L’auto elettrica è la nuova brioche?
di EMILIO MARTINES (FSI Padova)
Mentre a Parigi infuria la protesta dei “gilet jaunes”, è opportuno fare alcune considerazioni a partire da una infelice uscita di Benjamin Griveaux, portavoce del governo Macron, che a fronte dell’inizio delle proteste in seguito ad un rincaro dei carburanti, ha suggerito che i manifestanti avrebbero potuto trovare rimedio acquistando un’automobile elettrica. Stante l’elevato costo di acquisto di tali veicoli, questa affermazione è stata interpretata da molti come una versione modernizzata del “Che mangino brioche!”, attribuito (falsamente) a Maria Antonietta come risposta a chi la informava che il popolo protestava perché non aveva pane.
Questa indubbiamente intempestiva affermazione si colloca in mezzo ad una campagna volta a screditare l’auto elettrica. Solo poche settimane prima era circolata insistentemente su alcuni mezzi di informazione e su Facebook una notizia che attribuiva al CNR la conclusione che, tenendo conto dell’intero ciclo di vita del veicolo, l’auto elettrica risultasse più inquinante del diesel. Vale qui la pena di notare che il CNR (sigla che sta per “Consiglio Nazionale delle Ricerche”) è il più grande ente pubblico di ricerca italiano, e si articola in circa cento istituti che svolgono ricerca in tutti i campi del sapere, in maniera largamente indipendente l’uno dall’altro. Non esiste una “posizione ufficiale” del CNR: i suoi ricercatori pubblicano articoli scientifici sulle riviste scientifiche e rispondono di ciò che scrivono, senza chiamare in causa l’intera istituzione. In questo caso, si trattava di una affermazione fatta da un ricercatore nell’ambito di una conferenza, citando uno studio tedesco. Si tratta peraltro di una conclusione smentita da altre analisi.
A tutto ciò, si è aggiunta una proposta del governo italiano (ancora in fase di definizione) che prevede uno schema di incentivi per auto ibride ed elettriche, da realizzarsi attraverso una tassazione delle auto a benzina e diesel. Questa proposta ha causato un’ondata di polemiche, in quanto è stata vista da molti come una forma di “Robin Hood alla rovescia”.
In generale, vi è la percezione che l’auto elettrica sia un giocattolo da ricchi, e per certi versi oggi è proprio così, per quanto sia già possibile acquistare sul mercato dell’usato veicoli elettrici a prezzi contenuti (ed era questo il senso dell’uscita di Griveaux), o, avendo la disponibilità iniziale di denaro, sia comunque possibile acquistare un veicolo nuovo e comunque, nell’arco della sua vita utile, risparmiare grazie ai minori costi operativi e di manutenzione.
In realtà, la mobilità elettrica sta decollando, come mostrano i dati relativi alle nuove immatricolazioni, che illustrano l’inizio di una crescita esponenziale. Si tratta di una situazione per certi versi analoga a quella degli impianti fotovoltaici dieci o quindici anni fa, quando erano ancora molto costosi ma stava iniziando un “boom” che avrebbe avuto come conseguenza una drastica riduzione dei costi. Qui non vogliamo però analizzare in dettaglio questo fenomeno, quanto illustrare le potenzialità di questa nuova tecnologia sia in termini di vantaggi ambientali che di complessiva efficienza del sistema della mobilità, e questa considerazione serve solo per evidenziare che si tratta di un enorme mercato in via di formazione in cui una adeguata politica industriale consentirebbe un vantaggioso inserimento.
Iniziamo col dire che non c’è dubbio sul fatto che la modalità di trasporto di persone migliore dal punto di vista ambientale sia quella del trasporto pubblico collettivo. Questa convinzione non deve però portare ad assumere l’atteggiamento fondamentalista di disinteressarsi al trasporto privato: l’automobile è parte delle nostre vite, e per quanto si tratti di un sistema complessivamente insostenibile, che è fonte di costi sociali elevatissimi, non è un paradigma modificabile nel giro di pochi anni. Quindi, ha un suo senso, a fianco del deciso sostegno allo sviluppo del trasporto pubblico, interrogarsi su possibili trasformazioni di quello privato nella direzione di una maggiore sostenibilità ambientale.
Una volta stabilito che l’auto privata è qui per restare, almeno nel breve e medio termine, e che il massimo che si può fare è contenerne l’utilizzo, integrandolo con quello del trasporto pubblico per gli spostamenti abitudinari, si comprende come tale oggetto costituisca ormai a tutti gli effetti il tramite per il soddisfacimento di un bisogno fondamentale per i cittadini di un paese industrializzato: per molti, non poter usare l’auto significa di fatto non poter lavorare, e per molti altri significa dover sacrificare quantità abnormi di tempo per spostamenti con mezzi alternativi. E allora, risulta anche chiaro che va ribaltata la prospettiva con cui si guarda a questo bene: non più un prodotto da lasciare in mano all’iniziativa privata, ma un bene strategico di cui deve occuparsi lo Stato, non solo attraverso incentivi, ma soprattutto realizzando un’industria automobilistica pubblica, che possa prefiggersi obiettivi diversi da quelli del puro e semplice profitto, quali durevolezza, economicità per l’utente e preservazione dell’ambiente naturale. Possiamo quindi ripensare all’auto elettrica non in termini di bene ad alto costo e riservato a pochi, ma come opzione che uno Stato interessato al benessere dei suoi cittadini deve riuscire a fornire a tutti a prezzi popolari. Una volta abbracciata quest’ottica, la scelta di orientarsi verso la mobilità elettrica risulta ampiamente giustificata da una serie di considerazioni:
1) il motore elettrico è enormemente più semplice e compatto di quello a combustione interna: quest’ultimo ha centinaia di parti in movimento, contrariamente al primo, che tipicamente ne ha solo due, ed è quindi molto più soggetto ad usura e a possibilità di guasti. Un motore elettrico può percorrere una distanza dell’ordine del milione di chilometri, prima di richiedere una verifica, e può durare un secolo, richiedendo soltanto la sostituzione dei cuscinetti: si tratta quindi di un bene durevole. Inoltre, esso elimina la necessità del cambio, semplificando ulteriormente la vettura. Tutto ciò si traduce in costi di gestione molto inferiori, anche se è chiaro che per sfruttare appieno queste potenzialità occorre un’adeguata filosofia progettuale, che difficilmente potrà ottenersi da parte di aziende che hanno nel mercato dei pezzi di ricambio una delle sorgenti di utile più significative.
2) l’auto elettrica non richiede lubrificanti: questo significa risparmiare le 200.000 tonnellate all’anno consumate dalle auto italiane, e soprattutto il relativo smaltimento.
3) l’auto elettrica, grazie all’assenza di combustione e al maggior uso del freno motore, con conseguente molto minore usura delle pastiglie dei freni, ha una produzione di particolato molto inferiore a quella tradizionale, il che consentirebbe di alleviare la difficile situazione dell’inquinamento da PM10 che caratterizza molte zone italiane, e in particolare la pianura padana (il maggior responsabile di questo tipo di inquinamento non sono le auto, ma queste danno comunque un contributo rilevante).
4) il problema dello smaltimento delle batterie può essere affrontato in parte riciclando le batterie la cui capacità di accumulo si sia ridotta in maniera consistente a causa dell’utilizzo in usi diversi, in particolare nei sistemi di accumulo stazionari che costituiscono un elemento importante della transizione ad un’economia basata sulle fonti rinnovabili, e in parte attraverso adeguate scelte progettuali che ne favoriscano il riciclo a fine vita: anche qui, risulta evidente l’importanza di un approccio non basato solo sul profitto, per cui questo aspetto diventi centrale nelle scelte tecnologiche future.
Per quanto concerne l’obiezione spesso espressa che l’auto elettrica non riduce il consumo di idrocarburi, se l’elettricità viene prodotta a partire da combustibili fossili, ad essa si può ribattere in due modi: intanto, nel panorama energetico attuale è già presente una frazione rilevante di generazione elettrica a partire da fonti rinnovabili; poi, anche nel caso di elettricità prodotta da fonti fossili, a causa della bassa efficienza del motore a combustione interna il consumo equivalente di idrocarburi dell’auto elettrica risulta paragonabile o addirittura minore di quello dell’auto tradizionale, a fronte dei vantaggi elencati sopra; ma soprattutto, l’auto elettrica, potendo comunque utilizzare elettricità da fonti rinnovabili, costituisce una tecnologia che favorisce la transizione in corso verso un sistema interamente basato sulle rinnovabili: mentre un’auto a benzina avrà sempre bisogno di benzina, un’auto elettrica che oggi usa elettricità da fonti fossili domani potrà ricavarla da fonti rinnovabili, e inoltre andrà a costituire uno stimolo all’installazione dei piccoli impianti fotovoltaici casalinghi.
Una parola merita invece quello che è ancora oggi il maggior limite tecnologico dei veicoli elettrici, ossia quello della percorrenza. Va notato che questo limite si sta rapidamente espandendo, e che non esistono limiti “forti” ai valori raggiungibili. Nuove tecnologie, come le batterie a stato solido, promettono di raggiungere densità di energia pari a quelle degli idrocarburi, e c’è quindi ragione di essere ottimisti sul fatto che la percorrenza aumenterà rapidamente nel prossimo decennio. Per quanto riguarda invece la facilità di trovare punti di ricarica, è chiaro che una politica industriale volta a creare un’industria nazionale di produzione di veicoli elettrici dovrà prevedere anche una strategia di disseminazione di punti di ricarica sul territorio nazionale.
In conclusione, questo breve articolo propone un modello in cui lo Stato diventi imprenditore, al fine di fornire ai propri cittadini veicoli elettrici economici, durevoli e facilmente riciclabili a fine vita, sviluppando al contempo elevate competenze tecnologiche nel settore della trazione elettrica e delle batterie, cogliendo l’onda dell’impetuoso sviluppo di queste tecnologie, anche attraverso un robusto investimento in ricerca e sviluppo. Tali competenze sarebbero anche utilizzabili per la produzione di veicoli elettrici per il trasporto pubblico collettivo, imitando la strategia della Cina nell’ambito di un generale potenziamento del trasporto pubblico su strada e su rotaia, di cui i veicoli privati dovrebbero diventare, per gli spostamenti periodici, lo strumento dedicato all’”ultimo miglio”. Ciò creerebbe lavoro e ricchezza, oltre ad avere ricadute importanti in termini ambientali e di indipendenza energetica, costituendo una costola della transizione ad un sistema energetico interamente basato sulle fonti rinnovabili.
Commenti recenti