Uno spiraglio di luce dalla Corte Costituzionale nelle tenebre dei Trattati europei.
Il diritto internazionale generale è consuetudinario anche se sovente viene raccolto in grandi convenzioni che generalmente fanno capo alle Nazioni Unite. Il diritto internazionale generale costituisce la fonte suprema nel sistema delle fonti delle norme internazionali al quale sono subordinate le norme scaturenti dal diritto internazionale pattizio (cioè i trattati) in cui rientra, dunque, anche il diritto europeo. Questa basilare collocazione nella gerarchia delle fonti sembra spesso sfuggire alle istituzioni europee, le quali, autointerpretandosi, vorrebbero far apparire il diritto europeo come qualcosa di diverso rispetto al diritto internazionale pattizio, quasi a volergli attribuire, artatamente, un carattere che potremmo definire di “specialità” in virtù del quale prefigurare una forza maggiore, sempre e comunque, rispetto alle fonti di diritto interno degli Stati membri. Ma tale erronea auto qualificazione non può assumere carattere di diritto internazionale generale per il semplice fatto che non esiste quella diffusa conformità di opinione in tutta la comunità degli Stati internazionali.
Ciò premesso la recentissima sentenza n. 238 del 23 ottobre 2014 della Corte Costituzionale (http://www.diritticomparati.it/2014/10/sentenza-n-238-anno-2014-repubblica-italiana-in-nome-del-popolo-italiano-la-corte-costituzionale-composta-dai-signori.html ) potrebbe costituire un “quasi obiter dictum” come l’ha elegantemente definita il Presidente Barra Caracciolo in occasione del convegno scientifico tenutosi a Roma l’8 novembre scorso (l’intervento completo è visionabile sul sito di RI.SCO.S.SA italiana). Laddove infatti il principio riaffermato dalla Corte nella sentenza de qua – secondo il quale l’ordinamento generale internazionale, che è la fonte suprema del diritto internazionale (a cui l’ordinamento giuridico italiano si conforma ex art. 10 cost.), non può contrastare con la Costituzione (nella fattispecie in questione con l’art 24 Cost., un articolo importantissimo, ma mai quanto i primi 12 ndr ) – dovrebbe valere anche per il diritto internazionale pattizio (che è fonte subordinata rispetto al diritto internazionale generale!) e che quindi non potrebbe derogare, fortiori rationem, ai principi fondamentali della Costituzione contenuti nei primi 12 articoli (in particolare agli art. 1, 4 e 3 secondo comma).
In realtà questa sentenza non rappresenta una novità assoluta. L’assioma della superiorità dei principi fondamentali della Costituzione italiana rispetto al diritto internazionale, tra cui ovviamente ricomprendiamo necessariamente i trattati europei, era già stato più volte affermato in passato dalla Corte (Cfr. ex plurimis: sentenze n. 183 del 1973, n.170 del 1984, n. 232 del 1989, n. 168 del 1991, n. 284 del 2007, n. 48 del 1979 e n. 73 del 2001) anche se mai come questa volta lo stesso postulato è stato ribadito in maniera così chiara ed esplicita ed in più parti della sentenza.
Tali principi fondamentali della Costituzione (che, giova ripeterlo, sono contenuti nei primi 12 articoli della Carta e che pertanto non possono essere oggetto di modifica ex art. 138 come la Consulta ha più volte ribadito) delineano, tra l’altro, l’inderogabile assetto economico della Repubblica (poi meglio declinato nella c.d. Costituzione economica agli artt. 35 e seguenti).
In particolare dal combinato disposto degli artt. 1, 4 e 3 secondo comma della Costituzione emerge un paradigma economico ben preciso, a cui dovrebbe ispirarsi l’agere di tutti i Governi (indipendentemente dal colore politico), che prevede l’intervento dello Stato nell’economia al fine di correggere le storture a cui tende naturalmente un sistema capitalistico senza controllo e che abbia come fine la piena occupazione. Un modello che, con felice sintesi, potremmo definire d’ispirazione Keynesiana.
Al contrario l’Unione Europea ha optato per un paradigma economico di tipo liberista, che è toto coelo divergente rispetto al modello costituzionale, laddove ha previsto uno Stato che non può fare deficit (e quindi, se non riesce ad esportare più di quanto importa, non può fare politiche espansive) e ha posto come obiettivo principale, non già la piena occupazione, ma la stabilità dei prezzi (cioè dell’inflazione) il cui unico scopo è impedire la svalutazione del capitale finanziario (Cfr. art. 127 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea TFUE “…fatta salva la stabilità dei prezzi…”).
Una curiosità: sapete quante volte è presente la parola “inflazione” e/o “stabilità dei prezzi” nella Costituzione? Nessuna!
E quante volte, invece, si ripete il sostantivo “lavoro”/“lavoratore”/“lavoratrice”? Ben 21 volte in appena 13 articoli relativi alla costituzione economica e ben 2 volte nei primi 12 articoli relativi ai principi fondamentali di cui una volta addirittura all’art. 1!
Gli economisti sanno bene che queste due variabili (occupazione e inflazione) sono tra loro correlate in maniera direttamente proporzionale come dimostra con cartesiana scientificità la curva di Phillips. Vulgo: non è possibile aumentare l’occupazione senza aspettarsi un contestuale aumento dell’inflazione e viceversa.
Di qui l’incompatibilità tra il modello economico costituzionale (che infatti non contempla l’inflazione, bensì la piena occupazione) e quello europeo, da cui deriva una (non l’unica!) fondamentale antinomia tra norme della Costituzione e quelle dei Trattati Europei.
Per inciso: per un Paese come l’Italia, un’inflazione medio-alta, oltre a non essere incompatibile con il dettato costituzionale, sarebbe financo salutare per la riduzione dell’alto debito pubblico (oltre che per la disoccupazione).
Alla luce di quanto detto finora non rimarrebbe altro che portare le leggi di ratifica dei Trattati UE in Corte Costituzionale nella speranza che questa, coerentemente con i suoi precedenti orientamenti, provochi l’euroexit direttamente per sentenza. Com’è noto però il nostro ordinamento non consente al comune cittadino di adire “per via principale” la Corte Costituzionale. Tuttavia l’escamotage potrebbe essere lo stesso utilizzato per innescare la pronuncia della Consulta sulla legge elettorale c.d. “porcellum”. Ovvero chiedere al giudice ordinario l’accertamento della lesione pura di un diritto di rango costituzionale che consenta allo stesso giudice a quo di valutare tale eccezione ed, eventualmente, sospendere il giudizio per trasmettere gli atti alla Corte.
Ci sta provando, con molto coraggio, l’avvocato Marco Mori anche lui presente al convegno testé ricordato e nel quale ha illustrato con molta chiarezza la strategia confluita nel suo atto di citazione (in calce all’articolo il link ove è possibile prenderne visione). La prima udienza è stata fissata per il 30 gennaio. Seguiremo con attenzione l’evolversi della vicenda nella speranza che l’Italia torni al più presto ad essere uno Stato indipendente, democratico e sovrano.
A.R.
”Preferisco avere un’inflazione altissima e spropositata se so che la disoccupazione dal 34% è scesa al 3,5%; che la povertà è diminuita del 55%; che il pil viaggia di un +8% annuo; che la produttività industriale è aumentata del 300%; che c’è lavoro in Argentina, c’è mercato per tutti, e il mio popolo è molto ma molto più felice di prima, piuttosto che avere un’inflazione del 3% come in Italia, dove c’è depressione, disperazione, avvilimento e l’esistenza delle persone non conta più“. Cristina Fernandez de Kirchner Presidente della Repubblica Argentina.
(http://www.studiolegalemarcomori.it/i-trattati-ue-in-corte-costituzionale-via-prima-causa/ )
Ottimo articolo, esemplare per la chiarezza.