretazione era completamente sbagliata.
e dire che nella sua replica Stefano c'è pure andato leggero. Io avrei estrapolato solo una tesi dalle venti, l'ultima, quella "programmatica", chiedendo a Giacché quale partito in Italia (senza nemeno limitarsi al centro-sinistra) sia contrario a far pagare il debito agli evasori o a "alleggerire la fiscalità sui ceti più poveri e (..) rilanciare il welfare e grandi investimenti in formazione, ricerca e nelle infrastrutture utili"
Un vero rivoluzionario. A questo punto non posso che augurare una cosa, con tutto il cuore, a Giacché: che il PD e la Federazione della Sinistra si alleino per le prossime elezioni, che lui si candidi e che risulti eletto. Così almeno sarebbe tutto più chiaro.
C'è però un elemento che davvvero mi preoccupa.
Giacché sembra essersi uno dei pochissimi a sinistra a rendersi conto che "un default andrebbe di pari passo con l’uscita dall’euro". Questo depone a favore delle sue capacià di analisi, ben superiori a quelle di un Fumagalli; ma non fa ben sperare per il futuro del movimento anti-debito (Cremaschi, ecc). In buona sostanza: quando sarà chiaro che la bancarotta implica l'uscita dall'Euro, e questa la fine dell'Unione europea, non è che quanti coloro che oggi esclamano "non pagare il debito!" si trasformeranno in altrettanti, piccoli Giacché?
Siate indulgenti con i soliti errori di battitura
Il punto principale, per come la vedo io e detto molto semplicemente, è l'assetto strutturale del Nuovo Capitalismo, che fra i suoi elementi di struttura irrinunciabili (pena il crollo finale) ha la Crisi.
Quella del debito è proprio una crisi che consente espropri di risorse, ed è, per così dire, l'ultima frontiera neocapitalistica.
Le crisi si susseguiranno da qui alla metà del secolo, o oltre, finché questo nuovo modo storico di produzione resterà in piedi.
Prima la crisi finanziaria, poi quella del debito e domani chissà …
Ai globalisti dominanti non importa nulla se "falliscono" (con default drammatici o pilotati) i vecchi stati finiti nel loro spremiagrumi, e se i popoli ex ricchi saranno ridotti in miseria.
L'unica soluzione, a questo punto, sarebbe la "critica delle armi" diffusa in vaste aree (e la Rivoluzione), ma non è il caso di parlarne, vista la condizione di gran parte della popolazione.
Cari saluti
Eugenio Orso
NOI DA SOLI 3.0
CRISI.
I mezzi di comunicazione di massa ci stanno ossessionando che "da soli" finiremmo molto male.
Riceviamo letterine al veleno da Francoforte e svendiamo la nostra sovranità al peggior offerente.
Eseguiamo i compiti che il signor maestro Trichet-Draghi ci impone e ne il governo ne è orgoglioso.
Mi chiedo dove andremo a finire? In molti ormai se lo chiedono e sono in piazza, laggiù, in tutto il mondo, a indignarsi.
Ma intanto scorre il tempo inesorabilmente verso la crisi finale, voluta, davvero voluta, da lor signori.
E' un problema di tempo, nella sua dimensione terrena: più scorre il tempo più aumentano i debiti e si accatastano fuori casa come legna da ardere. Crisi alle porte.
DIGNITÀ
Penso che questa crisi si risolva in una questione di dignità e questo blog che proprio s'intitola De Hominis Dignitate deve ricordare, deve urlare che la DIGNITA' DELL'UOMO, di uno qualsiasi di noi NON ha prezzo, né relativo conseguente interesse.
Il denaro è solo una misura della ricchezza, come il litro per la capacità, ma esso ha sostituito la dignità umana, la tenerezza, l'asprezza del rapporto tra esseri uguali tra loro, DEGNI di vivere su questa terra, senza confini, in libertà.
Tuttavia la catena finanziaria che attanaglia il mondo presto si spezzerà e sparirà in un giorno e in una notte, come accadde al faraone egiziano e all'imperatore romano.
SIMONE MARTINI
Possiamo quindi agire da SOLI, senza altro aiuto che noi stessi per mettere la persona umana al centro del bene comune , del bene di tutti.
Insieme possiamo farcela, insieme possiamo vivere con dignità e senza paura guardare avanti al nostro futuro.
Simone Martini ha affrescato questo concetto.
“..la sinistra rimuove la verità … accoglie premesse incompatibili e incoerenti con i propositi dichiarati …. ha sacrificato completamente gli interessi che era chiamata a difendere …”
@Stefano D’Andrea
Prima premessa : confesso di non sapere a quale sinistra Giacchè appartenga e quindi non ho capito quale “sinistra” critichi . Ma immagino ( se ho frainteso correggetemi ) che quando si parla di “sinistra” ci si riferisca sempre all’area di Rifondazione , Sinistra Critica , Ferrando , Cremaschi ecc.. Perchè non credo si possano definire Letta jr , Veltroni & C. “di sinistra” .
Seconda premessa : è da poco che leggo questo blog , quindi non so se ti sei già espresso sulla questione che ti pongo
Ora , qui sotto metto un link e ne riporto alcuni contenuti . La domanda è questa : se non ho frainteso nella mia premessa , per quale motivo per te queste proposte “ sacrificano gli interessi che la sinistra è chiamata a difendere “ ?
http://web.rifondazione.it/viii/?p=60
EUROPA
1) Modifica dei trattati di Maastricht e dello Statuto della BCE trasformandola in una Banca Centrale sottoposta alle direttive del Parlamento Europeo e avente come obiettivi istituzionali la piena occupazione e il finanziamento dei Fondi Comunitari e degli Stati membri, attraverso l’acquisto diretto dei titoli di Stato.
2) Forte tassazione comunitaria sulle transazioni finanziarie speculative a partire dall’introduzione immediata della Tobin Tax, abolizione dei paradisi fiscali, introduzione di una regolamentazione rigorosa dei mercati finanziari.
3) Messa in discussione degli accordi GATT e WTO con la ricontrattazione dei dazi per quanto riguarda le merci e l’introduzione del “labour standard” per la loro circolazione. Adozione di un comune sistema fiscale. Definizione di una politica economica finalizzata alla piena occupazione e alla riconversione ambientale e sociale dell’economia. Misure di contrasto alle delocalizzazioni produttive.
Contro l’Europa della BCE e dell’asse franco- tedesco perseguiamo la costruzione di un’area euro-mediterranea che sposti l’asse delle politiche europee verso il Mediterraneo facendo di quest’ultimo un luogo di formazione di relazioni solidali sul piano economico, culturale e civile.
Se le proposte che avanziamo sul piano europeo, in particolare in relazione alla BCE, non dovessero trovare risposte positive e continuassero gli attacchi speculativi, l’Italia deve ristrutturare il debito, garantendo per intero i piccoli risparmiatori e allungando unilateralmente i tempi di restituzione e la definizione delle cifre da restituire alle grandi finanziarie, cioè agli speculatori. Anche se nessuno ne parla, l’Islanda lo ha fatto con ottimi risultati.
L’ITALIA
1) Contrastare la speculazione e la finanziarizzazione. Se la misura più efficace per contrastare la speculazione nell’immediato passa dall’acquisto diretto da parte della BCE dei titoli degli stati membri, sul piano nazionale occorre vietare la vendita di titoli allo scoperto, come altri paesi a partire dalla Germania hanno fatto.
Occorre costruire un polo pubblico del credito, nazionalizzando le banche di interesse nazionale, trasformando la Cassa Depositi e Prestiti in un banca pubblica, nel mantenimento pubblico di Poste. Occorre separare le banche di deposito da quelle di investimento e dare applicazione immediata delle regole di Basilea 3 e al divieto di gestione fuori bilancio di qualsiasi titolo …. Ecc…
2) ….. occorre quindi un intervento pubblico sul terreno delle politiche industriali …
rafforzare l’apparato produttivo e operare una sua riconversione ambientale che promuova la “filiera corta” delle produzioni, dentro un modello di pubblico fondato sul protagonismo delle comunità, dei lavoratori, dei cittadini, sulle scelte di fondo di “cosa, come, per chi produrre” …
Ecc..
3) Redistribuire la ricchezza : … Ecc..
ciao , e grazie per l’eventuale risposta
Le cose scritte in questo programma le condivido nel contenuto quasi tutte o forse tutte. Se dai una scorsa ad alcuni miei vecchi articoli, scoprirai che le ho scritte forse prima di altri. E ovviamente le penso da molti anni.
Credo inoltre che la "critica" sia parziale e che vi siano molti altri profili che meritano la medesima radicalità e sui quali forse i partiti di sinistra (che sono quelli che dici tu. Gli altri nemmeno li considero) tacciono, magari soltanto per mancanza di analisi.
Comunque, tralasciando le lacune, in questi anni, i partiti di sinistra li ho sentiti parlare dei dico, degli extracomunitari, della necessità di cacciare Berlusconi, dei diritti umani, di globalizzare i diritti, di speranze riposte o sperate in Obama, dei movimenti, dei beni comuni (per carità, chiamarli beni pubblici è peccato!). Sono stati favorevoli alla riforma Berlinguer che attuava strategie europee. Hanno votato la riforma costituzionale che ha introdotto il federalismo (vedi sotto) e la legge Treu. Sono anche stati favorevoli o non proprio contrari alla guerra in Libia. E sono stati al governo quando si rifinanziavano guerre in corso.
Oggi hanno questa ventata di radicalismo, perché temono che la gente non voglia votarli, se decidono di stare nell'alleanza PD-SEL. Ma questo nuovo radicalismo è parolaio, perché vuole realizzare obiettivi nella UE. La UE ha per rappresentanti i governi degli Stati e soltanto i governi possono modificare qualche cosa. Ciò che essi propongono è il contrario della UE. Dunque pensano a una UE che trasforma sé stessa nel contrario di sé stessa. Sono stupidi o ingannano i potenziali elettori in mala fede? Il popolo tedesco è all'80% contrario a ciò che propongono loro; in particolare i sindacati. Infatti si trattarebbe di un trasferimento di ricchezza dal popolo tedesco complessivamente considerato ad altri popoli. Non si farà mai ciò che essi vogliono. E' così difficile capirlo? Mica tutti i popoli e le classi dirigenti sono come siamo diventati noi! O meglio non sarà la UE a trasformare sé stessa. Distrutta la UE, non ho nulla in contrario che gli stati si mettano a tavolino e realisticamente comincino un percorso diverso che in cinquanta-sessanta anni (quanti ce ne sono voluti per creare questa UE) possa portare agli obiettivi di rifondazione (ma, a rigore, dovremmo prima chiarirci perché vorremmo allontanare la sovranità dal nostro Parlamento per trasferirla a un parlamento europeo. Non è così ovvio che si debba desiderare questo progetto).
Dunque, un programma parziale, tardivo e velleitario. Soprattutto che non comporta responsabolità. Si candidano al parlamento italiano con un programma realizzabile soltanto col consenso dei governi che rappresentano l'unanimità degli stati europei, comprese Germania, Austria e Olanda che non accetteranno mai quelle modifiche. Ti sembra una cosa seria? A me sembrano le idee che si esprimono in un'assemblea di liceali infervorati. Ma le idee che in bocca ai liceali fanno ben sperare, in bocca a politici sessantenni fanno ridere.
Perché non propongono di realizzare quel programma in Italia? Perché non propongono l'uscita dalla NATO (l'idea di una UE socialista con le basi Nato in tanti stati fa ridere soltanto a pensarla)?. Te lo dico io. Perché non potrebbero allearsi con SEL e PD (tattica). E perché dovrebbero andare contro il loro falso (o meglio erroneo) internazionalismo, che li ha condotti ad un cieco europeismo e ad accettare, pressoché in silenzio, la UE così come è (il peggior capitalismo pensabile) e quindi la situazione in cui ci troviamo. Io, nel mio articolo, ho invitato Giacché (che era di sinistra critica e ora è del PDCI) a proporre quel programma per L'Italia. Però bisognerebbe essere rivoluzionari, coraggiosi ed onesti e non desiderosi di preservare le poche strutture esistenti (se non riescono a pagare i funzionari e a eleggere persone, i dirigenti fuggiranno tutti in SEL e persino nel PD), pavidi e in fondo ingannatori dei propri elettori.
Per quanto riguarda, invece, il programma da realizzare in Italia, nella parte non generica, esso è irrealizzabile rimanendo nella UE: 1) qualsiasi provvedimento volto a realizzare la filiera corta contrasta con la libera circolazione delle merci e dei servizi e il parlamento italiano non lo può validamente adottare nemmeno all'unanimità e nemmeno riformando la costituzione: prevale il diritto dei trattati eurpei: sulle leggi ordinarie per espressa disposizione di una norma costituzionale – art 117 – che il malefico centrosinistra ha introdotto nel 2001 con votazione passata per tre soli voti – "le riforme costituzionali devono essere condivise"! Maledetti; sulle norme costituzionali (alcune di esse: tutte quelle socialiste) per assurda giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia europea – la vera sovrana delle nostre vite); 2) il "modello di pubblico fondato sul protagonismo delle comunità, dei lavoratori, dei cittadini, sulle scelte di fondo di cosa, come, per chi produrre" è il modello delineato dall'art. 41, 3° co. della Costituzione, il quale è quiescente, perché contrasta radicalmente con i Trattati europei che hanno l'obiettivo di costruire il "mercato interno come spazio aperto senza frontiere dominato dalla libera circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi, dei lavoratori e delle imprese". Direi o l'uno o l'altro. Ci vuole molto a capirlo? Quando lo capiranno i dirigenti della sinistra comunista che l'europa è un cappio? (Rizzo ci è arrivato, dopo tanto. Ma molti non lo seguono, perché appare opportunista. Non puoi far politica per venti anni da deputato anche europeo e poi sostenere che la UE è il diavolo, quando prima non l'hai mai detto. O meglio lo puoi fare; ma devi stare in disparte, altrimenti la gente ti disprezza; sei costretto a combattere soltanto per le idee e non per il potere (detto questo, io personalmente sono felicissimo che Rizzo sia uno dei primi comunisti di rilievo nazionale ad essere radicalmente antiUE); 3) Nel n. 1 del programma che hai trascritto sono indicate cose importanti. Ma ancora una volta, almeno per alcuni provvedimenti c'è un problema: l'UE. "per costruire un polo pubblico del credito, nazionalizzando le banche di interesse nazionale", oggi che le hai privatizzate, non puoi più tornare indietro, perché sei soggetto ai principi della concorrenza e dell'antitrust europeo. Dunque niente monopoli e niente costruzione di posizioni dominanti; e niente aiuti di stato, al di fuori di autorizzazioni UE. Insomma, non possiamo fare sniente se non sviluppare il libero mercato capitalistico assoluto e nichilistico. Questa è la UE!
Non sono loro che devono guidare noi (me, te e altri). Siamo noi che dobbiamo prendere il potere e tracciare la direzione, almeno per una minoranza destinata a stare all'opposizione per un po' di tempo e che voglia costruire un Fronte popolare italiano. Non gli toglieremo certo il diritto di votarci e di sostenerci! Ma non sono loro la classe dirigente che può illuminare questo martoriato paese. Di Vendola poi non parlo. Se fai una ricerca sul sito ho già scritto in tre occasioni che sarebbe una sciagura totale.