Sindacati gialli
di Tino Di Cicco
Dalla nomina dei parlamentari a quella dei sindacalisti : il porcellum ha fatto scuola.
Nei Paesi democratici all’italiana l’importante sembra escludere quel popolo che pensa in proprio.
Dal 1° gennaio 2012 non saranno più gli operai ad eleggere i loro rappresentanti, ma i rappresentanti degli operai ( i sindacalisti) verranno nominati dai vertici delle burocrazie sindacali. Ci manca solo che i vertici delle burocrazie sindacali abilitati a trattare con Marchionne vengano nominati direttamente da Marchionne. E allora il capolavoro sarebbe completo.
La democrazia-da-esportazione è l’ideologia che muove la politica dell’Occidente; però nelle fabbriche dove si producono i bombardieri per quelle guerre, la democrazia deve essere sospesa in attesa di tempi migliori; così parlò Marchionne-Fiat.
Certo che i sindacati esclusi ( per adesso Fiom) non avranno vita facile. Ma per quelli inclusi, forse è molto peggio. Una volta c’erano i “sindacati gialli”, ed erano derisi perché ascoltavano solo la “voce del Padrone”. Con Marchionne hanno avuto la loro grande rivincita; adesso sono ammessi solo i sindacati gialli : forse perché il modello cinese ha fatto scuola.
In altri tempi questi comportamenti sono stati chiamati anche dittatura, ma noi possiamo chiamarli : “completamento della libertà”.
Dopo aver subito l’antipasto che ci ha espropriato del diritto di eleggere i nostri rappresentanti in Parlamento, adesso agli operai tocca anche subire l’esproprio del diritto di eleggere i loro rappresentanti in fabbrica. E’ il nuovo che avanza.
Ancora un poco e la nostra società passerà dalle recenti aspirazioni al modello Quality del Giappone, a desiderare gli standard dei diritti degli operai cinesi.
Sembra però che il “buon datore” ( di lavoro) lascerà anche una mancia agli operai che acconsentono.
In altre realtà del mondo l’adesione degli operai agli interessi della fabbrica si conquista con la partecipazione alla gestione della stessa fabbrica ( modello renano ). Negli Stati Uniti i profitti delle società vengono ridistribuiti anche agli operai ( vedasi la Chrysler ); da noi sarebbe troppo. Da noi gli operai non sono all’altezza, pensano Lor-Signori. Anche se quegli operai non-all’altezza, difficilmente sarebbero all’altezza delle Loro bassezze. Da noi gli operai puzzano ancora di “comunismo”; sono immaturi per condividere la gestione di una fabbrica o per condividere gli utili della stessa fabbrica.
Sicuramente i sindacati hanno anche le loro responsabilità nella deriva antisindacale dell’ideologia Marchionne-Fiat, ma i sindacati ( gialli ) che accettano l’esclusione del sindacato più rappresentativo tra i lavoratori, solo per aumentare la loro rendita di posizione; solo per far crescere i dividendi della vergogna, con quale faccia domani verranno nelle piazze o nei salotti ( televisivi) a parlarci di democrazia e di libertà ?
la democrazia è stata assassinata, il parlamento non esiste più, i sindacati di classe sono stati in pratica dichiarati fuorilegge, le regole democratiche costituzionali, quelle sorte dal 25 aprile 1945, sono in pratica state cancellate, e per ripristinarle urge ribellarsi a quanti partiti e sindacati gialli sono conniventi con la "filosofiat", che affonda le proprie radici nel fascismo.
Niente esiste più. Non molti se ne sono accorti. E la maggior parte di coloro che hanno capito, si sono svegliati da poco. Svegliati da un sonno profondo fatto di credito al consumo, riduzione dei figli; individualismo liberale (estinzione dell’obbligo di lasciare ai figli almeno quanto si è ricevuto dal padre); possibilità di recarsi all'estero; consumazione dei beni che ci consumano.
Perciò è ingenuo asserire che occorre ribellarsi. Giusto, sacrosanto ma ingenuo. Siamo al tempo dei profeti. Siamo nel 1820 e non nel 1860 o nel 1870 o nel 1915. Siamo a Buonarroti, non nel 1917. Ficchiamocelo in testa. Noi agiamo nell'iunteresse dei nostri figli e nipoti.
Osservazioni giuste, sacrosante, ma in parte fuorvianti. Il riferimento al “modello cinese” come paradigma assoluto di sfruttamento e degenerazione finisce per ricollocare il senso generale del discorso nell’astratta e ipocrita ottica dell’Occidente liberale, dalla quale discende l’espropriazione di diritti che qui viene giustamente lamentata.
Questa ottica prescinde totalmente e intenzionalmente dalla storia, perché considerare la storia effettuale e concreta è cosa che assolutamente non le conviene. La storia non è soltanto storia di lotte di classe all’interno dei singoli paesi, ma anche e soprattutto storia delle lotte di popoli e nazioni per la sopravvivenza o la supremazia.
Quando si parla di Cina, prima di emettere giudizi sommari, per capire la giusta concatenazione degli eventi si dovrebbe sempre partire dalle guerre dell’oppio. Allora si capirebbe perché in Cina lo sfruttamento può raggiungere -in certi casi!- vette parossistiche: una nazione, per quanto grande, non può vivere beatamente avulsa dal resto del mondo e questo i Cinesi lo hanno capito fin dal 1839 (prima guerra dell’oppio). Dopo la scomparsa dell’Urss l’Occidente è disposto ad accettare la Cina non come partner, ma solo come nazione subordinata, perciò il dilemma “soccombere o prevalere” si è riproposto in tutta la sua drammaticità. La Cina –governo e popolo- tenta di prevalere: sono le regole della geopolitica, che fanno da sfondo e vengono prima dei fittizi “diritti umani” e – al limite- anche dei diritti sindacali e sociali. Questi ultimi sono reali e importanti, al contrario dei primi, ma sono pur sempre relativi al contesto storico e geopolitico.
Il problema da affrontare a mio avviso è: come devono regolarsi i lavoratori in Italia-Occidente per difendere i propri diritti senza finire subalterni (come nel caso dei “comunisti” residuali di casa nostra) alla geopolitica Occidentale mascherata da false astrazioni universalistiche? E’ possibile respingere il ricatto di Marchionne : o i lavoratori accettano condizioni semischiavistiche per aumentare la produttività, oppure la fabbrica si trasferisce altrove? Io penso di sì, ma bisognerebbe prima essere disposti a spezzare il contesto in cui l’Italia si trova incastrata, riconquistare la sovranità,
cercare nuove relazioni internazionali…una ricerca tutta da impostare e approfondire.
giusto e sacrosanto ribellarsi, ma ingenuo; caro d'andrea se vogliamo costruire un partito che rappresenti gli interessi dei ceti sociali subalterni, bisogana pure pensare di ribellarsi contro il sistema vigente; affermi essere ingenua la mia esortazione alla ribellione,e chissà sarà ingenuità la mia; proponimi una alternativa credibile e realizzabile, altrimenti anche tu parli il politichese, che tanto danno ha fatto; saluti comunisti, da un residuale, ma sempre convinto della strada maestra del socialismo.
Sono d'accordo che l'alternativa debba essere credibile e realizzabile. La rivoluzione non è né l'una né l'altra. Parlo della rivoluzione. Non della sollevazione, che è un concetto tanto indeterminato da essere indefinito. Né parlo del colpo di stato. Ebbene la rivoluzione richiede un principio (che forse c'è, ma sul punto ancora non si è raggiunto un accordo significativo), un soggetto (che non c'è), una condizione prerivoluzionaria che non c'è (o ancora non c'è.), un piano (che non c'è) una volontà o disponibilità all'uso delle armi, che non c'è. Insomma, manca quasi tutto. Questo non vuol dire che tra dieci anni, se saranno apparsi gli elementi della rivoluzione, quest'ultima non possa materializzarsi. Oggi, però, non sappiamo nemmeno quale entità si materializzerebbe.
L'alternativa alla rivoluzione sono la diffusione di idee, l'aggregazione, l'organizzazione, il proselitismo, l'elaborazione, la selezione di un gruppo di uomini, che possano dirigere un progetto complesso; e molto altro. Nell'agire si deve essere sempre consapevoli dei propri limiti numerici, organizzativi, teorici, ecc. C'è un campo vastissimo tra il politichese e la rivoluzione. E sovente il puro politichese consiste proprio nel discorrerre di rivoluzione.