L'amore agito
di Alessandro Bolzonello
Nessun ‘educatore’ è stato importante nella mia vita.
Ne ho incontrati molti lungo il mio cammino. Hanno rappresentato, sì una fonte di informazione, sì una occasione di confronto ed elaborazione, ma non sono mai diventati dei maestri di vita.
Nessuna azione educativa e, aggiungo, di cura può essere efficace se limitata all’esercizio di tecniche, magari eccellenti, aggiornate, anche certificate. Ecco la diffusione degli educatori professionali, dei professionisti della solidarietà, per non parlare dei professionisti della pace, compresa quella armata.
Il professionismo, cioè la trasformazione di un'attività disinteressata in un mestiere e in una fonte di reddito, può essere utile per l’esercizio di funzioni tecniche e operative (realizzare opere e coordinare attività), ma risulta insufficiente per l’azione filantropica che etimologicamente rinvia ad un sentimento di amore (filìa) nei confronti degli esseri umani (ànthropos).
Contestualmente si assiste alla deriva della stessa filantropia: viene prevalentemente tradotta e svilita in banale esercizio della beneficienza nella quale vige la collusione tra ‘chi da’ e ‘chi riceve’; una sorta di scambio tra l’‘appagamento’ del dare dovuto al ‘sentirsi giusti e a posto” e il beneficio del ricevere, in moneta oppure in natura.
Solo l’entrare in relazione incide nella vita umana.
Qualche anno fa una anziana insegnante di mio figlio, tutta emozionata e con grande umiltà, ha confessato: devo ammettere, e l’ho scoperto solo recentemente, che ogni forma di apprendimento è legata ad un’esperienza emotiva, – io aggiungo – ad un’esperienza d’amore.
Chapeau, ‘tanto di cappello maestra’. Ancor più perché ho potuto constatare che il dichiarato trovava corrispondeva con la vita vissuta e agita, giorno dopo giorno, senza riserve. Ma non è necessaria la consapevolezza, l’importante è l’azione.
Ebbene sì, l’incontro con persone di questo tenore è stato decisivo nel dare forma a ciò che sono. A costoro sono enormemente grato. Sono persone, anche semplici, che hanno accettato di mettersi al mio fianco, in relazione con me, accogliendomi per quel che sono. Questo è amore agito. Costoro hanno nutrito la mia vita, sono diventati parte di me.
L? artucolo mi é piaciuto moltissimo e mi trova perfettamente d' accordo.
Personalmente trovo che un' espressione particolarmente irritante di questa "professionalizzazione della filantropia" sia costituita dall' abuso della psicologia (conseguenza anche del forte potere di condizionamento della lobby degli psicologi).
Ormai da anni in occasione di gravi sciagure (disastri aerei, ferroviari, terremoti, ecc.) i giornalisti ci informano con totale naturalezza, come se fosse qualche cosa di assolutamente ovvio, pacifico, che vengono inviati in soccorso ai sopravvissuti non solo medici, pompieri, funzionari della protezione civile, al limite contingenti militari, ma anche psicologi.
Ora a me sembra che dovrebbero avere bisogno dell’ opera di psicologi persone che si trovino in condizioni mentali anomale, patologicamente alterate per lo meno in una qualche misura, non persone “normali“, ovvero psicologicamente sane, che si trovino ad affrontare gravi disgrazie, dispiaceri, lutti; i quali ultimi sono purtroppo casi della vita del tutto “fisiologici”, che possono ben accadere a chiunque.
Una persona psicologicamente normale di fronte ad una grave disgrazia cercherà di reagire facendo leva sulla propria forza d’ animo, sull’ aiuto di amici, conoscenti, parenti, al limite di “buoni samaritani” fino ad allora sconosciuti ed animati da disinteressata pietà e solidarietà umana. Non diventa ipso facto un “malato mentale” o comunque una persona psichicamente “anomala”, bisognosa di “terapie”.
Inoltre mi domando che efficacia potrebbe avere un intervento “professionale”, esercitato come mestiere e regolarmente retribuito, allo scopo di dare solidarietà umana, consolazione, sostegno morale a chi -mentalmente del tutto sano- sia colpito da gravi lutti o sciagure, quando il disinteresse, la gratuità è con ogni evidenza un prerequisito indispensabile, una conditio sine qua non perché tali forme di aiuto fraterno (per l’ appunto!) abbiano una qualche efficacia: il pretendere di arrecare una consolazione a pagamento, da parte di un professionista per essa pagato, mi ricorda molto da vicino l’ assurda pretesa di vendere o comprare l’ amore attraverso la prostituzione.
…A meno di considerare “patologico”, anomalo, non facente parte della normalità della vita (accanto alla gioia e alla felicità, ovviamente e per fortuna!) anche il dolore, per l’ appunto secondo la perversa, delirante ideologia dominante.