Non ci resta che… tagliare e privatizzare
di FIORENZO ALESSIO SESIA (FSI Torino)
In un articolo su un quotidiano di Torino del 3 Aprile si parla del drastico taglio sulle manutenzioni nel capoluogo piemontese (da 72 milioni a 40 milioni di €) dove in particolar modo a rimetterci sono le Strade, le Scuole e il Verde. I fondi per riparare le buche sarebbero stati addirittura ridotti del 60%. Se da un lato si festeggia per gli anni dei progetti faraonici e velleitari lasciati definitivamente alle spalle, dall’altro si denuncia altresì la mancanza di progetti alternativi. Torino, come quasi tutti i comuni “virtuosi”, per quel che emerge dal piano delle opere pubbliche approvato dal Comune insieme con il bilancio, sembra essersi consegnata all’ordinaria amministrazione.
Da anni assisto inesorabilmente alla riduzione dei fondi destinati alla manutenzione delle opere pubbliche nel mio comune di residenza, ben oltre il dimezzamento e nel silenzio più totale della stampa. La scelta politica degli amministratori locali è stata sempre pressoché la stessa, ovvia e scontata: limare sui costi di manutenzione, nel modo più lineare e progressivo fino al punto in cui, a furia di tagliare, le aggiudicazioni dei bandi di gara potevano andare deserte. E’ ovvio che se il taglio è impercettibile anno per anno non fa notizia, ma se a farlo è il comune di Torino (che ha un bilancio da 1.600 milioni di €) la questione cambia.
Un sindaco o un assessore di turno, come tra incudine e martello, deve dare risposte al suo elettorato e al tempo stesso rispettare il patto di stabilità. Il patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo dei paesi membri della UE del 1997, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione europea (Eurozona) cioè rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht. Va da sé che qualunque amministrazione, in quest’ottica, può fare ben poco.
In questo modo, i lavori socialmente utili (LSU) si sono trasformati in una vera e propria risorsa di manodopera a basso costo per gli enti locali; la maggior parte sono persone alla ricerca di un riscatto e danno l’anima sul posto di lavoro per una paga oraria davvero irrisoria. Con questo sistema un amministratore riesce a far fronte in parte alle lacune create dai i vincoli europei, che si scaricano in grossa parte proprio sugli enti locali, alimentando però la deflazione salariale in barba all’art. 36 della nostra costituzione. Un’altra scelta potrebbe essere quella di assumere in modo massiccio nuovi operai qualificati nei comuni ma, anche in questo caso, si deve tener conto del limite imposto con il blocco delle assunzioni nelle P.A.
Tutto questo ovviamente non fa altro che mettere a nudo l’abissale contrasto tra un organo sovranazionale di natura liberale come l’UE con una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla giustizia sociale come dovrebbe essere l’Italia. O si comprende questo e ci si predispone al recesso o, in alternativa, non ci resta che… tagliare e privatizzare.
Mah fortuna che l ue sta solo in europa… almeno dopo quale secolo si potra fare un confronto ed abbandonare, dati storici alla mano, il liberismo! L uomo forse é ottuso e crede solo dopo aver sbagliato.