Riflessioni per un neosocialismo (parte III)
di MARCO DI CROCE (FSI-Riconquistare l’Italia Roma)
9. L’elaborazione della filosofia della praxis in termini solo negativi ha portato all’incomunicabilità intergenerazionale del lavoro teorico svolto dalla classe dirigente italiana della prima repubblica.
L’assenza di una elaborazione positiva della filosofia della praxis determinò, per il socialismo italiano, la necessità del riferimento in negativo a una serie di pensieri e circostanze note alla generazione che militava negli anni Venti e Trenta del Novecento, ma che non poté essere trasmessa alle generazioni future, richiedendo, questa, non lo studio di una filosofia, ma di molte altre, per poter ritagliare quello spazio che rimaneva una volta negate tutte queste. In altri termini, il mancato compimento del progetto di elaborazione della filosofia della praxis determinò la incomunicabilità (su larga scala) di essa alle generazioni successive.
Con questo non ci si deve illudere che se vi fosse stata un’elaborazione positiva di questa filosofia non sarebbe stata necessaria la discussione continua che fa parte della vita del militante nel partito, perché anche in questo caso molti riferimenti sarebbero venuti meno e sarebbe stato necessario lo studio e la discussione. Ma la mole di lavoro intellettuale richiesta per averne almeno un’impressione sarebbe stata sufficientemente ridotta da poter essere diffusa su vasta scala.
Invece, data la necessità di giungervi per negazione di altre filosofie che erano note alla classe dirigente formatasi nei partiti italiani in vario modo socialisti, ma che non potevano rimanere note alle generazioni successive, il lavoro necessario per giungere anche solo a un’impressione della filosofia della praxis si è rivelato fuori dalla portata della base.
10. La cultura del socialismo italiano, nel ricambio generazionale della classe dirigente, subì l’influenza del socialismo europeo
Nel ricambio generazionale della classe dirigente italiana durante la prima repubblica, il socialismo italiano ha subito l’egemonia del socialismo europeo, il quale era rimasto molto indietro rispetto a quello italiano. La scuola di Francoforte è un esempio dello stato in cui versava l’avanguardia socialista fuori dall’Italia. Nel 1947 Max Horkheimer e Theodor Adorno riconducevano il nazismo alla filosofia moderna, alla razionalità del Settecento, a presunti soggetti forti di Cartesio, di Kant… parve che questi soggetti, che in realtà erano evanescenti, fossero “forti” quanto lo spirito hegeliano. Si credette, cioè, alla favola della continuità tra filosofia moderna e idealismo tedesco.
Nacque in Italia il “pensiero debole” di Vattimo, Rovatti, Eco, ecc. ed ebbe diffusione non irrilevante. Heidegger, del quale abbiamo scoperto solo recentemente quanto fosse rimasto vicino al nazismo, venne studiato come un pensatore di riferimento. In breve, quegli autori di cui György Lukács ne La distruzione della ragione dimostrò tanto bene l’irrazionalismo e il rapporto con la filosofia della vita e il nazismo, vennero eretti a filosofi di riferimento. L’egemonia del pensiero socialista d’oltralpe pervase la cultura intellettuale italiana e potendo essere assorbita rapidamente nelle sue immagini basilari si diffuse nelle basi dei partiti.
Il postmoderno, l’opposizione al fallo-logo-carno-centrismo, l’antitradizionalismo europeo arrivò in Italia e prese d’assalto la massa. Le colpe delle atrocità della Seconda guerra mondiale non erano da individuare in avvenimenti e idee ad esse vicine, non erano da individuare nella filosofia del primo Novecento, né in quella dell’Ottocento: queste infatti erano molto care a questi teorici. Tutto ciò che venne prima, l’origine dell’”occidente” era la causa del male, da Socrate in poi per fermarsi da qualche parte tra la fine del Settecento con Kant e la seconda metà dell’Ottocento appena prima di Nietzsche, filosofo di riferimento per tutti questi nuovi filosofi del socialismo.
Fu in questo clima che nacque l’eurocomunismo. L’autofustigazione morale nella condanna della propria tradizione millenaria legittimò il progetto dell’unità europea, non c’era da temere il suprematismo di nessuno: si facevano tutti schifo.
11. La mancata elaborazione positiva della filosofia della praxis permise un mutamento silenzioso dei fini della classe dirigente socialista italiana e mentre questo avvenne
mancarono le parole necessarie a riconoscerlo e a criticarlo
Fu questo, credo, un elemento importante, tra i molti, che portò alla dissoluzione della classe dirigente socialista italiana nella vasca d’acido dell’europeismo, delle privatizzazioni, dello smantellamento dello stato sociale, nel tradimento della giustizia distributiva e della libertà e l’uguaglianza del secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione. Il socialismo della prima Repubblica italiana fu un socialismo che aveva abbandonato completamente nei fatti, ma che mai riuscì ad abbandonare nella dottrina verbale, il socialismo ortodosso. Fu un socialismo che non seppe riconoscersi essenzialmente democratico, parlamentare e partitista e che invece continuò a rappresentare sé stesso come parte di un movimento che era morente nella rincorsa alla dittatura del proletariato, fallendo ripetutamente nel raggiungerla o riuscendo a raggiungerla.
Così nel ricambio generazionale non si dovette dichiarare l’abbandono di principi, il mutamento di fini, di ideologia, perché questi erano stati espressi dal socialismo italiano soltanto nei fatti e non nei termini dell’ideologia di partito. Verbalmente sembrò semplicemente un mutamento di strategia, non di fini. Mentre Gramsci aveva individuato nel parlamentarismo la strada per la “società regolata” la nuova classe dirigente la trovò nell’europeismo. Se le “tappe intermedie”, come la repubblica, erano solo tali, si potevano mutare senza tradire la dottrina. Questo fu reso possibile anche a causa della mancanza della affermazione delle conseguenze ultime di una filosofia della praxis a causa della sua incompletezza.
Per esempio, che la “società regolata”, quella cioè dove il potere coercitivo dello stato sarebbe venuto meno, non fosse veramente un fine raggiungibile ma un ideale regolativo, fatto per la riflessione, e che dunque non si poteva “mutare strategia” per raggiungerlo perché esso non era affatto raggiungibile, sarebbe stato utile averlo scritto nero su bianco. Così come il testo di Gramsci, anche la costituzione e la politica della Prima Repubblica possono considerarsi come dei fatti da cui estrapolare una filosofia implicita, ma questa dovrà, una volta per tutte, essere espressa positivamente.
12. L’elaborazione positiva della filosofia della praxis può partire recuperando il filo interrotto della filosofia moderna, recuperando la filosofia di Kant
Determinare positivamente la filosofia della praxis è necessario per non incorrere in futuri ricambi generazionali totali. Per avere le parole necessarie a riconoscere e indicare un errore. Per svolgere questo compito si può avere, come guida, la coscienza che la politica che ne deve discendere non può essere troppo diversa da quella che ha avuto luogo nel paese dove il socialismo democratico è stato più avanzato, nel trentennio glorioso, ma questo può essere soltanto un riferimento euristico e di per sé non è sufficiente.
A ben vedere, noi abbiamo un altro elemento fondamentale per rintracciare lo sviluppo della filosofia più adeguato a determinare positivamente quella filosofia che non è né materialismo delle idee né idealismo della materia e che Gramsci riuscì a determinare solo negativamente, pur comprendendone alcune conseguenze. Infatti, se il liberalismo ha tratto i suoi principi dall’empirismo inglese, allora è nella filosofia che ha saputo meglio rispondere all’empirismo inglese che troveremo la filosofia per superare il liberalismo.
In quella filosofia che faceva ancora parte della filosofia moderna, che si confrontava con i suoi problemi e con i suoi critici, che prese sul serio il problema posto dagli empiristi inglesi e che riuscì a risolverlo. La filosofia di Kant, del quale lo stesso Gramsci in più punti dei Quaderni del carcere ricorda confusamente l’interesse, soprattutto sul tema della teleologia (tema centrale per la questione del rapporto tra azione e fisica o scienza naturale). Secondo gli idealisti tedeschi la risposta che Kant diede all’empirismo inglese fu il loro stesso idealismo ma menomato, un inizio della filosofia che loro avevano compiuto: ognuno disse questa cosa per la sua propria filosofia.
Kant, tuttavia, come abbiamo osservato parlando del suo testo rivolto a Fichte, non era affatto dello stesso avviso. La soluzione degli idealisti tedeschi al problema di Hume (come conoscere la natura?), fu di sostenere che la cosa è già conosciuta, che è in sé stessa un’illusione creata, nella sua esistenza, dal pensiero. Kant confutava questa opzione nei paralogismi della seconda edizione della Critica della ragione pura.
13. Il neosocialismo è necessario per emanciparsi dai principi che hanno portato il socialismo alla disfatta e per elaborare una filosofia del socialismo nello stato di diritto
democratico parlamentare
Ecco, dunque, un aspetto della necessità del neosocialismo, specialmente in Italia. La necessità della teorizzazione sistematica della giustizia distributiva, della dignità del lavoro, dello sviluppo della persona, della libertà reale, nello stato di diritto, nella democrazia rappresentativa, nello scontro tra partiti per l’egemonia civile, l’abbandono delle illusioni della fine della storia, della predeterminazione della vittoria, del passivismo, del “la storia è dalla nostra parte”, la consapevolezza della libertà dei popoli, dell’indeterminazione del futuro, della responsabilità politica, della sovranità popolare, la determinazione positiva della filosofia a fondamento di questo progetto, per permettere, ma non garantire, che le generazioni future non debbano svolgere tutto il lavoro daccapo, ma abbiano un vocabolario per distinguere gli abbagli che ci sono noti dalle soluzioni che ci sono note.
Un aspetto della necessità del neosocialismo sta nella necessità di interrompere la tradizione del matrimonio del socialismo con una filosofia che ha concorso alla sua dissoluzione nel liberalismo, persino in Italia dove questa tradizione era stata parzialmente interrotta, nella necessità di elaborare la sola filosofia che può confutare quella neoliberale, o liberale di massa, andando riconnettersi con quell’opera di critica che era nata alla fine del Settecento e che è stata interrotta e dimenticata nel giro di qualche anno.
[fine]
Qui la prima parte del saggio
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