Lavoratori nelle istituzioni: il rilancio del CNEL
di Luca Mancini (FSI Roma)
“Nella presente questione, lo scandalo maggiore è questo: supporre una classe sociale nemica naturalmente dell’altra; quasi che la natura abbia fatto i ricchi e i proletari per battagliare tra loro un duello implacabile; cosa tanto contraria alla ragione e alla verità. Invece è verissimo che, come nel corpo umano le varie membra si accordano insieme e formano quell’armonico temperamento che si chiama simmetria, così la natura volle che nel civile consorzio armonizzassero tra loro quelle due classi, e ne risultasse l’equilibrio. L’una ha bisogno assoluto dell’altra: né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia fa la bellezza e l’ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie.”
Con queste parole il Papa Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum dettava la dottrina sociale che la Chiesa di Roma avrebbe dovuto seguire negli anni a venire. È una netta presa di posizione tanto contro il capitalismo sfrenato, quanto contro il comunismo, ma soprattutto si oppone e rifiuta in toto l’idea della lotta di classe che divide pericolosamente l’umanità e, va aggiunto, la nazione. Il capitalismo tende a schiacciare i lavoratori e i loro diritti, mentre il comunismo tende ad eliminare la borghesia. Per evitare l’instaurarsi e l’inasprirsi di questo clima conflittuale, lo Stato deve necessariamente porsi come arbitro nella lotta di classe e tentare di superarla portando i lavoratori all’interno delle istituzioni, dove invece sono completamente assenti. Questo perchè, attualmente, il capitale possiede un potere economico e sociale talmente forte che gli permette di indirizzare facilmente il potere politico, mentre il lavoro non ha questo stesso privilegio e ciò lo pone chiaramente in una condizione di svantaggio nella lotta politica.
Nel secolo scorso, il fascismo sicuramente tentò una mediazione tra capitale e lavoro, attraverso la graduale instaurazione del corporativismo: un regime economico-sociale, che avrebbe dovuto costituire una “terza via” tra capitalismo e comunismo. Infatti, nel 1930 venne inaugurato il Consiglio Nazionale delle Corporazioni. In esso erano presenti i presidenti delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali e i rappresentanti delle medesime, oltre che svariati membri del governo e un discreto numero di esperti di diritto ed economia corporativa. Tuttavia esso non possedeva l’iniziativa legislativa e aveva un mero ruolo consultivo, ossia poteva formulare pareri su qualsiasi questione che interessasse la produzione nazionale e, in particolar modo, sulle proposte di legge riguardanti la disciplina della produzione e del lavoro. Lo sbocco legislativo per le corporazioni giunse solo nel 1939, quando la Camera dei Deputati venne trasformata in Camera dei Fasci e delle Corporazioni della quale, come suggerisce il nome, facevano parte i componenti del Consiglio Nazionale delle Corporazioni, oltre che i membri del Gran Consiglio e del Consiglio Nazionale del PNF. Sugli esiti e i risultati ottenuti dal corporativismo fascista si può discutere, ma ciò è compito della storiografia ed esula dallo scopo principale di questo articolo. Tuttavia quello fascista resta indubbiamente un tentativo di superamento della logica di lotta di classe.
La prima repubblica era anch’essa ben consapevole di dover rendere le masse lavoratrici maggiormente partecipi del processo politico. D’altronde, se si guarda ai tre partiti maggiori che hanno scritto la nostra Costituzione questo dato non meraviglia: DC, PSI e PCI. Il primo era armato di una forte componente che potremmo definire “di sinistra”, vicina alle istanze sociali e fautrice del pensiero di Leone XIII e della dottrina sociale della Chiesa. Il PSI e il PCI, per quanto vicini a Mosca nel 1946, non erano comunisti come lo erano i bolscevichi. Essi, pur perseguendo una logica di lotta di classe, erano consapevoli di non poter eliminare il carattere nazionale e la democrazia parlamentare: in pratica, sapevano bene che non avrebbero mai potuto instaurare una Repubblica socialista sovietica in Italia. Ciò li rendeva meno inclini alla rivoluzione e maggiormente propensi ad allargare le possibilità di partecipazione politica delle masse lavoratrici.
L’unione delle idee di queste tre componenti diede vita ad un organo troppo spesso sottovalutato, forse volutamente, dalla politica italiana: il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, meglio noto come CNEL. Infatti, l’articolo 99 della nostra Costituzione recita:
“Il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.”
È chiaro che il CNEL, nell’ottica dei padri costituenti, era un tentativo di inclusione dei lavoratori all’interno delle istituzioni statali. Esso avrebbe dovuto farsi portavoce del mondo del lavoro presso il Governo e, data la sua composizione, avrebbe dovuto essere il luogo dove si assorbiva la lotta di classe. Il condizionale è d’obbligo, proprio perchè il CNEL non ha funzionato come avrebbe dovuto, forse perchè non c’è mai stata la volontà di farlo funzionare realmente. Per quanto la Prima Repubblica fosse socialdemocratica, essa restava ancorata ad una logica capitalistica che di certo non vedeva positivamente la costituzione e il funzionamento di un organo del genere. Oggi, invece, in un’epoca in cui è necessario riportare il lavoro al centro del sistema socio-economico, come previsto dall’articolo 1 della nostra Costituzione, il CNEL diventa un organo fondamentale per tale prospettiva.
Attualmente esso, in base alla legge n.936 del 30 dicembre 1986, è composto da sessantaquattro consiglieri: dieci esperti, qualificati esponenti della cultura economica, sociale e giuridica, dei quali otto nominati dal Presidente della Repubblica e due proposti dal Presidente del Consiglio dei Ministri; quarantotto rappresentanti delle categorie produttive, dei quali ventidue in rappresentanza del lavoro dipendente, di cui tre in rappresentanza dei dirigenti e quadri pubblici e privati, nove in rappresentanza del lavoro autonomo e diciassette in rappresentanza delle imprese, sei in rappresentanza delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato, dei quali, rispettivamente, tre designati dall’Osservatorio nazionale dell’associazionismo e tre designati dall’Osservatorio nazionale per il volontariato.
Tuttavia la composizione originaria del Consiglio era diversa. Essa era disciplinata dalla legge n.33 del 5 gennaio 1957, il cui art. 2 affermava:
Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è composto di:
a) sette rappresentanti dei lavoratori dell’industria; cinque rappresentanti dei lavoratori dell’agricoltura, compresi i mezzadri; tre rappresentanti dei lavoratori del commercio di cui uno del turismo; tre rappresentanti dei lavoratori dei trasporti; due rappresentanti dei lavoratori del credito; un rappresentante dei lavoratori dell’assicurazione; un rappresentante dei lavoratori della pesca; un rappresentante dei lavoratori delle aziende municipalizzate; due rappresentanti dei dirigenti di azienda;
b) due rappresentanti dei professionisti; cinque rappresentanti dei coltivatori diretti (compartecipanti, piccoli affittuari e piccoli proprietari); tre rappresentanti delle attivita’ artigiane; tre rappresentanti delle cooperative di produzione e di consumo;
c) quattro rappresentanti delle imprese industriali, scelti in modo che sia garantita la rappresentanza della piccola, della media e della grande industria; tre rappresentanti delle imprese agricole; due rappresentanti delle imprese commerciali; tre rappresentanti delle imprese di trasporto; un rappresentante degli istituti di credito ordinario; un rappresentante delle casse di risparmio e dei monti di credito sul pegno; un rappresentante delle imprese di assicurazione; un rappresentante degli imprenditori della pesca; un rappresentante delle imprese turistiche;
d) un rappresentante delle imprese municipalizzate;
e) un rappresentante dell’I.R.I;
f) due rappresentanti degli enti pubblici a carattere nazionale operanti nel campo della previdenza;
g) venti persone particolarmente esperte nelle materie economiche e sociali, di cui:
1) nove designate dai Consigli superiori della pubblica istruzione, di statistica, della marina mercantile, dell’agricoltura e dei lavori pubblici nonche’ dalla Commissione centrale per l’avviamento al lavoro e per l’assistenza dei disoccupati, dal Consiglio nazionale delle ricerche, dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, dalla Unione delle camere di commercio, industria e agricoltura, anche al di fuori dei propri componenti;
2) tre designate dall’Unione accademica nazionale;
3) otto nominate dal Presidente della Repubblica.
Una divisione siffatta era sicuramente più efficiente, perchè rispecchiava maggiormente tutto il variegato mondo del lavoro. Tuttavia essa, seppur con dei piccoli aggiustamenti, può essere efficiente anche oggi e può sicuramente contribuire a migliorare l’efficienza di tale organo. Questa composizione elimina completamente i rappresentanti delle associazioni di promozione sociale e delle organizzazioni del volontariato, le quali non hanno alcun diritto di sedere nel CNEL. Esse sono, per l’appunto, organizzazioni basate sul volontariato, perciò non hanno nulla a che vedere con il lavoro, il quale attraverso il salario è lo strumento di inclusione sociale per eccellenza. Nel momento in cui uno svolge un’opera volontaria non percepisce retribuzione e perciò, per quanto possa sentirsi moralmente appagato, è escluso da alcuni meccanismi sociali.
Non a caso, l’art. 1 della nostra Costituzione recita: “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, perchè i nostri padri costituenti erano ben consapevoli che se si è disoccupati, si è automaticamente fuori dal circuito economico e perciò si finisce per essere relegati ai margini della società. Tale confusione tra volontariato e lavoro, ossia l’idea che si possa offrire una prestazione lavorativa senza essere retribuiti, è figlia di un’ottica liberista totalmente estranea alla Carta fondativa della nostra Repubblica. Inoltre, il volontariato è un inaccettabile strumento di deflazione salariale, poiché spesso vi è un volontario non retribuito, laddove dovrebbe e potrebbe esserci un lavoratore con un salario adeguato. Proprio per ribadire tale principio lavoristico che pervade la nostra carta costituente, è necessario eliminare dal CNEL qualsiasi forma di volontariato. D’altronde non essendo lavoro e non alimentando il circuito dell’economia, se non per abbassare drasticamente il costo di una prestazione lavorativa, non si comprende perchè i rappresentanti dei volontari dovrebbero sedere in un organo il cui nome è: Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro.
Per rendere il CNEL maggiormente efficiente e partecipativo delle decisioni politiche, a questa opera di riorganizzazione vanno affiancati indubbiamente altri provvedimenti. Uno di questi potrebbe essere rendere il consulto del Consiglio obbligatorio, anche se ovviamente non vincolante, per un governo che si accinge a fare una legge sul mondo del lavoro. Attualmente, tale consulto è facoltativo e deve essere richiesto dal governo. Invece, ascoltare l’opinione dei rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori, prima di varare una legge sul lavoro, non può che essere benefico per il governo, oltre che essere uno strumento di distensione sociale. Infine, è indubbiamente necessario instaurare una maggiore cooperazione tra il CNEL e il Ministero del Lavoro, facilitando incontri continuativi tra questi due enti. Il Ministro del Lavoro e il suo entourage devono essere costantemente al corrente delle opinioni espresse dal Consiglio.
Pertanto, il sovranismo, nella sua ottica di riconquista della sovranità attraverso l’attuazione della Costituzione, non può esimersi dalla rivalutazione del CNEL, un organo al quale i nostri padri fondatori della Repubblica diedero una notevole importanza, inserendolo tra gli organi ausiliari del Governo.
Viva la Repubblica Sovrana!
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